Antonio Solero
Mi ha scritto ancora nel 2022 Antonio Solero, raccontandomi brevemente la sua storia: non l’ho mai pubblicata, ed oggi ho pensato di farvela leggere come premessa ad un altro suo articolo pubblicato recentemente sul giornale della vela. Forse lo avrete letto, ma con questa sua introduzione è più facile entrare nella sua vita, e rimanerne affascinati.

Oggi è difficile capire come si possa arrivare da una vita dedicata agli sport che si praticano in montagna, sci e roccia, alla vela e al mondo subacqueo. Cercherò di raccontarvelo:
Non ho deciso io di vivere esperienze apparentemente così diverse, ma il caso.
Fino all’età di 25 anni i miei obiettivi erano diventare maestro di sci e guida.
Il mio paese natale, Sappada, mi permetteva di realizzare questo mio desiderio.
La guida alpina locale mi aveva preso a benvolere e iniziato all’arte dell’arrampicata per la quale ero dotato.
Avevo al mio attivo diverse salite di grande impegno nelle Dolomiti e nel massiccio del Monte Bianco quando, nella primavera del 1970, subito dopo aver ottenuto il patentino di maestro di sci, vengo invitato a visitare la base operativa del programma Atlantide 2 che prevedeva di completare la seconda parte di un esperimento di vita subacquea nel lago di Cavazzo in Friuli.
Conosco il direttore della base che mi spiega le finalità dell’operazione e mi invita a collaborare con loro. Accetto. Prenderò parte all’esperimento e vivrò per un mese intero all’interno di una struttura subacquea ancorata a 12 metri di profondità. Assieme a me si immergeranno 2 gruppi di 3 persone per 15 giorni ciascuno. L’esperimento si proponeva di verificare la possibilità di lavorare sott’acqua per periodi di tempo molto lunghi partendo da una base ancorata sul fondo. Uscivamo dal nostro habitat due volte al giorno per scendere sul fondo del lago a circa 25 metri dove montavamo e smontavamo una testa di pozzo petrolifera per controllare la nostra efficienza dopo giorni passati sempre in immersione.
Nell’estate del 1972 lavoro come sommozzatore a Marghera. L’attività era fisicamente molto impegnativa perchè mi costringeva a restare con la muta addosso anche per otto ore al giorno. Nelle pause tra una immersione e l’altra guardavo spesso la laguna di Venezia e le vele lontane all’orizzonte che per me erano il simbolo della vacanza e della libertà. Decido, quindi, che avrei passato l’estate successiva navigando.
Senza essere mai salito su una barca compero il kit del Promenade 5,80 della Sibma Navale Italiana e costruisco la mia prima barca a Sappada a 1250 metri di quota, con la quale tre anni dopo, nel 1975, navigo da Monfalcone fino a Imperia. L’anno successivo costruisco una barca gemella con particolare attenzione alla solidità e parto da Imperia alla volta del Venezuela.
Non avevo dotato di motore il Corto Maltese 2 per una scelta che oggi non riesco a spiegarmi. Ritornerò in Italia nel tardo autunno/inverno del 1977/78, probabilmente primo al mondo ad attraversare da ovest a est l’Atlantico in solitaria su una barca di quelle dimensioni nei mesi invernali.
Parteciperò alla seconda edizione della Minitransat con un Fortunello accorciato e con superficie velica ridotta. Mi piazzerò nono, terzo tra le barche di serie. Nel 1982 mi iscrivo alla prima edizione della Transat des Alizés. L’equipaggio era costituito da ex campioni di sci tra i quali gli azzurri Roberta Quaglia, Fausto Radici e Renzo Zandegiacomo.
Arriveremo secondi su 84 barche.
Mi prenderò la rivincita nell’edizione del 1984. In quell’anno, alla partenza da Casablanca, ci saranno più di 250 barche. Arriverò primo in Guadalupa con un giorno e mezzo di vantaggio sul secondo. Nel 1985 prenderò parte alla Brooklyn Cup, una “lui e lei” con partenza da Portofino e arrivo sotto il ponte di Brooklyn. Non sono riuscito a trovare una barca da regata. Mi è stato messo a disposizione il prototipo di una barca da crociera.
Nonostante una grave rottura che ci obbligherà a una lunga sosta nel porto di Tolone riusciremo ad arrivare secondi dopo Paola Pozzolini e Pierre Sicouri. Farò ancora diverse traversate atlantiche poi mi dedicherò al charter e allo skipperaggio. D’inverno, quando non impegnato ai Caraibi, vivrò in montagna lavorando come maestro di sci. Questa è molto in sintesi la mia biografia sportiva.
Non ho ancora parlato delle affinità tra la montagna, il mondo subacqueo e la vela. So che sto bene in vetta, seduto in rifugio a guardare il tramonto o a bere con amici, sto altrettanto bene all’ancora in una baia ben protetta in attesa della sera.
