Crociera delle isole
Crociera delle Isole- 1
Premessa
La vita è strana e foriera di continue sorprese, ti porta a sognare nuove sensazioni ed a fare programmi che non sono assolutamente relazionabili con le tue precedenti esperienze.
Alcuni anni orsono, all’inizio dei miei tardivi tentativi di conoscere il mare, mi sono trovato a circumnavigare una piccola e sconosciuta isola, la Gallinara, sita a pochi passi (passi?, la tradizione ed i termini di terra non mi abbandoneranno mai, sono parte del mio bagaglio culturale e del mio modo di esprimermi) dalla costa ligure tra Albenga ed Alassio: ne ho ricavato una forte impressione di mondo chiuso in se stesso (non è visitabile) e nello stesso tempo aperto a tutti.
Il mare, il vento, gli uccelli, il sole, la pioggia, sicuramente anche i pesci sono gli incontrastati padroni di quel piccolo mondo autonomo. Il porticciolo, la chiesetta in alto, una struttura di palazzotto rinascimentale, dei muri a secco sono le tracce visibili lasciate dall’uomo, ma sembrano provvisorie, sicuramente destinate a sparire. Sul “continente” invece le tracce umane sono incombenti, non sono eludibili, si impongono negli angoli più impensati.
Scali il Bianco, il Rosa, il Cervino, una qualsiasi montagna sconosciuta e trovi una croce (o un “omino” di sassi) a ricordarti che qualcuno ti ha preceduto, vai per campi o per erte montane e trovi case abitate, capanne abbandonate, sentieri, purtroppo anche cartacce ed altro: ti senti un intruso, uno che viola spazi con memorie di altri, memorie che dovremmo lasciare intatte e non calpestate.
Il mare conserva invece le tue tracce in modo esclusivo, personalizzato e visibile solo da te e dalla tua mente: un tuo tuffo (per me sempre pericoloso, nuoto a “mattone”), la scia della tua barca, il fruscio dell’acqua sulla carena e le bolle di schiuma ai lati sono un attimo, si fissano nella tua memoria e rimangono vive e presenti per te, ma, nello stesso tempo, non sono mai esistite per gli altri.
Il mare, questo sconosciuto.
Ricordo alla fine del liceo un professore che parlava dei tramonti e delle albe sul mare, tutti i miei compagni commentavano ed aggiungevano particolari, io stavo zitto: a 19 anni non avevo mai visto il mare direttamente, ma solo in qualche film e raramente al telegiornale (a quei tempi da un’unica rete e condotto da un mezzo busto che leggeva le notizie con qualche rarissima immagine).
Poco più di dieci anni orsono venni, come si suol dire, folgorato sulla strada di Gerico: un cliente (meglio un amico) di Vibo (Calabria) una domenica mattina mi ha di forza imbarcato su un suo grosso peschereccio (il “poveretto” aveva anche un cantiere navale) ed ho passato una strana domenica in un mondo per me sconosciuto, il mare (per di più in leggera burrasca), tra Vibo Marina e capo Vaticano. Ad un inizio giornata di estrema indifferenza (quando non lavoravo o non guidavo un’auto a non far nulla venivo colto da attacchi di sonno) è seguita una esperienza affascinante, che mi ha prima sorpreso e poi coinvolto. Avevo scoperto il fascino del mare, bellissimo e terribile nella sua continua richiesta di attenzione: la montagna non ti perdona nulla, ma normalmente puoi trovare un anfratto, un appiglio, una buca dove ti fermi e puoi riprendere fiato. Il mare non solo non ti perdona nulla, ma non ti offre nessuna possibilità di pausa, è una sfida continua tra il tuo fragile e piccolissimo guscio (la “tua” barca) e le forze della natura: onde, raffiche di vento, altre barche, le coste (la terra che normalmente ti è amica e che invece dal mare va avvicinata con estrema cautela) richiedono sempre la tua attenzione, anche in condizioni normali. Da allora, esagerato come sempre, ho pianificato e realizzato un cambio di vita, sganciandomi dal lavoro per fare del mare uno dei miei interessi principali: acquisto di una barca, patente nautica, corso di nuoto (non avevo mai imparato a nuotare), prime uscite in mare, prime scoppole (fortunatamente senza danni) che mi hanno “imparato” che con il mare non si scherza, ma ci si deve assoggettare ad un duro e lungo tirocinio per avere una ragionevole probabilità di non far danni (soprattutto ad altri) e di godere della gamma infinita di sorprese che il mare ti può riservare.
