mercoledì, Maggio 22, 2024

Mamaroa parte 3

Mamaroa pt. 1       Mamaroa pt. 2

MAMAROA ED IO

DALL’ARGENTARIO ALLE CANARIE

Continua il racconto di Massimo Cerracchio  che nel 1975 ha attravesato l’Atlantico a bordo di Mamaroa.

1.800 miglia in pieno autunno con una barca 7 metri e mezzo. Come affrontare il mal tempo di questa stagione? Come vivere a bordo? Come preparare la navigazione?

E il passaggio di Gibilterra?  tutto molto semplice: ma come?

 

Vi parlerò adesso del viaggio di “Mamaroa” limitatamente al tratto Argentario-Canarie. La tenta­zione sarebbe quella di prendere il diario di bordo che Annette ha scrit­to così bene in francese, annotando i particolari della nostra vita di tutti i giorni, ma non lo farò perché non è un racconto che desidero proporvi, bensì una raccolta di notizie ed anche di “sensazioni”, e qualche esempio di metodo, per cercare di dimostrare che navigare è facile se diventa una cosa che appassiona.

Quindi, dopo un bre­ve discorso introduttivo sulla condot­ta della barca e sulla vita di bordo, vi parlerò del tempo incontrato. Succes­sivamente esprimerò alcune mie con­vinzioni personali nel campo della meteorologia e della navigazione (en­tro il Mediterraneo, attraverso lo stretto di Gibilterra, e fuori in Atlan­tico).

Sono idee mie, certamente for­matesi con la pratica, con l’esempio di chi ne sa molto più di me, e leg­gendo qua e là. Potrebbero essere in tutto o in parte sbagliate, ma è tutto quanto posso offrirvi.

Quando un uomo ha acquistato fiducia in se stesso, nella sua barca e nel suo equipaggio, la meteorologia e la navigazione sono indispensabili per completare il quadro.

Nei vari riquadri troverete gli elenchi del materiale imbarcato su Mamaroa al momento della partenza. Sola eccezione le carte e le pubblicazioni nautiche per le quali ho pensato preferibile fornire gli elenchi interessanti le singole tappe di volta in volta.

Per quanto riguarda i viveri abbiamo di volta in volta acqui­stato quello che ci occorreva per 3-4 giorni, avendo deciso di fare l’approvvigionamento per la traversata finale alle Canarie dove si trova veramente tutto e a prezzi inferiori che in Italia.

LE TAPPE
Cala Galera – P, Vecchio
p 3/10/74 h 07,20 – a 4/10/74 h 13,00

P.Vecchio – Stintino
p 6/10 h 06,00 – a 6/10 h 22,00

Stintino – P, Mahon
p 10/10 h 06,00 – a 12/10 h 08,00

P, Mahon – C, Figuera
P,15/10 h 09 – a 16,10 h 01,00

Cala Figuera-Ibiza
p 16/10 h 07,00 – a 17/10 h 03,00

Ibiza – Altea
p 19/10 h 07,00 – a 20/10 h 11,00

Altea – Torre Vieja
p 21110 h 07,30 -a 21/10 h 23,00

T, Vieja – Cartagena
p 22/ M h 06,00 – a 22/10 h 16,00

Cartagena – Malaga
p 23/10 h 08,00 – a 24/10 h 22,00

!Malaga Estepona
P25/10 h 09,00 – a 25/10 h 19,00

Estepona –Gibilterra
p 30/10 h 08,00 – a 30/10 h 16,00

Gibilterra – Tangeri
p 2/11 h 04,00 – a 2/11 h 14,00

Tangeri – Casablanca
p 3/11 h 06,00 – a 4/11 h 15,00

Casablanca • San
p5/11 h 18,00-a 6/11 h 17,00

Safi – Lanzarote
p 6/11 h 15,00 – a 10/11 h 02,00

Lanzarote – Las Palmas
p 10/11 h 12,00 – a 11/11 h 08,0


Vita a bordo
In questo tratto del viaggio abbia­mo condotto “Mamaroa” come più o meno facciamo tutti durante una cro­ciera estiva o invernale. Non abbiamo quasi mai usato il timone a vento, sia­mo andati a vela quando c’era vento, abbiamo usato il motore quando il vento mancava. Avevamo a bordo due taniche di benzina da 25 litri (all’aperto, in pozzetto) che assicuravano una autonomia di circa 100 miglia (consumo medio circa 2 litri ora del nostro piccolo Couach dì 5 cavalli). Naturalmente l’ideale sarebbe stato di “sbarcare” il motore e fare come tut­ti i marinai hanno fatto fino all’av­vento della propulsione meccanica, ma per questo occorre avere una asso­luta indipendenza dal parametro tem­po, ed i nostri sei mesi non ci per­mettevano questo lusso.

