lunedì, Ottobre 7, 2024

Mamaroa 1

Da un po’ di tempo l‘amico e navigatore Antonio Solero aveva insistito perché incontrassi un personaggio che aveva compiuto una, anzi due imprese memorabili: una traversata Atlantica nel 1975 ed un viaggio alle isole Spitzbergen con una barca da 7,5 metri…alla fine degli anni ’70.

Così sono andato a trovarlo a Brunico, dove si è ritirato con la moglie Carla, ed ho trovato un 85enne in ottima forma, e ci tiene a dirmi che fino all’anno prima andava a sciare sulle piste del vicino Plan de Corones.

Abbiamo chiacchierato molto delle sue esperienze, gli ho fatto molte domande su argomenti  che mi sarebbero stati utili per l’intervista, ma soprattutto mi ha incuriosito il suo racconto  al punto che ho cercato in internet se fosse disponibile una documentazione su quei viaggi, ed ho trovato alcuni articoli di oltre 40 anni fa che  mi sono scaricato e con una certa difficoltà ho ricostruito , ricavandone due racconti molto interessanti sapendo che riguardano due viaggi compiuti……negli anni ‘70….

La bellezza di questo documento è che riguarda un progetto realizzato nel 1975, quando cora non esistevano il GPS, internet, il cellulare e l’assistenza era….quel che era…. per cui immaginate di ascoltare il racconto di questo signore di 85 anni (che vedete in foto) e pensate che nel 1975 non c’era neppure il charter…e solo qualche anno prima (1968) Moitessier era salpato per il suo giro del mondo… che anni ragazzi!!!

Vi propongo quindi di seguito, a puntate, il viaggio in Atlantico, in versione praticamente integrale compresa l’introduzione di un suo amico.

Una sera della scorsa primavera, l’amico Massimo mi invitò a cena per raccontarmi della sua traversata atlantica e delle sue navigazioni nei Caraibi.

Confesso che accettai più per rivedere l’amico che per ascoltare i racconti. Questi, infatti, lasciano spesso a desiderare, vanno troppo sul sentimentale e sul poetico e invariabilmente si concludo­no con un vuoto “che bei posti! ”. Diciamoci la verità: la mia biblioteca, come proba­bilmente la vostra, è piena di libri di viaggi del genere compiuti da vari tipi di naviga­tori, per un sacco di fini diversi, nelle condizioni più disparate: ma quanti di questi libri ci spiegano tutto quello che c’è da sapere per fare una traversata atlantica? Po­chissimi, Ecco parche il racconto dell’amico Massimo, prima ancora di arrivare al caf­fè, si rivelò una sorpresa: con poche parole, chiare, precise e dense di contenuto stava rispondendo a tutti i perché e percome che mi venivano in mente.

Mi resi conto che stava facendo, a parole, una guida pratica del tipo “tutto quello che bisogna sapere e fare per traversare l’Atlantico”, una cosa cioè che ancora in nessun libro mi era apparsa tanto chiara.

Ultima considerazione: Massimo aveva fatto tutto questo con una picco­la barca alla portata di molti, ragione di più per chiedergli di raccontare per iscritto quello che così bene mi aveva spiegato a voce.

Questo é dunque l’inizio del suo manuale per traversare l’Atlantico.

Ho accettato con entusiasmo l’invi­to, e l’impresa, di raccontare l’espe­rienza di viaggio da me vissuta tra l’ottobre 1974 ed il marzo 1975.

In questi sei mesi ho aperto una parentesi nella mia vita di lavoro, mi sono preso 6 Mesi di aspettativa (non retribuita), ho navigato dall’Argenta­rio alla Martinica, ho visitato le picco­le Antille, comprese tra Portorico e Grenada, ed infine ho spedito la bar­ca con una nave da carico dalla Marti­nica a Marsiglia da dove sono rientra­to in Italia via mare.

La mia barca è un Samurai costruito in Francia dai Cantieri Nautici del Sud Ovest (CNSO), si chiama “Mamaroa”, è lun­ga 7,40 m, ed è stazzata nella VI clas­se IOR. L’equipaggio è stato compo­sto durante tutto il viaggio da me ed Annette, una ragazza francese.

Il desiderio che mi spinge a rac­contare è principalmente quello di rendere un servizio ai lettori, di spiegare loro, cioè, come si organizza, come ci si prepara, come si svolge un viaggio del genere.

