lunedì, Giugno 16, 2025

Davide Zerbinati a La Base a Lorient

Un pescatore bretone non si scomporrebbe se dietro l’angolo di una casa nella città murata apparisse un bucaniere; continuerebbe a fumare la pipa, ad addugliare le cime e piegare le reti con il suo berretto di lana. Questa è l’atmosfera che si respira a Concarneau una città che non è stata distrutta dai bombardamenti contro i tedeschi da parte degli alleati e che preserva le sue origini quasi intatte. Nonostante le brasserie e i negozietti di souvenir, con un po’ di fantasia si può rivivere il tempo degli antichi velieri. I pescherecci in legno sono forse un richiamo di quell’epoca di grande gloria e celebrata in molti film.

Ho poco tempo, mi sono concentrato per lavoro a La Base a Lorient, base di nome e di fatto perché era la base dei sottomarini tedeschi durante la seconda guerra mondiale.

Il genio bellico ha creato un porto al chiuso dove i sottomarini potevano essere costruiti ed essere ormeggiati con tanto di tetto e porte stagne per svuotare l’acqua e poter lavorare sugli scafi. Lo spessore dei muri è inimmaginabile e le lastre di acciaio che fanno da porte vinciane sono spesse un metro. Nonostante i bombardamenti e i relitti arrugginiti, sciacquati dalla costante marea, tutto sembra intatto. All’interno ci sono delle attività legate al Mondo della Vela come Plastimo o Lorima e piccoli atelier per i lavori di bordo.

La Base Lorient è il fulcro della vela da competizione, dai minitransat regolamentari di ultima generazione, ai proto, ai trimarani libellula ed i famosi Imoca della Vende Globe. Barche o macchine infernali che macinano miglia.

Dopo aver percorso il lato del bunker K1 del museo della vela Eric Tabarly con un gigantesco mosaico a parete incontro Giancarlo Pedote e il suo Imoca per il lavoro. Non perdiamo tempo, causa ritardo del volo a Parigi per maltempo.

La barca è tutta in carbonio pre-preg, un violino in composito che ha visto in 10 anni il cambio del rocker della prua e l’aggiunta dei foils, oltre a molte migliorie e revisioni. L’albero si trova da Gepeto un costruttore che ha realizzato molti Class 40 e un Imoca. Regna un silenzio religioso, il composito viene lavorato con la massima attenzione perché gli scafi sono talmente tirati e precisi che bisogna prestare la massima attenzione. A differenza della produzione industriale o artigiane, c’è un abisso, zero polvere e nessuno straniero, solo francesi ( siamo in Bretagna).

Ci sono altri cantieri noti qui Multiplast e CDL con l’oste di attesa di 2 anni e mezzo per creare questi velieri moderni.

Dopo essere sceso sul pontile bilanciando la schiena per non cadere a causa della ripida discesa per la marea, trovo ormeggiati Allagrande ex Pirelli ora passata di mano e IBSA dei due navigatori italiani Beccaria e Bona. Li studio un po’ e penso a tutti Class 40 periziati o ai Pogo e ai prototipi visti nel tempo. Siamo ad una nuova generazione, pozzetti protetti, murate che sembrano dei fortini, timoni con il kick off, alberi appoppati a centro barca, bompressi come stuzzicadenti. Colpiscono non solo per la forma, ma per i colori che ormai distinguono tutto nelle competizioni, nonostante siano prototipi.

Ci sono due mini, uno ha i timoni con i foil e sembra molto tirato, una ragazza bionda con i capelli arruffati traffica con uno scalpello e una altra ragazza protetta dal vento gelido lavora al PC. Sono le 21, ma c’è luce e i più temerari sono alla Base ristorante e bar seduti sulle sdraio in maglietta, ragazzi giovani, puliti che hanno appena chiuso le loro barca. La ragazza mora mi saluta e mi chiede cosa guardo, interrompendo il lavoro della scalpellina. Spiego perché sono lì, si presenta e mi spiega un po’ la barca. Rispetto ad un Imoca, la capisco subito e’ molto simile ad una barca da regata, ma il fatto che si sollevino sull’acqua fa si che la presa a mare del motore sia nella lama di deriva vicino al bulbo per pescare l’acqua mentre la barca pana a 15-25kn e tu carichi le batterie oppure ripari un timone. Se non usi i foil sei lento.onore al merito, ai rischi e all’impegno perché basta una coppiglia anche qui a buttare il lavoro di anni. Saluto e dopo guardo chi era questa ragazza semplice e gentile con il nome della barca… Caroline Boule

Mi si apre un flash mentale, un mio cliente americano arriva in stazione a Bologna e mi dice: Davide sembra Kabul, cosa fanno tutti questi giovani parcheggiati qui? Perché non lavorano?… inutile discorso, meglio tornare a Lorient e lasciare le nostre Kabul.

Sul pontile davanti al Museo ci sono due Pen Duick, un 600 e il III, ma il pontile è chiuso. C’è anche una grossa goletta da ricerca scientifica con bandiera svizzera.

Dopo aver passato il K3 c’è il pontile dei trimarani e qualche mega catamarano privato, anche qui una mega barca in alluminio con la scritta Unesco e poi molti Figaro’ e altri mono tutti con i foil.

A Concarneau trovo invece gli scafetti da 6,50 a 10m della IDB marine con le loro prue scow e colori sgargianti, stesso produttore Mojito, barche da ‘‘cabotaggio” come dicono qui, noi diremmo week ender.

La zona attorno al porto è un po’ triste e dormo nell’hotel della Gente di Mare dove la stanza è più che dignitosa per i 60€ pagati, ma nel corridoio si respira cannabis gratuita e si può camminare su una moquette consumata, ma priva di macchie di sangue.

L’orient come Saint Nazare sono state pesantemente bombardate e quindi costruite in chiave moderna a differenza di Concarneau, Nantes, La Rochelle o Vannes offrono meno e mi ricordano più Cherbourg che conserva un che di romantico. Il meteo è fresco, se c’è il sole si sta in maglietta, se c’è vento in giacca, il grigio del cielo e degli edifici storici è in contrasto con il verde brillante dell’erba e de’ acqua che passa subito al marrone per le sue alghe lunghe, spettinate di continuo dalla corrente di marea.