lunedì, Dicembre 15, 2025

L’isola di Pasqua

Vi ho già raccontato come venivano spostati i Moai dai luoghi di scavo e lavorazione ai siti dove oggi li troviamo (LEGGI L’ARTICOLO). È altrettanto interessante questo articolo che spiega la tecnica segreta degli scultori di Rapa Nui:  come nascevano i giganti dell’isola?

Gli archeologi sanno da tempo dove si trovano le grandi statue dell’isola di Rapa Nui e quale ruolo avessero per le comunità locali, ma la questione centrale su come fossero state modellate nella cava vulcanica di Rano Raraku è rimasta per decenni sospesa tra ipotesi parziali e interpretazioni frammentarie.
L’assenza di segni di taglio profondi e la conformazione tenera della roccia avevano suggerito lavorazioni progressive, ma la sequenza tecnica non era mai stata osservata con sufficiente precisione.
La nuova ricostruzione tridimensionale elaborata da un’équipe internazionale consente ora di descrivere con rigore ogni gesto compiuto dagli artigiani polinesiani durante la creazione dei colossi.
Una nuova ricostruzione 3D rivela come gli iconici moai di Rapa Nui sono stati scolpiti nella cava di Rano Raraku.
Il passo decisivo è stato ottenuto grazie all’uso combinato di fotogrammetria ad alta densità e Structure-from-Motion, un metodo che ricostruisce la geometria di un oggetto partendo da centinaia di immagini sovrapposte.
Il procedimento genera un modello realistico che non riproduce solo i volumi generali, ma registra anche le minime irregolarità superficiali.
Su Rano Raraku questa capacità di lettura fine ha rivelato un sistema di scavo sorprendentemente modulare, impercettibile a occhio nudo.


Una nuova ricostruzione 3D rivela come gli iconici moai di Rapa Nui sono stati scolpiti  nella cava di Rano Raraku.
Crediti: Hal Cooks, Unsplash

Le leggere variazioni di planarità presenti su alcuni Moai indicano che ogni superficie veniva ottenuta tramite una rimozione differenziata della pietra, guidata da utensili di basalto maneggiati con precisione ripetitiva.
Il risultato non era una scultura costruita in un’unica fase continua, bensì l’accumulo paziente di micro-interventi coordinati.


Modello tridimensionale della cava di Rano Raraku prodotto tramite fotogrammetria Structure-from-Motion.
Crediti: CP Lipo et al., PloS One (2025)

Il corpo delle statue appare quindi come un insieme di segmenti lavorati in sequenza.
La fotogrammetria ha permesso di osservare sottili transizioni tra blocchi di scavo contigui, quasi invisibili dopo secoli di erosione.
Questa scoperta modifica l’immagine tradizionale dell’artigiano che modella la statua avanzando dall’alto verso il basso; ciò che emerge è una pratica più articolata, basata sulla suddivisione del fronte roccioso in porzioni gestibili e sull’adattamento continuo agli strati del tufo.
Le superfici laterali, apparentemente levigate in modo uniforme, mostrano invece una fitta rete di minuscole faccette, ciascuna corrispondente a una fase di rimozione calibrata.
L’uso di utensili in pietra più dura rispetto al tufo locale spiega l’assenza di tracce nette: non incisioni profonde, ma una successione di impatti controllati, riconoscibili solo attraverso il modello tridimensionale.


Tecnica di produzione svelata attraverso la modellazione 3D.

La nuova ricostruzione digitale ha inoltre permesso di analizzare la fase iniziale di distacco del profilo dalla parete della cava.
Si osserva come gli scultori tracciassero dapprima la silhouette del Moai direttamente sul banco di tufo, poi procedessero ad abbassare gradualmente la superficie circostante fino a ottenere un rilievo sempre più pronunciato.
È un metodo che sfrutta al massimo le proprietà della roccia locale, compatta ma facilmente sgretolabile, e che richiede una conoscenza approfondita dei suoi punti di debolezza. Gli studiosi hanno potuto identificare zone di compressione residua e leggere tensioni interne, testimonianze di come l’artigiano sapesse anticipare il comportamento della pietra per evitare fratture catastrofiche. Questa perizia spiega l’uniformità delle forme e la relativa scarsità di statue incompiute rotte in fase di produzione.