Arrampicare mi fa mi sentire vivo, il pericolo sempre presente esalta le emozioni. Sono le stesse sensazioni che provo sott’acqua o quando navigo in solitaria.
Arrampicare, immergersi, navigare sono esperienze intime, personali, che richiedono competenze, equilibrio, autocontrollo e grande amore per la natura.
Nel mio libro parlo di mare e di montagne, di emozioni, di gioie, di paure e di tecnica.
Ho cercato di dare spazio alle persone che nel bene e nel male ho conosciuto. Ho potuto portare a termine con successo le mie avventure anche grazie all’aiuto disinteressato di amici e di persone sconosciute.

La mia vita da velista
Quest’anno ho festeggiato il mio 81° compleanno con dell’ottimo prosecco e la torta con una candelina. Che si può fare arrivati alla mia età oltre ad accompagnare i nipotini a scuola? Se si è sani, fatte le debite proporzioni, quanto si faceva prima.
Si possono anche ricordare le esperienze passate e cercare di capire le scelte fatte sia in chiave tecnica che psicologica. Spesso infatti le nostre scelte sono dovute più allo stato d’animo del momento che alla razionalità delle stesse. Ricordi, ecco quello che affiora.
Da solo con un sei metri per 78 giorni
Come nella mia prima doppia traversata da Imperia al Venezuela e ritorno quando sono rimasto ininterrottamente in mare da solo 34 giorni all’andata e 44 al rientro senza contatti con la terraferma. Tempi molto lunghi dovuti alla lentezza della barca di soli 6 metri. Nonostante l’impegno delle due traversate, specie del ritorno avvenuto nei mesi di ottobre, novembre e dicembre, non ho mai sentito il mare come un avversario contro cui lottare ma una delle tante facce della natura con la quale confrontarmi. Ricordo i dubbi sulle scelte da fare ma ricordo anche di aver sempre cercato di mantenermi lucido e razionale. Le esperienze vissute in montagna o sott’acqua mi avevano temprato.
Corto Maltese nel settembre 1976, all’esterno del cantiere, la mia prima barca
autocostruita a Sappada, prima del varo ad Imperia
Barca, sott’acqua montagna uniti dal contatto con la natura
Tra mare e montagna ci sono differenze tecniche estreme ma il metodo necessario per gestirle è lo stesso. In parete le difficoltà da superare le incontri da inizio a fine scalata ma ogni metro di salita deve essere valutato e risolto con la giusta tecnica. L’errore non è tollerato, sbagli appiglio e sei morto, non c’è prova d’appello. Lo stesso avviene sott’acqua, sei in grotta, l’erogatore si guasta, ti rimangono solo uno o due minuti per riemergere. Si dice che il mare non perdona, è una affermazione senza senso, il mare non ti è né amico né nemico, non ti aggredisce. Le onde sono create dalla situazione meteorologica non da un dio nemico.
In partenza per la Mini Transat nel 1979, a Penzance, Inghilterra.
Spetta a noi il coraggio della sceltaCome in montagna così al mare ci vuole preparazione e sangue freddo. Non basta leggere un manuale per acquisire le necessarie abilità, ci vuole tempo, pratica, dedizione e sintonia con l’ambiente. Quando arrampicavo mi sentivo in armonia con la montagna anche nei momenti più difficili e da navigatore sto vivendo le stesse emozioni.
Loick Peyron, in giacca blu, arrivato a English Harbour
con due tangoni al posto dell’albero perso in mare. Antigua, 1979
Lezione sull’ancora galleggiante. Serve?
Non basterebbe un libro per analizzare tutte le situazioni di possibile pericolo. Conosco skipper professionisti che in oceano, in situazioni di tempo molto duro con il mare libero a 360°, hanno affrontato il maltempo cercando, come qualcuno suggerisce ancora adesso, di rallentare la barca calando in acqua un’ancora galleggiante o, in alternativa, una vela legata a poppa per frenare la velocità e controllare meglio la barca.
Jean- Luc Van Den Heede (a sinistra), con me a Le HavreGrave errore, questa tecnica rallenta sì la barca ma la rende incontrollabile con il timone, la espone ai frangenti che, essendo quasi ferma, possono arrecare gravi danni alla sua struttura. La barca di cui parlo affonderà, l’equipaggio riuscirà a salvarsi con l’autogonfiabile. Questa tecnica si può o si deve utilizzare solo in casi estremi e se la rotta con il vento in poppa ti spinge a riva. Fortunatamente condizioni di vento e di mare così dure sono rare ma non impossibili.