Il battellino di servizio, molto pic­colo (m. 2,20) in plastica gonfiabile, lo abbiamo conservato ben piegato nel gavone di prua; a volte ci sarebbe stato utile, ma abbiamo preferito far­ne a meno fino alle Canarie per non ingombrare il ponte. La vita a bordo scorreva serenamente, certo a volte per la stanchezza abbiamo litigato, ma presto tutto passava. Annette ed io ci vogliamo bene.

Di giorno non c’erano turni fissi al timone, ci alter­navamo secondo le necessità (naviga­zione, cucina, riassetto, piatti da lava­re, ecc.). Qualche volta il mulinello della traina si metteva a cantare e questo significava un pranzo a base di pesce. Di notte ci alternavamo al ti­mone ogni due ore, sempre con la cintura di sicurezza.

Addirittura qualche volta, quando andavo in cuc­cetta a riposare con tempo cattivo, attaccavo la mia cintura a quella di Annette per sentirmi tranquillo: che cosa avrei provato se avessi perduto Annette in mare?

Le soste nei 16 porti toccati da Mamaroa (vedi tabella) per arrivare al­le Canarie le abbiamo impiegate nelle mille piccole operazioni necessarie a tenere la barca (che diventa sempre più una casa col passare del tempo) nelle migliori condizioni. Io mi occu­pavo soprattutto delle attrezzature, dei rifornimenti di benzina e gas e delle piccole riparazioni (per le quali esiste­va un quadernetto in cui venivano an­notate le avarie). Annette teneva in ordine la nostra piccola casa e si oc­cupava dei rifornimenti di viveri e della cucina, ascoltava la radio fran­cese, parlavamo di tante cose, a volte si prendeva il caffè con gli “abitanti” delle barche vicine. Le soste (come mostra la cartina con le tappe del viaggio) erano in genere strettamente limitate al tempo necessario per rior­dinare la barca, acquistare i viveri per i prossimi giorni, riposare, anche se ci sono state delle soste più lunghe do­vute alla necessità di attendere un miglioramento nelle condizioni meteo. Questo è accaduto a Porto Vecchio (2 giorni), a Stintino (4 giorni), a Mahon (3 giorni) e a Gibilterra (2 giorni). In questi casi ci siamo goduti un po’ di relax, lunghe passeggiate per andare a vedere il mare che infu­riava fuori del porto e qualche cenet­ta al ristorante al lume di candela. Ad Ibiza, durante una notte di buriana, in porto siamo stati investiti da una chiazza di olio nero che ha imbratta­to scafi, cime, scotte. Al mattino pio­veva a dirotto e ci sentivamo degli “alluvionati”. Abbiamo lavorato per due giorni con spazzole e detergenti per rimettere tutto a posto,

Ad Estepona, infine, siamo rimasti fermi 5 giorni perché abbiamo dovuto disalberare “Mamaroa” per rinforzare le staffe di sostegno delle forcelle che sostengono gli stralli di prua. Abbia­mo fatto tutto da soli, l’albero di “Mamaroa” è leggero e semplice da smontare.

 

Tempo cattivo
In questa prima parte del nostro viaggio abbiamo incontrato il tempo cattivo per tre volte, In questi casi niente cucina, patate bollite e “sca­tolette”.

La prima volta è accaduto il gior­no della partenza: partiti (3 ottobre) da Cala Galera per Stintino, abbiamo preso nel pomeriggio un colpo di li­beccio, abbiamo passato una brutta nottata bolinando con mura a sinistra fino a guadagnare il ridosso della Cor­sica all’altezza del faro di Alistro.  Ab­biamo poi seguito la costa usando sal­tuariamente il motore e siamo entrati a Porto Vecchio dove abbiamo atteso per due giorni prima di poter attra­versare le Bocche.

La seconda volta è stata la più du­ra, durante il passaggio da Stintine a Mahon (Minorca). Nel pomeriggio del secondo giorno (11 ottobre) siamo stati sorpresi a circa 50 miglia da Mahon da un forte colpo di vento, però il mare montò con una rapidità incredibile ed al sopraggiungere della notte il mare era tutto bianco, il cielo completamente nero con frequenti ro­vesci di pioggia, ed alcuni frangenti passavano “sopra” la nostra barca.

