lunedì, Ottobre 13, 2025

Verso le Canarie

Paola ed Eugenio a bordo di Penelope2 hanno ospitato molte persone, fra le quali anche un non vedente.  Durante l’intervista che pubblicherò prossimamente, mi ha colpito il riferimento a questo personaggio: l’ho cercato, ci siamo conosciuti se pur al cellulare, e ne è nata una simpaticissima amicizia, e mi ha raccontato di avere scritto un raccontino su quell’imbarco: eccolo.

Dopo una depressione che ha interessato pesantemente tutto il mediterraneo centro occidentale causando forti mareggiate ed inconsuete nevicate soprattutto in Spagna, finalmente, lunedì 3 novembre dal porto di Almerimar, vicino Almeria, in una splendida mattina assolata, a bordo del Sun Odjssej 51, un cabinato a vela di 16 metri con cui gli skipper oceanici Eugenio e Paola sono diretti per lavoro nel paradiso dei Caraibi, sono partito, insieme a mia moglie Eliana e ad altre sei persone amanti del mare conosciute solo due giorni prima, per un indimenticabile viaggio che mi ha portato fino alle isole Canarie.

Premetto che sono un non vedente assoluto di Conegliano, amante del mare e delle barche a vela, in particolare delle derive, e che su Penelope I, questo è il nome dell’imbarcazione, ero già salito la scorsa estate per una splendida crociera di una settimana in Grecia.

A bordo, prima di partire, ci si accorda per gli orari di guardia al timone, si prende visione delle dotazioni di sicurezza, del funzionamento dei bagni e delle manovre in coperta. Per mia sicurezza prendo dei riferimenti misurando le distanze contando i passi e tastando con le dita la posizione delle drizze sugli stopper, delle scotte sui vari winch e la collocazione del sartiame e dei bozzelli, facendo tuttavia attenzione a non travolgere i miei colleghi d’avventura.

Tolti i parabordi, le prime 70 milia scivolano via gran parte a motore per l’assenza di vento, lungo una costa che sullo sfondo offre lo spettacolo delle cime imbiancate dalle nevi della Sierra Nevada. Sotto costa, dalle descrizioni, capisco che il paesaggio è brullo e punteggiato qua e la da molteplici costruzioni in grigio cemento e lucicanti nylon che coprono le numerose serre di frutta e verdura. Dietro Di noi a poche milia, ci segue per un breve tratto un altro veliero di undici metri con a bordo una simpatica coppia di Cagliari, conosciuta nel porto da dove siamo partiti, che insieme al loro scodinzolante ed affettuoso dalmata, uno splendido marinaio a quattro zampe, è diretta in Brasile.

La prima notte, a causa di un fronte temporalesco segnalato dalle cartine del meteofax di bordo, ci fermiamo a dormire nel porticciolo di Benalmadena. Un porto difficile da localizzare in quanto, con il buio della notte, i due fanali, rosso e verde, si confondono con le innumerevoli luci colorate della costa andalusa. Ci ormeggiamo in banchina, vicini al distributore di carburante, ma poco riparato dalle onde. Trascorriamo quindi una notte assai movimentata a causa del forte rollìo della barca. Ci svegliamo comunque con il buon profumo del caffè, facciamo colazione tutti insieme, anche se personalmente fatico ad uscire dal mio calduccio sacco a pelo, e poi, sbrigate le ordinarie facende igieniche, smaltiamo gli abbondanti zuccheri con una bella passeggiata nel pittoresco pueblo pieno di innumerevoli locali. Con sorpresa, l’indomani scopro che in questo posto ero già venuto, sebbene a piedi, una ventina d’anni prima, quando ancora ci vedevo, durante una vacanza nella vicina Torremolinos.

Rientrati a bordo, dopo una carbonara mozzafiato preparata da Paola e un breve relax, il nostro commandante Eugenio decide di salpare per poter oltrepassare Gibilterra con la luce del Sole e con la corrente di marea a favore. Con rotta per 240 gradi, fuori del porticciolo ci aspetta il mare di Alboràn con grandi onde sollevate da un vento teso che proviene da Sud ovest. Si mettono in pratica subito le manovre per ridurre la randa e il fiocco, le due vele maggiori, e si issa la trinchetta di prua per dare alla barca una maggiore stabilità.

Sono emozionato quando Eugenio, con un gesto di massima fiducia, mi affida il timone di sopravvento. Per avere la massima concentrazione, poso le mani sulla ruota a cercare il riferimento che indica la barra al centro, presto attenzione all’inclinazione dello scafo rimanendo in piedi a gambe un po’ divaricate e faccio il possibile per memorizzare sul viso la direzione da cui proviene il vento. Peccato che ancora non esista una bussola digitale parlante che mi dica i gradi in numero poiché riuscirei a mantenere la rotta con maggior autonomia. A parte questo particolare tecnico, che spero prima o poi venga risolto, la sensazione che provo è comunque fantastica. Mi sembra di volare leggero sulle onde, sento gli spruzzi d’acqua bagnarmi la cerata e mi piace tantissimo gustarmi le labbra piene di salsedine. Vorrei poi piangere quando dalle voci sedute in pozzetto ricevo persino dei complimenti: io, sempre alle prese nella vita quotidiana con ostacoli di ogni genere e grato a chiunque si offra per farmeli evitare, che porta a spasso nove vedenti per questo mare un po’ tormentato.