Alcune uscite in compagnia, ma sono un solitario per natura ed ho preferito continuare da solo: come si affrontano i vari gradi di “forza” di vento e mare? Andandoli a cercare in condizione di ragionevole sicurezza anziché subirli a sorpresa e senza alcuna esperienza. La barca va prima scelta in funzione dei tuoi obiettivi, poi devi imparare a gestire le risorse della “tua” barca, a conoscerne le reazioni nelle più svariate condizioni, a prevenire i guasti più ricorrenti e a riparare personalmente ed in qualsiasi situazione qualsiasi “pezzo” si rompa, a valutare la sequenza dei guasti possibili derivabili da un primo inconveniente (sono come le noccioline, uno tira l’altro).
Ho imparato abbastanza? NO!, c’è sempre qualcosa di nuovo ed imprevisto, ma il mare mi ha insegnato la “calma”. Più la situazione diventa seria e più il responsabile di una unità in mare deve diventare freddo, deve dominare e nascondere i suoi timori e le sue paure, deve essere calmo sia quando è da solo, sia, soprattutto, quando è responsabile di altre persone: deve inoltre sapersi imporre, con fermezza ed anche con durezza se necessario, dare ordini che non devono essere discussi ma eseguiti immediatamente, prendere (metaforicamente ma ….) a “pedate nel c…” chi fa di testa propria senza chiedere l’approvazione di chi gestisce la barca. Infatti i pochi guasti gratuiti (cioè evitabili) che ho avuto in 8 anni di barca a vela sono sempre derivati da manovre a sorpresa eseguite (sicuramente a fin di bene, il che è solo peggiorativo) da altri senza concordarle con chi è al timone.
Passo normalmente un paio di giorni a settimana in mare, più in autunno/inverno che in estate: in primavera invece ho iniziato negli ultimi anni a programmare crociere sempre più lunghe in solitario, inizialmente non per scelta ma perché è difficile trovare persone che siano libere da impegni per lunghi periodi e che nello stesso tempo abbiano un carattere compatibile con il mio, successivamente invece ho deciso di navigare da solitario per scelta ragionata. Alla base ci sono ovviamente caratteristiche mentali che ti fanno preferire la solitudine alla compagnia di altre persone, in montagna, infatti, sono andato spessissimo da solo, mentre in mare ero inizialmente frenato dall’acqua che non ho mai amato molto, poi un semplice ragionamento mi ha risolto il problema: la vita è mia, il destino è una conseguenza delle mie azioni. Se programmo un’uscita in mare basandomi su quello che ho imparato del mare sono sullo stesso piano di quando facevo una scalata in notturna da solo: sono cosciente di correre dei pericoli, sono pronto a subirne le conseguenze, quindi perché starci a pensare?
Si fa un programma di massima, ci si prepara mentalmente e si parte.
Per quest’anno mi sono organizzato una crociera solitaria di quasi due mesi da Imperia, per le isole Tirreniche fino alla Sicilia, poi alla Tunisia e ritorno per Sardegna/Corsica Ovest con una tappa obbligata a Palermo per la “Velista x tutti” dal 22 al 25 maggio.
Mi annoia molto sia l’andare a motore (anche se so che per alcuni tratti lo dovrò usare), sia la confusione di porti e rade affollati: la primavera garantisce vento e tranquillità.
Ho dedicato qualche giorno alla barca per la manutenzione ordinaria, molto meno alla cambusa (pasta, minestre liofilizzate, sughi pronti, qualche scatoletta e …salama qb) ed alla cantina (normalmente rifornita di suo).