Sono stati identificati diversi metodi di produzione nelle diverse aree dell’officina.

Uno degli aspetti più affascinanti è la nuova possibilità di distinguere le diverse squadre di lavoro attive nella cava.
Alcune statue presentano moduli di scavo più larghi, altre una tessitura di faccette estremamente minuta. Ciò suggerisce specializzazioni diverse, forse legate a lignaggi o gruppi familiari con competenze proprie. La ricostruzione 3D, applicata in modo sistematico, consente così di leggere nella pietra una sorta di firma tecnica, utile per ricostruire la geografia sociale del sito durante il periodo di maggiore attività.
La parte posteriore dei Moai fornisce ulteriori informazioni: anche qui la fotogrammetria ha rivelato irregolarità coerenti con un procedimento per piani successivi.
La scolpitura della schiena, spesso descritta come meno rifinita rispetto al volto, appare invece frutto di una strategia di alleggerimento della massa, indispensabile prima di liberare completamente la statua dal banco roccioso.
L’analisi tridimensionale mostra come gli scultori calcolassero con precisione la curvatura necessaria per mantenere l’equilibrio durante la fase di distacco finale, quando la statua veniva fatta scivolare su letti di pietre e fibre vegetali.

Infrastruttura ingegneristica a supporto della produzione decentralizzata.

 Il ricorso al Structure-from-Motion ha permesso anche di confrontare statue in fasi diverse della lavorazione, fornendo per la prima volta una sequenza convincente dello sviluppo tecnico: dal rilievo abbozzato, con i tratti appena accennati, fino al pieno modellato del volto con sopracciglia scolpite, naso prominente e mento definito.
Le proporzioni risultano mantenute grazie a un sistema di riferimenti ricorrenti, non un canone formale astratto, ma un metodo pratico basato sulla replicazione di rapporti tra segmenti verticali.
Le nuove evidenze scientifiche danno forma a un’immagine precisa del processo creativo, rivelando un’attività artigianale complessa e altamente specializzata.
Il modello tridimensionale non restituisce solo le figure, ma anche il ritmo del lavoro, l’organizzazione della cava, la distribuzione delle competenze, l’evoluzione del gesto tecnico.
Un risultato che, per la prima volta, avvicina la ricerca alla comprensione diretta dei metodi con cui vennero scolpite alcune delle opere più celebri del Pacifico, modellate con una dedizione che la roccia sembra ancora custodire sotto la propria superficie.
Una nuova ricostruzione 3D rivela come gli iconici moai di Rapa Nui sono stati scolpiti nella cava di Rano Raraku.

Identificazione dei confini tra le aree dell’officina.