Quindi cercherò di analizzare questo viaggio dalla sua nascita nella mia mente fino alla sua conclusione, cercherò di individuarne i valori positivi ed i limiti, cercherò di fare tutto ciò nella speranza che possa essere utile a qualcuno che abbia voglia di tentare un’esperienza del genere, senza l’illu­sione di poter raccontare quello che non è raccontabile, e cioè quelle cose che hanno reso il viaggio per me tan­to diverso dalla lettura di libri sull’argomento. La differenza è tutta qui: tra le pagine di un libro e la realtà del mare.

Per una maggiore aderenza alla realtà, la suddivisione in sei parti copre esattamente il periodo del viaggio e saranno trattati nell’ordine i seguenti argomenti:

  • Mamaroa ed io – l’equipaggio e l’idea;
  • la stagione ed il percorso;
  • Prima di partire: la preparazio­ne della barca – l’organizzazione;
  • Dall’Argentari alle Canarie;
  • in Atlantico: le piccole Antille;
  • il ritorno – conclusioni

Mamaroa ed io

Perchè il lettore possa confrontare la sua personale esperienza e decidere poi se essa sia o meno sufficiente per intraprendere un analogo viaggio, so­no costretto a parlarvi di me e dei precedenti viaggi di Mamaroa.

Dunque, io ho 36 anni ed ho acquistato Mamaroa nel febbraio 1971 insieme con il mio amico Mauri­zio. Prima non avevamo fatto nessuna esperienza di vela e la mia conoscenza del mare era limitata a quella di “ba­gnante” e di (modesto) pescatore subacqueo.

A partire dal 66 avevo frequentato un corso di immersione subacquea nella piscina del Foro Itali­co a Roma, e nelle estati fra il 67 ed il 70 avevo passato le vacanze estive alla caccia di saraghi e di qualche (rara) cernia in Sardegna e nelle Puglie, Nel 1971, dicevo, Mamaroa è stata acquistata (nuova) con una spe­sa modesta (circa 5 milioni in totale divisi per due) ed è stata varata nel maggio di quell’anno.

Sorse immedia­tamente il problema della patente per cui nei mesi di giugno e luglio Mauri­zio ed io effettuammo qualche uscita davanti a Porto Santo Stefano ed alla fine di luglio sostenemmo, con un po’ di batticuore, ma con esito positivo, l’esame di abilitazione in Capitaneria

Cominciò così una serie di crociere che riassumo nel modo schematico seguente:

agosto 1971: giro della Corsica; ottobre 1971: da Porto S, Stefano a Napoli e ritorno a Fiumicino; novem­bre 1971: da Fiumicino a S, Teresa di Gallura (Sardegna) e ritorno; agos­to 1972: Bocche di Bonifacio, Porto Mahon (Baleari) e ritorno; dicembre 1972: Porto S, Stefano, Bastia e ri­torno; questa fu la prima crociera che io e Annette compimmo da soli; feb­braio 1973: da S, Stefano a Macinaggio (Corsica), Capraia, Elba e rientro a Santo Stefano: giugno 1973: da porto S, Stefano alla Maddalena (Sardegna), poi giú fino a Favignana (Egadi) dove arrivai facendo la traver­sata in solitario, quindi Tunisi, Pantel­leria, Lampedusa e Malta; luglio 1973: regata Siracusa-Malta che Mamaroa vinse nella sua classe; otto­bre 1973: da Malta a Biserta (Tun­isia) quindi Maiorca (Baleari), Bonifa­cio e rientro a Santo Stefano, Da ag­giungere qualche giretto nell’arcipela­go toscano.

Da questo arido elenco, vorrei mettere in evidenza il fatto che le crociere sono diventate via via più impegnative e questo è avvenuto na­turalmente: mi sono trovato cioè naturalmente spinto man mano che il tempo passava, ad aumentare le di­stanze e le difficoltà ma senza che ciò fosse in alcun modo programmato.

E’stata, questa, una “escalation” alla quale vorrei invitare chi ha la disponibilità di una barca a vela, per quanto piccola sia, e che ritengo in­dispensabile effettuare prima di pen­sare ad un lungo viaggio.

Mamaroa è stata ferma a Malta, Olbia, Mahon, Portovecchio: raggiungerla per prose­guire il viaggio o per tornare indietro non è un grosso problema soprattutto se si prendono il treno o la nave con cui si risparmia sull’aereo.  La naviga­zione nel Mediterraneo non presenta grossi problemi, ci sono fari e radiofa­ri dappertutto e poi la navigazione stimata, se ben condotta, è largamen­te sufficiente nella maggior parte dei casi.