Partenza
L’avvio non è dei migliori, vorrei partire il 27 aprile ma le previsioni danno burrasca sul Ligure, il Mistral ha da poco iniziato ad imperversare e si prevede che seguirà la solita routine di tre giorni. Il 29 mattina parto da Milano prima delle sette (per evitare il traffico), le previsioni dicono che la forza del vento decresce. Alle 11 sono tentato di partire ma le scoppole prese a Capo Corso in altre occasioni mi consigliano prudenza e passo la giornata in acquisti, un buon ristorante e lavoretti, sono teso, non provo nemmeno a dormire: alle 18 mollo gli ormeggi, rotta 120° su Capraia (in alternativa punterò su Macinaggio o direttamente sull’Elba).
Marina Aregai / Marina di Campo: 29-30/4
Il vento soffia da Ovest tra i quindici/venti nodi, il mare non è proprio tranquillo con onde al giardinetto tra i due ed i tre metri, vele piene e minimo 7 nodi con punte fino a 9 mi fanno volare fino verso mezzanotte: mi alterno al timone con il fido Asdrubale (non voglio consumare troppa energia elettrica), fa freddo ed è molto buio, il mare è deserto (non avvisterò nulla fino all’Elba) ma non ci sono particolari problemi, ora sono rilassato ed un buon bicchiere di vino ed un panino mi danno energia.
Dopo mezzanotte il vento cala a 10 nodi (come da previsioni) ma inizia a ruotare verso nord (era previsto costante da W, amen) fino a trovarmelo di poppa piena, il mare è troppo agitato per mettermi a farfalla, cambio programma e punto a scapolare capo Corso in direzione di Macinaggio. Prima dell’alba sono vicino alla Giraglia con onde costanti oltre i tre metri, gira e rigira sempre in questo pezzo di mare di m…. vado a finire: il vento diventa irregolare come direzione e cala ancora, avvio il motore e procedo a 6 nodi a caccia del ridosso della Corsica, è nuvolo, non si vede quasi nulla ma non ci sono pericoli particolari. Purtroppo un treno di onde irregolari provoca alla povera Camilla un paio di spanciate consecutive dal rumore infernale, è un momento persino bello ma immediatamente il ronfare regolare del motore cambia, sento un forte rumore di metallo contro metallo che diminuisce quando l’onda mi colpisce a dritta ed aumenta di brutto quando l’onda è passata: metto il motore al minimo, il rumore diminuisce ma è sempre di tipo metallico, meglio spegnere ed andare a vela sfruttando il poco vento (ora da Nord). Abbandono l’idea di andare a Macinaggio (non so se potrò usare il motore e gli scogli sottovento non mi sono mai piaciuti) ed allargo verso l’Elba: riaccendo il motore, metto in folle e provo a vari livelli di accelerazione, il rumore non è di motore fuso (la temperatura è normale, idem l’olio, lo scarico dell’acqua a mare regolare) ma deriva da un battito contro la struttura della barca. Dopo le 8 chiamo il mio fidato meccanico di Loano (uno dei pochi artigiani “marini” di cui mi fido), gli spiego il problema, riaccendo il motore e lui ascolta tramite il cellulare e poi il verdetto: si è rotto o il silent block o il supporto motore. Crociera finita? Io tornerei, dice il Marietto, ma se lo usi poco e non lo forzi il rischio di rottura definitiva del supporto motore è minimo (non me la sono sentita di spiegargli che avevo davanti ancora almeno 1.600 miglia, gli ho parlato di un giretto intorno all’Elba). Io amo il rischio calcolato, usare poco il motore è un must per me, non forzare a motore anche, si va avanti.