Passammo tutta la notte avanzando con sola randa e 3 mani di terzaroli (circa 3 mq di tela), io vomitavo spes­so e soffrivo il mal di mare, ma è stato molto bello quando Annette, che era in cuccetta, volle assoluta­mente venire nel pozzetto e legarsi accanto a me. Alle 2 del mattino av­vistammo il faro di Punta de Aire, un isolotto in prossimità dell’ingresso in port. La tentazione di entrare subito fu forte, ma decidemmo di restare nei paraggi ed attendere le prime luci del giorno per entrare in modo da potere contemporaneamente utilizzare i fari e vedere il profilo della costa. Infatti credo che l’ingresso a Part Mahon sia sconsigliabile di notte con mare forte da Nord perché per entrare bisogna passare molto vicino ad un tratto di costa non illuminata, dove è difficile valutare le distanze dalla riva, dove la risacca crea un mare estremamente confuso, dove insomma un errore può significare la perdita della barca.

La terza volta è accaduto in par­tenza da Ibiza. Eravamo diretti a Car­tagena, ma nel pomeriggio (19 otto­bre) subito dopo aver preso una bella “lampuga” di 3 kg alla traina, si stabi­lì un forte libeccio con pioggia e temporali.

Anche qui bolinando con mu­ra a sinistra facemmo rotta verso la costa spagnola ed atterrammo il gior­no successivo ad Altea, 20 miglia a Nord di Alicante ed 80 a Nord di Cartagena dove eravamo diretti. Alle 3 del mattino accadde una cosa singo­lare: udii un forte colpo proveniente dall’albero, pensai per un attimo che qualcosa avesse ceduto ed invece tro­vai nel pozzetto un gabbiano stec­chito. Lo feci vedere ad Annette ma subito dopo invece di conservarlo, chissà perchè lo buttai in mare.

Alle 5 del mattino decidemmo di ammainare anche il fiocco 1 e prose­guire con la sola randa con 3 mani di terzaroli, ma la drizza si era bloccata per cui non potendo ammainare il fiocco riuscii ad imbrogliarlo alla me­glio con degli elastici intorno allo strallo. Ad Altea nel pomeriggio salii in testa d’albero per rimettere la driz­za nella sua carrucola e notai che questa aveva un po’ di gioco che an­nullai inserendo due rondelle dello stesso diametro della carrucola, tra questa e la lamiera di sostegno e ser­rando a fondo il perno con doppio dado.


Meteorologia
Come si può notare dalla cartina e dalla tabella che l’accompagna, fatta eccezione per i due passaggi Stintino­ Mahon (200 miglia) e Safi-Lanzarote (300 miglia), tutte le altre tappe han­no avuto una lunghezza inferiore alle 100 miglia (alcune sono state di navi­gazione costiera, altre di navigazione alturiera). Il fatto di contenere le tap­pe al di sotto delle 100 miglia, quan­do possibile, era dovuto ad una sem­plice considerazione: cento miglia per una barca come “Mamaroa” vogliono dire circa 1 giorno di navigazione, un arco di tempo, cioè, nel quale, in Me­diterraneo, è ragionevolmente” pos­sibile avere una previsione meteo vali­da ed evitare sorprese.

Nei passaggi di lunghezza superiore alle cento miglia, invece, con perma­nenza in mare superiore alle 24 ore, la previsione, sempre necessaria, può assicurare una buona partenza, ma non necessariamente un buon arri­vo. Naturalmente le eccezioni alla re­gola non sono mancate, ne abbiamo già parlato.

Fuori di Gibilterra, invece, il di­scorso cambia completamente, e biso­gna fare una distinzione netta a se­conda che si consideri l’Atlantico a Nord o a Sud delle Canarie. Pur con qualche differenza a causa dell’anda­mento stagionale, si può dire che mentre a Sud delle Canarie si entra nella zona dei venti costanti (Alisei, forza 3-4, occasionalmente 6-7), e la corrente è favorevole (circa mezzo nodo), a Nord delle Canarie invece l’oceano è interessato, nel periodo di novembre, dal passaggio di grandi fronti invernali che nascono in prossi­mità delle coste USA ed arrivano con tutta la violenza di un mare che non incontra terra per oltre 3 mila miglia. Per fortuna queste depressioni sono precedute a distanza di 24 ore (ed an­che più) dal calo del barometro e dal formarsi di un’onda lunga che indica anche la probabile direzione di spo­stamento del centro depressionario.

