lunedì, Ottobre 7, 2024

Burrasca, che fare?

Cosa  bisogna fare in una situazione meteo estrema

L’estate torrida che abbiamo vissuto, ha surriscaldato il Mediterraneo in modo decisamente anomalo e preoccupante. Un accumulo di energia che inevitabilmente prima o dopo doveva finire per sfogare in un fenomeno meteorologico estremo, come infatti è avvenuto il 18 agosto quando una forte burrasca ha colpito la Corsica Occidentale: 40 minuti di vento fortissimo, oltre 50 nodi, molti danni e spiaggiamento di  oltre 40 barche.

Quello che stavolta ha davvero sconvolto tutti è stata l’intensità mostruosa del vento che in alcune località ha superato i cento nodi: una situazione ingestibile per qualunque velista, soprattutto per i vacanzieri agostani, per lo più charteristi ed equipaggi familiari.

Uno skipper, Gianluca Marcon, si trovava alla fonda a circa 15 miglia da Aiaccio,  a bordo di un charter, un Elan 434, quando la mattina appena prima delle 8, con ancora il caffelatte in mano, mette fuori la testa dal tambucio per dare un’occhiata in giro, e si vede avanzare sopra la testa  delle nubi a mensola, solide, vive, da cui scendono quelli che sembrano dei tentacoli.

Il primo pensiero è di scappare, e da buon comandante sa che in questi casi è meglio stare in mare aperto piuttosto che alla fonda,  anche perchè la sera prima attorno si erano radunate altre barche e purtroppo, come capita in agosto, sono tutte vicini, troppo vicine!

Chiama in coperta i ragazzi con cinture e cerate, accende il motore, l’aria è incredibilmente ferma, si sente solo il borbottio del Volvo Penta… A prua un ospite ha il comando del salpancora in mano, inizia a salpare, ma come arrivano le prime raffiche a 30-35 nodi  la barca si traversa e solo aumentando di giri riporta la prua al vento per poter recuperare l’ancora.

A tutto gas punta il largo, prua ad ovest, finché ancora riesce a vedere qualcosa:  una barca inglese sfila a pochi metri ed  un’altra è alle prese col tender. A pieni giri si allontana per guadagnare acqua preziosa, ed il groppo comincia a ruggire, inghiottendo la costa.

Il vento soffia sempre più forte e il mare è coperto da banchi di schiuma, la visibilità è di circa una ventina di metri: stima che ci siano ben oltre i 60 nodi, durante la burrasca non si vede niente, e per l’equipaggio sono 40 minuti interminabili.

Ho letto con attenzione il suo racconto, perchè mi hanno colpito il comportamento che ha tenuto e le riflessioni che ha fatto nel pieno della burrasca, e ve le riporto fedelmente:

 

<<….Io sono stordito dagli schizzi di pioggia che mi arrivano in faccia; metto la maschera da sub, almeno per riparare gli occhi. Non si vede più niente e le raffiche attaccano la barca a secco di vele.

Cerco di capire dove sono, ma siamo circondati da una coltre bianca e assordante e l’unico ausilio è il plotter in pozzetto e la bussola, che indicano la nostra posizione a circa un paio di miglia dalla costa, proprio davanti alla spiaggia di sabbia.

Cerco di restare fermo lì: quando il vento spinge verso terra, marcia avanti a tutta forza per tener su la prua e prendere l’onda al mascone, quando invece il vento spinge al largo mi lascio scarrocciare a quasi 3 nodi. Alcune raffiche sono però così forti che non c’è niente da fare e la falchetta si tuffa in acqua.  Quando riprendiamo la dimensione verticale, la barca diventa nuovamente manovriera e proviamo ad offrire al vento il lato opposto a dove si trova la presa a mare del nostro diesel, perché ho paura che il motore aspiri aria e si surriscaldi.

L’altra paura che mi assale è che le morchie del serbatoio, sballottate dal rodeo che stiamo facendo, possano entrare nel circuito di alimentazione intasando i filtri.

Entrambe le ipotesi, tremende, mi priverebbero del motore, nel qual caso, ragiono tra me e me, non resterebbe che dare fondo all’ancora e attendere di toccare una batimetrica ragionevole, sperando, nell’ipotesi migliore, che l’ancora faccia testa e tenga la posizione. In pratica ritornerei alla casella di partenza, sopravvento a chi nel frattempo è rimasto alla fonda.

Nell’ipotesi peggiore, avremmo trascinato la nostra ferraglia sul fondo rallentando comunque il momento in cui saremmo finiti in costa, ma almeno avremmo guadagnato tempo e in queste circostanze resistere 5 minuti in più può fare la differenza, visto che tutto il groppo si è risolto in 30-40 minuti.

L’imperativo è comunque tenere duro, stare a galla e lontano dalle altre barche e dalla costa.

Non importa quanti nodi ci sono, quanta onda, quanto si balla, prima o poi questi groppi devono passare, mi dico, e cerco di trovare forza in questa convinzione……>>

 

E infatti, dopo una quarantina di minuti interminabili, così com’è arrivato, il groppo  se ne va,  Gianluca è  mezzo congelato, trema, ma ritrova i visi dell’equipaggio e un sollievo, un’euforia si impadronisce di tutti: tornano verso terra e danno fondo nuovamente. Sanno di essere stati fortunati, perchè poche miglia più a nord decine di barche sono state sacrificate alla furia del vento: alla Girolata decine di barche spiaggiate, disalberate, distrutte.

 

L’ESPERIENZA INSEGNA

Fino alla sera prima le previsioni indicavano un fronte temporalesco che avrebbe investito il nord della Sardegna con venti oltre i 50 nodi, tant’è che alcune società di charter avevano richiamato indietro tutte le unità che navigavano nell’area delle bocche di Bonifacio.

……ma non c’era molto da fare, perché di rifugiarsi in porto non se parla in agosto, in Corsica, perché i posti sono prenotati da settimane e in ogni caso, una barca a vela, non poteva scappare da lì sperando di schivare la linea frontale, visto che avanzava a 100kmh.

In questi frangenti le scelte a disposizione sono sostanzialmente due: o si lascia immediatamente l’ancoraggio oppure si cerca di resistere all’ancora.

Continua il suo racconto:

<<…….Io ho preferito salpare velocemente e guadagnare il largo, perché il pomeriggio del giorno prima alcune imbarcazioni si erano ancorate davanti alla mia prua e, ammesso anche che la mia ancora non arasse, non potevo accettare di consegnare la sicurezza della mia barca nelle mani di altri.

Chi mi assicurava che le barche vicine non avrebbero arato o che il loro calumo avrebbe retto?

Puoi essere anche il più bravo della baia, ma se ti vengono addosso, rischi che ti strappino lo strallo e l’albero ti cade in testa, come è successo alla Girolata. Qui infatti decine di barche giacevano distrutte sulla costa perché la loro ancora aveva mollato, molte però erano ancora ancorate o addirittura alla boa, ma disalberate e devastate dalle barche che aravano fuori controllo. Per quanto mi riguarda dunque, se ci sono barche vicine, si fila via quando le cose si mettono male.

D’altra parte, non è detto che la mia ancora avrebbe tenuto: quella non era la mia barca, dove posso sovradimensionare e scegliere la linea di ancoraggio, magari con un’ancora di ultima generazione e catena certificata.

Ero su una barca da charter datata con una dotazione standard e la catena non era sicuramente nuova (anzi la catena era giuntata in alcuni punti con delle false maglie in inox che riducevano la tenuta della linea….>>