Il venticello da nord si mantiene costante, il mare è sempre più calmo, il cellulare si collega (Tim a 100 metri dal confine non la becchi più, i francesi invece occupano gli spazi liberi), studio le previsioni (vento da nord 10/20 fino a domani) e decido per il sud dell’Elba. Giornata passata a sonnecchiare per sbollire l’incazzatura, c’è un po’ di sole, si naviga, trovo il tempo di perdere un tonnetto (si è ingurgitato il pescetto montato sulla canna piccola, il filo non ha retto). Provo ad ormeggiare nella baietta della Fetovaia, il vento è da nord ma non c’è ridosso anzi picchia tra 15/20 nodi, provo un altro paio di piccole baie, ma come funziona il ridosso nelle isole? Si va a Marina di Campo, alle 22 del giorno 30 calo ancora (e grappino afforcato) in 10 metri d’acqua di fronte a La Foce, cena frugale (pasta e fagioli pronta in 10 minuti, due fette di salame, vino, grappino in pozzetto sotto le stelle) e poi a nanna: sono sveglio da quasi 40 ore, anche se alcune pennichelle da dieci minuti l’una mi hanno attenuato la fatica.
28 ore di navigazione, circa 130 mn, 40 più del pianificato, quasi tutto ok, mannaggia al motore (ed a Capo Corso): “domani è un altro giorno, si vedrà”.
Marina di Campo/Pianosa/Montecristo/Giglio: 01/05
Sveglia nel sole, vento da nord sui 15/18 nodi, passo davanti al porto di Marina C. (brutto porto, scogli, barche di traverso, ho fatto bene a stare all’ancora), mi metto a farfalla direzione Montecristo (Pianosa la vedrò un’altra volta), mi auguro che il vento rinforzi, avrei una scusa (forse valida ed accettata, tentar non nuoce) per attraccare a Montecristo. Giornata bellissima, un po’ fredda, bel vento, mare deserto: ma non è il primo maggio? Sono le 9, si sveglieranno tardi i marinai della domenica. Poco dopo noto una vela lontana, oltre Punta Calamita (Elba): evviva non sono solo.
Quasi subito squilla il cellulare, è Pietro Cambi, mi chiede dove sono (sapeva che sarei stato dalle parti di Elba/Giglio per il 1° maggio) perché mi vorrebbe sulla sua barca (Aleph, un First 40.7) in trasferimento dalla Toscana alla Sardegna: belin, è in compagnia dello Scarnicchia e di un terzo velista, non gli bastano quattro orecchie a sua completa disposizione? Il colloquio è a sorpresa, il mio fedelmente riportato, quello di Pietro ridotto del 90% (non è vero ma Pietro è il primo a scherzare sulla sua loquacità).
- No caro Pietro, non mi cucchi, sto andando a Montecristo
- Ma da dove sei partito?
- Da Marina di Campo
- Ma allora sei la vela bianca verso Ovest
- E tu quella verso Est?
- Ti raggiungo in mezzora, la mia barca va il doppio della tua, ………
- Pietro cala, facciamo così, viro verso Pianosa, ci incontriamo davanti al porto.
Incredibile, due barche di Velisti che si incontrano per caso in mare aperto.
Io non amo le regate ma Pietro mi ha stuzzicato, metto alla frusta Camilla, regolo le vele ad ogni minima variazione di vento, l’Aleph non si avvicina, punto a nord di Pianosa per circumnavigarla (questo termine mi ha sempre affascinato), entro ed esco in continuazione dall’area vietata, ritiro le canne per prudenza, l’Aleph sparisce dietro Pianosa, scatto fotografie in continuazione, nei punti interessanti mi avvicino moltissimo alla costa, non c’è nessuno in circolazione e decido di rischiare perché il paesaggio è molto bello.
Verso Punta Secca rivedo la barca di Pietro ancora lontana, lui fa la sua rotta, io non ho vincoli di orari o di rotta, davanti al porto di Pianosa (Cala S. Giovanni) viro e vado incontro agli amici (giusto per sfottere un po’ Pietro rimetto le canne a mare).