Penelope mantiene una velocità tra i 7 e i 9 nodi in bolina, siamo ben inclinati e sotto coperta tutto vibra. I colpi delle onde fanno suonare persino la campana appesa sotto coperta nel quadrato della dinette. Per qualcuna, non facciamo nomi, bracciale e cerotti non bastano per cacciare il mal di mare. Altri sembrano indifferenti alla tormenta e continuano a chiaccherare seduti al tavolo con le gambe e i piedi ben puntati. Nelle cabine invece, chi cerca di riposare, deve legarsi per non rotolare. Tuttavia milia dopo milia, come prevedeva il bollettino meteo ricevuto con la radio VHF di bordo, il vento diminuisce la sua intensità e, a poche ore da Gibilterra, Penelope I rallenta decisamente la sua galoppata.

Lo stretto di gibilterra, oltre ad essere la porta d’ingresso delle perturbazioni atlantiche, è molto insidioso, soprattutto di notte, per le sue correnti e per l’abbondante traffico marittimo. Il veneziano Bepi, un ufficiale di marina che nonostante i suoi 80 anni dicono abbia un aspetto giovanile, descrive, riconoscendole dalle luci di via, tutte le tipologie delle grandi navi che quasi sfioriamo.

Come previsto, mercoledì 5 novembre, alle prime luci dell’alba, oltrepassiamo le mitiche colonne d’Ercole e subito dopo la punta spagnola di Tarifa, il grande Oceano Atlantico si presenta con tutto il suo vigore. Il rumore che sento tutt’attorno sembra quello di una pentola in ebbollizione. A prua abbiamo ancora un’onda da sud ovest, residuo della precedente depressione, che si contrasta con una forte corrente di marea e con i 20/25 nodi di vento che soffiano dal quadrante nord occidentale. Una condizione difficile che ci limita la velocità a soli tre nodi con mure a dritta. Solo l’abilità e l’esperienza del nostro skipper ci permette, dopo un paio d’ore di bordi a zig zag, di superare con sollievo il Capo marocchino di Espartel.

L’oceano, per la sua onda lunga e ritmata che assomiglia ad un profondo respiro, a differenza dei precedenti mari, consente una navigazione più fluida. In più, grazie al vento che gradualmente si sposta verso est, possiamo aprire le vele e navigare con un’andatura al lasco. L’effetto di tutto questo è il raddrizzamento dello scafo, fin prima inclinato dall’andatura di bolina. Finalmente non si vive a bordo più in posizione obliqua La temperatura, grado dopo grado che scendiamo di latitudine diventa sempre più gradevole e ben presto sul tavolo allargato in pozzetto riappaiono stuzzichevoli aperitivi, si stappa e si brinda al parallelo appena superato, si mangia il pane fresco e i dolcetti sfornati dalla cucina di bordo. Sembriamo voraci cavallette quando divoriamo le squisite prelibatezze preparate dalle mani di Paola.

Spesso ci vengono a trovare i delfini, si vedono nuotare le tartarughe o, mentre qualcuno di noi cerca di abbronzarsi al sole, ci balza in coperta qualche invadente pesce volante. Un giorno, arrivato dal nulla, si è unito al nostro equipaggio anche una piccola rondine di mare. Un uccellino tremante che, soccorso e coccolato dalle amorevoli mani delle quattro signore a bordo, ha pernottato da noi sul ponte di prua, tra la pazienza e il tender, lasciandoci pure numerosi ricordini. Il bello è che alla mattina seguente, prima di riprendere il suo volo, ci ha sciolto il cuore dedicandoci un inedito e melodico canto di ringraziamento.

Nelle notti, quando a poppa l’Aliseo soffia deciso, il mare ha il rumore di una grande cascata ed è imbiancato dalla spuma dei frangenti che riflettono con la luna. In coperta, durante i turni, siamo sempre in tre persone e sebbene la mia seconda guardia sia dalle tre alle sei di mattina, rimanere fuori a queste latitudini è straordinariamente bello. Con gli occhi di chi è fuori con me, sempre attenti a dare l’allarme se qualche nave incrocia pericolosamente la nostra rotta, riesco a vedere a modo mio la bianca scia che lasciamo a poppa. Guardando in su, verso l’infinito universo, sogno anch’io pensando alle stelle cadenti.

La mattina del 11 novembre, verso le 6, alla nostra prua, i lampi del faro di Santa Cruz di Tenerife segnano per me la fine di un fantastico viaggio nel quale ho conosciuto persone straordinarie e che mi ha insegnato ancor di più a rispettare ed amare la natura.