Ecco perché, nel tratto da Gibilter­ra alle Canarie, ho preferito seguire la rotta lungo costa disponendo della carta (carta inglese n. 91) dei piani d’ingresso dei piccoli porti disposti dalle 30 alle 50 miglia uno dall’altro lungo la zona più delicata, quella cioè fra Tangeri e Casablanca. In caso di necessità avremmo avuto tutto il tempo di riparare in uno di tali porti. Naturalmente questo di­scorso vale per la nostra piccola bar­ca, mentre grossi “ocean cruiser” vanno tranquillamente dappertutto e se lo skipper io vuole “non hanno mai bisogno di mettersi alla cappa”

Abbiamo parlato di “previsioni”: ma come ottenerle?


Novembre in Atlantico: è l’ora dei fiocchi gemelli e di Annette con i suoi bikini     


Timone portante, una media a vento in funzione, vento sui 5 nodi: l’Africa è lontana

A bordo avevo una piccola radio esclusivamente ricevente tipo Hitachi dotata delle sole bande di frequenza media e corte. Quindi una volta usciti dalla zona di copertura dei bollettini della RAI (II programma) abbiamo dovuto….. arrangiarci nei seguenti modi: informazioni presso Capitanerie di porto o Centri meteo (dove c’era­no) oppure andando a trovare gli uffi­ciali di rotta dei mercantili nei porti, e infine ascoltando sulle onde medie dei bollettini “per le massaie” tra­smessi dalla radio spagnola e da quel­la marocchina (in francese) e poi an­che quattro chiacchiere sul molo con i pescatori locali (i quali, però, più sano anziani più sono pessimisti), ed infine anche un po’ di sforzo nell’os­servare l’aspetto del mare e del cielo.

A guardare bene, quante cose può di­re questo aspetto! Per concludere il discorso sul tempo meteorologico penso che ogni sforzo debba essere fatto per partire in condizioni soddi­sfacenti, sempre preparati ad un cam­biamento, ma ritengo insensato andar­si a cacciare da soli nei guai con una piccola barca ed equipaggio ridotto.

Strumenti di navigazione
Per navigare ecco gli strumenti di cui disponevamo a bordo della nostra barca durante tutto il viaggio

  • una bussola di governo Orion del costo di circa 50 sterline con rela­tiva tabella di compensazione;
  • un radiogoniometro Seafix del costo di circa 50 sterline, semplicissi­mo. Sopra l’apparecchio, che si impu­gna come una cinepresa, c’è una pic­cola bussola per prendere il rileva­mento magnetico della stazione (do­po aver annullato il segnale della sta­zione con la cuffia); questa piccola bussola può anche servire come bus­sola da rilevamento nella navigazione
  • un barometro Sestrel;
  • un orologio Sestrel con sveglia;
  • due squadrette, una riga, un compasso, matite e gomme;
  • due sestanti in plastica inglesi marca EBBCO che costano poco e funzionano benissimo; è meglio aver­ne due e per poter cambiare i pezzi e per non restare senza se uno finisce a mare o si fracassa;
  • i soliti razzi da segnalazione, due torce elettriche;
  • una radio ricevente Hitachi ad onde medie e corte;

Tutto qui, e forse resterete sorpre­si. Niente log, niente contamiglia, in­dicatore di velocità, anemometro, in­somma nessuno strumento elettrico a bordo.

Questa parsimonia non è stata do­vuta solo alla costosità di tutta questa bellissima strumentazione in voga og­gi sulla maggior parte delle barche ma anche a motivi di praticità: infatti a che cosa servirebbe un bellissimo eco­scandaglio, tanto per fare un esem­pio, se poi si rompe a migliaia di mi­glia dal necessario pezzo di ricambio o da un paio di mani capaci di ripa­rarlo? Molto meglio, allora, sempre per restare nell’esempio, uno scanda­glio a mano, un pezzo di piombo ed una sagola metrata.