Quando sono vicini mi metto alla cappa, ho dimenticato le canne che recupero come un forsennato prima di incasinarle, c’è troppo mare e troppo vento per un abbordo, ci sbracciamo in grandi saluti urlati nel vento, scattiamo foto, poi Pietro, Luigi ed il terzo (non ne ho capito il nome nel rumore del mare) si allontanano: è stato molto emozionante ed ora un velo di tristezza mi stringe il petto. Riprendo la rotta verso Montecristo, la giornata è ancora bella ma improvvisamente e per la prima volta in mare mi sento solo, mi pesa la solitudine: mangio qualcosa e bevo un bicchiere di vino, il magone passa (anche se lentamente).
Questa è la crociera delle isole, quindi anche Montecristo va circumnavigata, è di una bellezza aspra e monotona, non faccio molta attenzione ai limiti di avvicinamento, siamo fuori stagione e mi sto abituando all’idea che i sorveglianti non abbiano voglia di imbarcarsi per multare una barca vela isolata in un mare deserto. All’inizio mi sono tenuto ad un miglio poi piano piano (nulla si muoveva sull’isola, sembrava deserta) mi sono avvicinato costeggiando fino a meno di 100 metri (non ci sono problemi di fondo o di scogli) entrando nelle varie cale. È strana la sensazione di un mondo primordiale, senza presenza umana (ovviamente mi sono tenuto largo davanti a cala Maestra). Il fascino del proibito è poi una calamita (mi è capitata la stessa cosa a Pianosa, ma la costante presenza di tracce umane ti frena), un paio di volte sono arrivato a preparare l’ancora (a cala Corfù ed a cala Grande) per scendere a terra, ma poi non mi sono fidato (il vento ruota in continuazione) a lasciare la barca incustodita con la costa sottovento. L’acqua è splendida, di un blu scuro che non ho mai visto, mi affascina, vorrei provare a fare un bagno. Sono ridossato a sud dell’isola, il vento è leggero e viene dalla costa (sono in 50 metri d’acqua, poco più di 100 metri da riva). Metto le vele a collo, mi “abbiotto” (sono fuori dal mondo, i vestiti sono un orpello inutile della civiltà), utilizzo la scotta della randa per una imbragatura di sicurezza che mi tenga collegato alla barca, giù la scaletta per risalire poi, da poppa, salto direttamente in acqua (non posso chiamare tuffo il mio modo di scendere in mare). L’impatto con l’acqua fredda mi provoca una specie di scossa elettrica, sono al buio, la luce è sopra di me variegata da mille bollicine, l’ombra scura di Camilla si allontana, il filo rosso della scotta sembra un cordone ombelicale, per un tempo lunghissimo continuo a scendere, poi dopo un attimo di stallo risalgo e riemergo nella luce dove resto quasi immobile per qualche minuto in un silenzio incredibile: di fronte la massa scura, incombente ed enorme dell’isola, alle spalle la forma bianca e rassicurante della barca, ora tornano i suoni lievi di sciabordio dell’acqua, poi quelli del vento sulle vele,poi i richiami degli uccelli. Fa freddo, risalgo a bordo, mi scrollo come i cani dopo il bagno (meglio come un san Bernardo): bellissimo, le lunghe ore di navigazione sono dimenticate, sono in pace con il mondo.
Avrò probabilmente violato delle regole:
- si deve rimanere ad un miglio (o un km?) dalla costa, ma sono a vela, non faccio alcun rumore, sono un albatros (meglio lo è Camilla) nel suo ambiente
- niente balneazione fino ad un miglio (o un km?) dalla costa, ma sono un delfino panciuto che si rotola nel suo ambiente
- niente scarichi a mare (forse, ma l’acqua gelida stimola ….), ma sono un essere vivente nel suo ambiente,
ma non le considero violazioni bensì un diritto primordiale di usufruire correttamente della natura che ci circonda.
Si fa tardi, per Giannutri Cala Spalmatoi sono quasi 40 miglia, si va al Giglio (25 miglia): completo giro intorno all’isola, passo davanti al porto solo per vedere quanto è pieno, non provo nemmeno ad entrare, è il 1° maggio (mi ricordo ora che anche l’anno scorso sono giunto qua dalla Sardegna in questo stesso giorno), ritorno a cala Cannelle (ridossata da nord Ovest), ancora e grappino alle 21, pasta, insalata con tonno, digestivo in pozzetto sotto le stelle, a nanna.