Il passo decisivo è stato ottenuto grazie all’uso combinato di fotogrammetria ad alta densità e Structure-from-Motion, un metodo che ricostruisce la geometria di un oggetto partendo da centinaia di immagini sovrapposte.
Il procedimento genera un modello realistico che non riproduce solo i volumi generali, ma registra anche le minime irregolarità superficiali.
Su Rano Raraku questa capacità di lettura fine ha rivelato un sistema di scavo sorprendentemente modulare, impercettibile a occhio nudo.
Le leggere variazioni di planarità presenti su alcuni Moai indicano che ogni superficie veniva ottenuta tramite una rimozione differenziata della pietra, guidata da utensili di basalto maneggiati con precisione ripetitiva.
Il risultato non era una scultura costruita in un’unica fase continua, bensì l’accumulo paziente di micro-interventi coordinati.
Il corpo delle statue appare quindi come un insieme di segmenti lavorati in sequenza.
La fotogrammetria ha permesso di osservare sottili transizioni tra blocchi di scavo contigui, quasi invisibili dopo secoli di erosione.
Questa scoperta modifica l’immagine tradizionale dell’artigiano che modella la statua avanzando dall’alto verso il basso; ciò che emerge è una pratica più articolata, basata sulla suddivisione del fronte roccioso in porzioni gestibili e sull’adattamento continuo agli strati del tufo.
Le superfici laterali, apparentemente levigate in modo uniforme, mostrano invece una fitta rete di minuscole faccette, ciascuna corrispondente a una fase di rimozione calibrata. L’uso di utensili in pietra più dura rispetto al tufo locale spiega l’assenza di tracce nette: non incisioni profonde, ma una successione di impatti controllati, riconoscibili solo attraverso il modello tridimensionale. Tecnica di produzione svelata attraverso la modellazione 3D.
La nuova ricostruzione digitale ha inoltre permesso di analizzare la fase iniziale di distacco del profilo dalla parete della cava. Si osserva come gli scultori tracciassero dapprima la silhouette del Moai direttamente sul banco di tufo, poi procedessero ad abbassare gradualmente la superficie circostante fino a ottenere un rilievo sempre più pronunciato.
È un metodo che sfrutta al massimo le proprietà della roccia locale, compatta ma facilmente sgretolabile, e che richiede una conoscenza approfondita dei suoi punti di debolezza.
Gli studiosi hanno potuto identificare zone di compressione residua e leggere tensioni interne, testimonianze di come l’artigiano sapesse anticipare il comportamento della pietra per evitare fratture catastrofiche.
Questa perizia spiega l’uniformità delle forme e la relativa scarsità di statue incompiute rotte in fase di produzione.
Sono stati identificati diversi metodi di produzione nelle diverse aree dell’officina. Uno degli aspetti più affascinanti è la nuova possibilità di distinguere le diverse squadre di lavoro attive nella cava.
Alcune statue presentano moduli di scavo più larghi, altre una tessitura di faccette estremamente minuta. Ciò suggerisce specializzazioni diverse, forse legate a lignaggi o gruppi familiari con competenze proprie. La ricostruzione 3D, applicata in modo sistematico, consente così di leggere nella pietra una sorta di firma tecnica, utile per ricostruire la geografia sociale del sito durante il periodo di maggiore attività.
La parte posteriore dei Moai fornisce ulteriori informazioni: anche qui la fotogrammetria ha rivelato irregolarità coerenti con un procedimento per piani successivi.
La scolpitura della schiena, spesso descritta come meno rifinita rispetto al volto, appare invece frutto di una strategia di alleggerimento della massa, indispensabile prima di liberare completamente la statua dal banco roccioso.
L’analisi tridimensionale mostra come gli scultori calcolassero con precisione la curvatura necessaria per mantenere l’equilibrio durante la fase di distacco finale, quando la statua veniva fatta scivolare su letti di pietre e fibre vegetali.
Il ricorso al Structure-from-Motion ha permesso anche di confrontare statue in fasi diverse della lavorazione, fornendo per la prima volta una sequenza convincente dello sviluppo tecnico: dal rilievo abbozzato, con i tratti appena accennati, fino al pieno modellato del volto con sopracciglia scolpite, naso prominente e mento definito.
Le proporzioni risultano mantenute grazie a un sistema di riferimenti ricorrenti, non un canone formale astratto, ma un metodo pratico basato sulla replicazione di rapporti tra segmenti verticali.
Le nuove evidenze scientifiche danno forma a un’immagine precisa del processo creativo, rivelando un’attività artigianale complessa e altamente specializzata.
Il modello tridimensionale non restituisce solo le figure, ma anche il ritmo del lavoro, l’organizzazione della cava, la distribuzione delle competenze, l’evoluzione del gesto tecnico.
Un risultato che, per la prima volta, avvicina la ricerca alla comprensione diretta dei metodi con cui vennero scolpite alcune delle opere più celebri del Pacifico, modellate con una dedizione che la roccia sembra ancora custodire sotto la propria superficie.