Il clima è molto favorevole (Mama­roa ha navigato in tutte le stagioni), la nebbia e le correnti di marea, salvo in alcune epoche e zone, sono trascu­rabili e l’inverno ci regala delle mera­vigliose giornate. Certo, d’estate, in costume da bagno, tutto è più facile ma d’inverno, se si è ben attrezzati, si scopre un mare diverso, più vero, ed i piccoli porti fuori mano riprendono, passato il caos della “follia estiva”, il loro aspetto antico, autentico e pieno di fascino.

L’unica cosa che rende delicata la navigazione in Mediterraneo in tutte le stagioni è l’instabilità meteorologi­ca, il nostro mare è “capriccioso” e di questo bisogna tener conto, Il che significa che se si vuole navigare in tutte le stagioni con spirito tranquil­lo, è necessario che la barca sia preparata ad affrontare il tempo cattivo perchè presto o tardi “quel” giorno arriva per tutti e allora è troppo tardi per pentirsi di non aver previsto que­sto o quello.

In conclusione, soltanto dopo que­sto ciclo di crociere mi sono reso conto di aver iniziato con Mamaroa un certo dialogo con il mare, anche se ero, come sono tuttora, ben lonta­no dal sentirmi un marinaio. Infatti per diventare un marinaio a volte non basta una vita, ed è quindi impensabi­le poterlo diventare nel poco tempo libero che ci lascia il nostro lavoro.

Ed a proposito di lavoro, perchè la mia “scheda ‘ sia completa devo dirvi che nella vita faccio il pilota, volo da quando avevo 18 anni e questo tipo di attività mi ha certa­mente facilitato, soprattutto nei cam­pi nella navigazione, della meteorolo­gia ed in quello decisionale in genere.

Questo significa che qualora fossi sta­to completamente a digiuno di queste cose, avrei certamente incontrato qualche difficoltà in più, ma sono convinto che alla fine, usando un po’ di comune buon senso ed un po’ di volontà, il risultato sarebbe stato lo stesso.

Dico questo per invitare il let­tore a non considerare la mancanza di esperienza e di conoscenza nel campo come un handicap, cominciando piano e proseguendo “piano ma costantemente “si può andare abbastanza lontano.


L’equipaggio e l’idea

Sulla composizione di un equipag­gio che deve passare alcuni mesi su una barca è stato già scritto molto, lo vorrei quindi, limitare il discorso escludendo le barche “grandi”, dicia­mo superiori a 35 piedi (10 metri e mezzo): a meno che non siano parti­colarmente attrezzate necessitano di un equipaggio numeroso. Invece dai 35 piedi in giù tutte le soluzioni sono possibili: dal solitario all’equipaggio di due, tre o più persone. Il limite del numero, da un punto di vista tecnico, è sempre una questione di spazio. Per esempio su Mamaroa, lunga 7,60m. e con una abitabilità interna ridottissi­ma, è impensabile un lungo viaggio in più di due persone.

Più complesso invece è il problema del numero da un punto di vista “esistenziale” in quanto, se è vero che si viaggia per unire per godersi il mare, è naturale che più l’equipaggio è ridotto e più questa partecipazione alla vita del mare è completa. Nel caso limite del “solitario” questa parteci­pazione diventa “totale”. Quindi, se non si ha la vocazione per fare il so­litario bisogna trovare un compromes­so fra questa tendenza ideale ed il piacere di dividere queste gioie (e queste fatiche) con i nostri simili, inoltre più l’equipaggio cresce, più è necessario che i singoli componenti siano disposti (non a parole, ma con i fatti) a sacrificare parte (a volte tut­ta) la propria autonomia e la propria indipendenza.

Con l’aggravante che basta la scarsa preparazione a questo sacrificio da parte di uno solo per turbare l’armonia di tutti, ed a que­sto punto l’intesa con il mare non può più esistere.

Nel nostro caso, l’equipaggio essen­do nato prima dell’idea di questo viaggio, la scelta era già fatta, inoltre essendo Annette ed io diventati un “equipaggio” anche a terra, abbiamo semplicemente dovuto trasferirci da una casa in una barca.

In conclusione, vorrei sottolineare che in un “viaggio di ricerca” (come è stato il nostro) è essenziale che l’equipe, comunque composta (una famiglia, una coppia, degli amici) sia necessariamente collaudata prima, a terra ed in mare.