14 ore di navigazione, quasi 90 miglia, vento costante (e favorevole) sui 15/20 nodi, sole (al solito non ho usato nessuna crema, il naso è rosso da beone inveterato, la schiena scotta e brucia, dura la vita del marinaio).
Miglia totali 230
Giglio/Porto Ercole/Giannutri: 02/05
Altra giornata di sole, vento NNW 12/15 nodi, mare calmo. Ho quasi finito il pane, a Giannutri arriverò di pomeriggio e mi piazzerò in rada, si va a Porto Ercole per rifornimento cambusa. Il paesaggio è molto bello, in mare trovo finalmente un numero notevole di barche, molte a vela ma, al solito, in diversi vanno a motore, al massimo con la randa cazzata, ma come è possibile con 15 nodi di vento e mare calmo?
Pensavo di utilizzare il distributore per scendere a terra (anche se poi magari il gestore a fronte di un rifornimento credo inferiore ai 10 litri mi avrebbe guardato storto) ma in questo porto non esiste, è già mezzogiorno, chiedo di appoggiarmi ad un pontile galleggiante, mi fanno girare da un posto all’altro poi un gestore mi da l’ok. Attracco di fronte ad una folla di curiosi, scendo a terra e percorro un 200 metri fino ad un fornaio in mezzo ad un mare di gente, mi sento frastornato ed infastidito, possibile che tre giorni di mare mi abbiano già condizionato? Pane per una settimana, verdura, un paio di costate, niente aperitivo in mezzo a questo caos, mi precipito in barca e torno in mare aperto, finalmente solo.
Passo tra la costa e l’Isolotto, il sole ora scotta, vi sono molte barche e ferri da stiro, manovrare a vela in questi spazi ristretti richiede attenzione ma trovo anche il tempo per fare fotografie (ne vale la pena).
Punto su Giannutri punta Stecca, devio poi verso W e poi S per la solita circumnavigazione, oggi in mare vi sono parecchie barche, mi tengo fuori dalle aree vietate come quasi tutte le altre barche a vela mentre i ferri da stiro più grossi sono e più passano vicino alla costa, in zona vietata ed a forte velocità: che la “pirlite” sia proporzionale alle dimensioni del proprio mezzo?
L’acqua è di tonalità bellissime dall’azzurro chiaro al blu, dal verde pallido al verde intenso, la costa frastagliata è intarsiata da grotte ed anfratti di varie dimensioni, in alto macchie brulle di roccia intervallate da macchie di verde, gli uccelli disegnano il cielo azzurro con i loro voli ora lenti e maestosi, ora a scatti repentini, cosa cercano? Forse puro divertimento, forse cibo, forse sesso (a fini riproduttivi, sia chiaro, non sono “deviati” e con una sola idea fissa come i bipedi, ovviamente quelli maschi perché le femmine bifide, pardon bipede, non ci pensano… mai).
Di primo pomeriggio entro nel golfo Spalmatoi, ben ridossato da NW e calo l’ancora in una posizione da favola in oltre 20 m d’acqua (ancora con 50 m di catena e grappino “afforcato”, il vento è previsto costante da NW)): è presto ma devo dormire (ovviamente dopo essermi “nutrito”) steso al sole dopo un bagno corroborante in acqua cristallina ma con temperatura di 20°. Nel dormiveglia, ammiro a lungo un ketch in legno (sui 10 metri, lucido e curato come se fosse appena uscito dal cantiere) che da ancora vicino a Camilla.
Verso sera preparo il tender, sono vicino a riva e quindi vado a remi (anche perché il fuoribordo mi sta cordialmente antipatico) e scendo a terra per una passeggiata nel verde, in realtà anche per vedere cosa c… sta tagliando un tizio dotato di motosega fastidiosissima che intravedo tra le rocce in alto: solita casetta nuova in un posto incontaminato, forse abusiva (logicamente se c’è una casa gli alberi troppo vicini si devono abbattere, giusto?). Mi inoltro nel verde e torno per un altro sentiero (così non vengo tentato dalla voglia di fare scherzi da … prete al boscaiolo improvvisato).