Chiuso in cabina a cappa secca
Ricordo altri due episodi drammatici. Nell’autunno del 1976 avevo da poco faticosamente superato lo stretto di Gibilterra, a causa di una corrente contraria che può raggiungere anche i 5 nodi. Non avendo motore solo al terzo tentativo riesco a raggiungere l’Atlantico. Come mia consuetudine festeggio le difficoltà superate stappando una bottiglia di prosecco per un brindisi solitario. Il giorno successivo, dopo un pranzo a base di tonno appena pescato, il tempo cambia. Il vento rinforza e arriva il mal di mare. Rendo al mare quanto al mare avevo preso. Non avendo anemometro non posso dire con certezza a quanto soffiasse sicuramente a più di 40 nodi. Mi metto alla cappa secca, blocco la barra del timone e mi chiudo in cabina abbracciato al bugliolo. Passato il maltempo riprendo a veleggiare in un mare attraversato da onde che non avevo mai visto prima, impressionanti e magnifiche.
Blu Chiquita alla Mini Transat nel 1979
Portofino-New York nel 1984. Cino Ricci, al centro, con la mia compagna Manuela e me
La tragedia per una scelta errata
Nel frattempo, 100 miglia più a sud, si era consumata davanti a Casablanca una tragedia che un comportamento più ragionato e competente dello skipper avrebbe evitato. Un ketch tedesco con 5 persone di equipaggio era salpato con rotta verso le Canarie. L’arrivo del maltempo li coglie di notte. La situazione è impegnativa e la scelta fatta dal comandante drammatica. Invece che affrontare la tempesta in mare decide di rientrare in porto. Sbaglia l’ingresso, la costa è rocciosa e finiscono sugli scogli. Moriranno tutti. Al mio arrivo a Lanzarote vengo a conoscenza dell’accaduto e per la prima volta mi rendo conto che il mare non perdona se sbagli.
Portofino-New York, Noi all’arrivo
Nel 1979 ricordi della Mini Transat
Nel mese di settembre del 1979 mi trovavo in Inghilterra a Pensance in attesa della partenza della Mini Transat. La mia barca, il Blu Chiquita, si trovava in acqua nel porticciolo della città protetto da paratie mobili che vengono aperte o chiuse a causa dei forti dislivelli di marea. Non avendo molto da fare a bordo mi restava tempo per visitare la bellissima costa della Cornovaglia e guardare le barche concorrenti fraternizzando con gli avversari. Diventerò amico di Daniel Gilard, di Jean Luc Van Den Heede, conoscerò Loick Peyron allora ventenne e frequenterò gli altri in particolare Amy Boyer, coraggiosissima giovane americana.
In porto oltre alle nostre barche una di circa 10 metri era ormeggiata lungo il molo opposto al nostro. Era molto bella, in lamellare. Da come era attrezzata si capiva che si trattava di una imbarcazione veloce, da competizione. Era in pessime condizioni, aveva disalberato, un winch quasi staccato dalla tuga, danni alla coperta e allo scafo. Incuriosito chiedo informazioni. Aveva preso parte al drammatico Fastnet di quell’anno e l’equipaggio, viste le condizioni della barca, preso dal panico l’abbandona e sale sulla zattera di salvataggio. Non si salverà nessuno. Potrei raccontare altri episodi simili ma non è mia intenzione spaventare chi va per mare. Ci tengo a ricordare che la natura non è nemica ma va capita e rispettata.
Queste considerazioni si limitano a una veloce analisi sull’atteggiamento mentale da tenere quando si naviga.
Io
Ma la vela ha condizionato la mia vita
L’esperienza che più di tutte ha condizionato la mia vita è stata la vela, quattordici traversate oceaniche. Tre in solitario su una barca di 6 metri senza motore nel ’76, partito da Imperia, raggiungo i Caraibi e il Venezuela per poi ritornare a Imperia nel febbraio del ’78.
Azzorre Horta, murale (1982)Nel 1979 prendo parte alla seconda edizione della Mini Transat dall’Inghilterra ad Antigua.
Nel 1982 partecipo alla prima edizione della Transat des Alizées con equipaggio di ex azzurri di sci. Ci piazziamo ufficialmente secondi su circa ottanta partecipanti. Due anni dopo mi ripresento per vendicare la vittoria che ci aveva scippato un francese che a motore, sfruttando una settimana di bonaccia, aveva recuperato su noi 350 miglia. Arriveremo primi su duecento partenti, la seconda classificata arriverà un giorno e mezzo dopo noi.
L’anno successivo prendo parte alla Brooklin Cup, la Portofino New York, una regata con equipaggio misto: una donna e un uomo.
A causa della rottura di una paratia che mi obbligherà a una sosta forzata a Tolone, rottura subita quando eravamo in testa, ripartiamo ultimi. A New York arriveremo secondi, primi di classe.
Nel 1995 raggiungerò Quebec in Canada. Da allora solo charter in Mediterraneo con un’ultima traversata atlantica nel 2015. Il mio curriculum racconta quanta parte della vita abbia passato in mare o a stretto contatto con la natura.
Antonio Solero