In sostanza, non si può applicare ad un viaggio in mare il concetto “tecnico di un equipaggio da regata, in regata l’obbiettivo è combattere, la permanenza a bordo è limitata nel tempo, e lo skipper è il comandante assoluto; in un viaggio l’obiettivo e vivere, scoprire il mondo, gli altri e se stessi e questo non si può fare senza la pace dello spirito che nasce da una armoniosa convivenza.


Il
percorso e la stagione

Lo scopo del viaggio era quello di attraversare l’Atlantico, ma allora, da dove a dove?

E quando?

Qui ci vennero in aiuto alcuni racconti di viaggi precedenti come il libro di J. Grout “Da Tolone alla Tortuga” sulla scia della Filibusta o come il libro di Jean Merrien “L’art du large”.

Notammo che tutti attraversavano l’oceano nello stesso periodo di no­vembre-dicembre, dalle isole Canarie alle Antille. Comprai quindi il porto­lano delle Antille (l’elenco completo della documentazione nautica a parte) da cui ricavai l’alle­gata tabella in cui sono riportati il numero dei cicloni tropicali registrati nel periodo 1887-1941. Analizzando la tabella risultò che il periodo da evitare assolutamente era quello in cui si verificano i fenomeni più vio­lenti, cioè da giugno a novembre. Bisognava dunque arrivare a dicem­bre. Infatti a partire da dicembre e fino a maggio la stagione alle Antille é quella ideale, relativamente più fresca e più secca

I dati metereologici della stazione di Fort de France Martinica) dicono che:

i mesi da gennaio ad aprile sono i più “freschi con temperature medie di 21°-28°) (contro i 24°-29° della stagione estiva);

l’umidità relativa oscilla intor­no al 78 per cento in questi mesi contro l’83 per cento dei mesi estivi;

la pioggia che da gennaio ad aprile si mantiene intorno a valori di 60-90 mm aumenta fino a 220 mm nei mesi estivi;

4)il regime dei venti che in tutto l’anno è per l’84 per cento dei casi da NE o da E (pieno Aliseo cioè) è particolarmente favorevole alla navigazione a vela fra le isole.

Un altro interessante documento da consultare fu la Pilot Chart dei mesi che riguardavano la traversata e cioè quella di novembre e quella di dicembre.  Della Pilot Chart (di cui parlerò in dettaglio sempre a parte) dirò per ora che, pubblicata dall’Ammiraglio inglese e dall’Ufficio Idrografico della Marina USA, raccoglie i dati statisticamente rile­vati per ogni mese dell’anno in oltre cento anni, delle caratteristiche dei venti, delle correnti ecc, sugli oceani.

Da questa carta risultò che il periodo propizio era sempre quello di novembre-dicembre.  Dunque, bisognava partire dalle Canarie verso la metà di novembre e quindi, con­tinuando il conto “alla rovescia” risultò che bisognava partire da Por­to Santo Stefano ai primi di otto­bre.

Il Mediterraneo in ottobre è già una cosa seria, e l’arrivo dei primi fronti invernali può ritardare note­volmente (come infatti è accaduto) il cammino verso Sud-Ovest: l’ideale sarebbe stato partire a settembre ed arrivare lentamente alle Canarie in due mesi, ma non potevamo con­cederci questo lusso perchè lo avremmo pagato con una riduzione di un mese del tempo disponibile alle Antille.

Quindi decidemmo ugualmente di partire ad ottobre.

A questo punto (aprile 1974) mi presi qualche gior­no di vacanza per fare una rapida “ricognizione” alle isole del Capo Verde, volevo cioè rendermi conto se era possibile effettuarvi uno scalo il che avrebbe ridotto la lun­ghezza della traversata dalle 3 mila miglia circa del tragitto Canarie-Mar­tinica a 2.200 miglia partendo da Suo Vicente a Capo Verde) alla Martinica, Approfittando dei bigliet­ti gratuiti di cui dispongo per la mia professione andai all’isola del Sale e di qui all’isola di Sao Vi­cente. Nonostante l’arida bellezza del posto, le conclusioni furono nega­tive. Fare uno scalo qui prima di una traversata atlantica non è conveniente: l’acqua da bere è salmastra, mancano assolutamente i viveri freschi (quelli che arrivano nei congelatori delle navi, se tolti dal frigo dopo due o tre giorni sono da buttare) ed inoltre nel canale fra Sao Vicente e San Antao, che bisogna attraversare per entrare in porto, l’aliseo rinforza notevolmente ed è facile che superi i 40 nodi. Quindi decisi di conside­rare lo scalo in questa isola solo come eventualità estrema in caso di necessità e di pianificare la traver­sata direttamente dalle Canarie.