Alle 10 di sera temporale imprevisto (qualche fulmine e relativi tuoni, niente pioggia) con rotazioni improvvise di vento, le barche intorno a me ruotano in modo disordinato, vengo svegliato come da un colpo al giardinetto di dritta, zompo dal letto e mi dedico con due parabordi in mano (e come dissuasore il mezzo marinaio) a difendere Camilla dal solito ultimo arrivato che ha dato ancora troppo vicino e con poca catena (ho dato ben 30 metri si giustifica, ma il fondo per lui è sui 25 metri): una raffica da nord risolve il problema facendolo scarrocciare (non arare, perché a quel punto il fondale era oltre i 30 m) verso il largo dove sparisce nel buio ed io torno a dormire.
7 ore di navigazione, circa 30 mn (che sfaticato).
Miglia totali 260
Giannutri/Porto di Roma: 03/05
Sveglia verso le 7, grossa “lite” con il mio grappino. Le ripetute rotazioni del vento durante il temporale hanno avuto la meglio sulle ancore afforcate, il tessile del grappino è avvolto alla catena, di santa pazienza lo libero e lo recupero sudando (il grappino è sui dieci chili, più il peso di dieci metri di catena) poi mi dedico all’ancora: il salpa ancore si rifiuta di collaborare, altri moccoli (molto più variegati e coloriti dei precedenti) e recupero 50 m di catena a forza di braccia (gli ultimi 20 metri con oltre 15 kg di ancora a pennello sono stati molto poco divertenti).
Mentre torno in pozzetto noto a dritta un porta canne semidivelto, mi avvicino e noto che anche il motore del tender è danneggiato ed ha uno dei piedini di fissaggio spezzato: quel “pirla” all’ancora questa notte mi ha urtato, non mi ero sognato il botto alla fiancata, ma lo str… ha fatto finta di niente ed ora mi tengo il danno.
Alle 8 sono a vela, 10-12 nodi di vento ENE, ancora aria fredda ma presto il sole incomincia a scaldare, la costa toscana all’orizzonte e poi Civitavecchia ed il Lazio sempre più vicine sfilano alla mia sinistra, il vento rinforza prima a 20, poi a 25 nodi (sempre da ENE), c’è poca onda ed io fedele ad una regola empirica che mi sono dato (“con onde sotto i 2 metri pensa a ridurre le vele solo dopo la seconda raffica oltre i 30”), continuo imperterrito a vele piene sugli otto nodi di Gps.
Giornata di vela senza storia, verso Roma il vento cala, giro al largo del Tevere e poi, poco prima delle 17, entro nel porto di Roma (vele calate all’ultimo secondo, ormai considero il motore quasi un optional superfluo).
Il porto è diviso in due parti: i moli con le barche sono separati da una cancellata da un insieme di negozi, bar e ristoranti superaffollati, una fiera paesana con grande caciara (è anche una domenica pomeriggio di bel sole primaverile, mi devo adeguare).
Dopo una doccia mi dedico all’ancora: i pulsanti a pedale del salpa ancore sono un blocco di ruggine. Smonto, elimino la ruggine, rimetto in sesto i collegamenti e provo: funzionano, ma è chiaro che è una soluzione provvisoria.
Pennichella, cena solitaria da dimenticare in un ristorante del porto, pensieri poco gentili (ma durano un attimo, sono troppo affezionato ad entrambi) per Mozzo Ste e Scarnicchia: avevamo una “bozza” di accordo per una cena insieme (senza data fissata), ma Luigi deve essersi perso da qualche parte in Sardegna con Pietro, la Mozzo non risponde al cellulare (scoprirò poi che ha passato il wknd a Porto Ercole), robusto digestivo (per dimenticare la cena) sotto le stelle, a nanna. 9 ore di navigazione, circa 60 mn. Miglia totali 320