L’unica cosa veramente positiva di quella visita fu che passai delle ore in riva al mare su quell’isola semi-deserta ed arida a guardare lontano, verso Ovest, e questo mi aiutò molto successivamente, nei mesi duri dei preparativi.

A questo punto fu abbastanza chiaro il profilo dell’itinerario di circa 5 mila miglia che Mamaroa avrebbe dovuto seguire e che è indicato nella cartina allegata.

Dall’Argentario attraverso le Bocche di Bonifacio alle Baleari, e poi seguendo la costa spagnola fino a Gibilterra.

Qui si prospettavano due soluzioni: andare direttamente alle Canarie, con una traversata di circa 700 miglia, oppure seguire la costa del Marocco e fare la traver­sata da Safi o da Agadir per le Canarie. Lasciai in sospeso una decisione in merito che presi suc­cessivamente (per i motivi che vi dirò) optando per la rotta lungo costa.

Infine, dalle Canarie diret­tamente alla Martinica e non a Barbados che, pur essendo un po’ più vicina, ha il “difetto” di non essere ……. francese ed Annette ci teneva ad atterrare su un lembo della sua “dolce” Francia.

Praticamente quindi solo ai primi di maggio, cioè a cinque mesi dalla partenza, era chiaro il tema del nostro viaggio. Restava poco tempo e ci mettemmo subito al lavoro. Per un viaggio come questo non si può fare a meno di preparare adeguatamente la barca, come?

La “Routeing Chart” dell’Atlantico, indispensabile per programmare un viaggio transoceanico. Ne parleremo in dettaglio nel coso del racconto.

 

I FAMOSI E TERRIBILI CICLONI

La maggior parte dei cicloni nasce nella zona delle cal­me equatoriali atlantiche, nella zona delle isole del Capo Verde. I centri depressionari creatisi in questa zona cominciano a spostarsi prima lentamente, poi a, velocità di 8-12 nodi verso Ovest attraversando l’oceano. La depressione, una volta arrivata sui Caraibi, si dirige verso NW e poi NE risalendo sulle coste ameri­cane dove raggiungono il massimo di velocità di sposta­mento (20 nodi). In settembre e ottobre si creano mol­ti centri depressionari nel mar dei Caraibi e nel golfo del Messico dando luogo ad altri cicloni che si spostano in varie direzioni ma prevalentemente versa Nord. In questa loro traiettoria investono quasi tutte le isole dei Caraibi e fra queste quelle francesi (Martinica, Guadalupe) sona le più battute dai cicloni di maggiore vi­olenza. In novembre il fenomeno si attenua, e nelle due cartine che pubblichiamo e che sono riprese dalle “Pilot Charts ‘ dell’Ammiragliato inglese sono riportate le traiettorie dei cicloni nel mese di settembre (massi­ma frequenza) e nel mese di dicembre: come si può vedere in quest’ultimo l’unica traccia dei pochi cicloni rilevati (vedi tabella) non interessa chi compie la traver­sata o si trova già nei Caraibi: in settembre invece la cartina è piena zeppa di traiettorie di cicloni proprio nella zona che ci interessa.

Ecco alcuni interessanti dati statistici rilevati in un arco di 54 anni dall’Ufficio metereologico degli Stati Uniti. Nella prima riga è riportato il numero totale dei cicloni tropicali atlantici nei vari mesi; la seconda riga riporta in­vece il numero dei cicloni di grande, violenza (vento for­za 12) mentre nella terza riga indicata la loro percen­tuale sul totale. La media annua é di 7 cicloni ma vi sono anni in cui ne sono stati rilevati soltanto 2 ed altri anni (ad esempio nel 1933) in cui ne sono stati contati ben 21!

Da questa tabella risulta chiaramente che la stagione dei cicloni va da giugno a tutto novembre, che settem­bre è il mese di massima frequenza mentre agosto è il mese che produce il maggior numero di cicloni di gran­de violenza. Se ne deduce anche che la buona stagione comincia in dicembre e va fino a maggio e che pertan­to il periodo migliore per chi voglia iniziare una traver­sata atlantica dalle Canarie è la fine di novembre in modo da arrivare ai Caraibi in dicembre.


1 – continua