Vi chiederete a questo punto su quali basi, allora, potevamo fare la nostra navigazione “stimata” e rego­larci con le vele in base alla forza del vento. E’ una domanda logica ma è logica anche la mia risposta: conosce­vamo ormai talmente bene la nostra barca, eravamo talmente affiatati con essa, l’avevamo collaudata e control­lata in tante e diverse circostanze che raramente abbiamo sbagliato in que­sti conteggi che erano “ad occhio”, Raramente, ad esempio, Annette ha sbagliato nel dirmi quante miglia ave­vamo fatto in 24 ore oppure control­lando con il sestante scoprivo ogni volta che la valutazione “ad occhio” era in perfetta sincronia con la nostra barca. Sono certo peraltro che se il viaggio e le nostre soste sono state semplificate ciò è dovuto alla man­canza di questo “surplus” di strumen­tazione, tranne quella indispensabile che ho sopra elencato.
 

Navigazione in Mediterraneo
Il problema della condotta della barca da un porto all’altro non è poi così complicato come potrebbe sem­bra. Al contrario, è soprattutto una questione di comune buonsenso. Il li­bro di Mary, Blewitt “Piccolo manuale di navigazione da diporto” (ed. Mur­sia) è forse la guida migliore per chi, partendo dall’inizio, desidera conosce­re i problemi connessi con la naviga­zione stimata, con la navigazione con i fari e radiofari, nonché l’uso ele­mentare del sestante. Quindi rimando senz’altro i lettori per la teoria a quanto chiaramente illustrato in quel libro ed aggiungerò soltanto in una delle prossime puntate alcune, consi­derazioni relative ad un sistema prati­co da me adottato in Atlantico per fare il punto col sestante. Vorrei qui limitarmi a fornire un esempio di co­me ho preparato mentalmente e praticamente un tratto di navigazione di media distanza, ad esempio da Stinti-no a Port Mahon (200 miglia).

Questa preparazione ha due aspetti distinti: il primo consiste nell’effet­tuare uno studio sul tratto di mare da attraversare in funzione delle previsio­ni meteo , e nel nostro caso partimmo da Stintino e non da Alghero perché, data la probabilità di venti da NW era conveniente partire più sopravento possibile, e quindi determinare la Rv, la Rm e la Rb, la distanza, la durata prevista, stabilire l’ora di par­tenza a seconda che si intenda arriva­re di giorno o di notte, leggere nel Portolano le informazioni generali sul tratto di mare sulla costa e sul porto di arrivo, esaminare la posizione, il periodo e soprattutto la portata dei fa­ri e dei radiofari che possono interes­sare.

Il secondo aspetto, forse il più im­portante, è quello di considerare la possibilità di non raggiungere il porto previsto di arrivo: ecco che il discorso diventa molto più vasto, si tratta in sostanza di immaginare quello che po­trebbe accadere e prepararsi già a co­me comportarsi. Naturalmente non sarà possibile prevedere tutto, ciono­nostante questo studio è l’unico sistema per partire con lo spirito tran­quillo.

Faccio qualche esempio con riferi­mento al disegno pubblicato e che si riferisce appunto al trasferimento da Stintino a Mahon:

1 – In qualunque punto del percor­so il vento al traverso rinforza note­volmente: proseguire riducendo con­venientemente la velatura,

2 – se il vento rin­fresca e si stabilisce contrario (libec­cio o ponente): tornare indietro a Stintino o riparare ad Alghero,

3 – Lo stesso vento contrario si stabilisce a metà percorso : a questo punto è forse un peccato tor­nare indietro, ed allora se rimontare diventa troppo duro, mettersi alla cappa (ed attendere un salto di vento favorevole) ma con le mura a sinistra per non avvicinarsi alla costa W della Sardegna dove non ci sono ridossi , tranne la baia di Oristano (difficile da individuare) a meno di non entrare a Carloforte (S.Pietro) il cui canale d’ingresso però è pieno di bassi fondali  e dove il mare può diventare molto confuso.

4 – si stabilisce un forte vento di libeccio: qui conviene lottare e guadagnare il ridosso dell’isola di Minorca entrando nella baia di Fornellis  (a nord dell’isola) che è molto ben ridossata.

5 – se il vento si stabilisce da Nord e rinforza e diventa difficoltoso entrare a Port Mahon, proseguire al lasco ad esempio per Porto Colombo sulla costa Est di Maiorca dove il mare sarà senz’altro calmo a causa del ridosso fornito dall’isola di Minorca,

6 – una grave avaria impedisce di usare la vela e/o motore. Qui bisogna arrangiarsi, disporre di un po’ di materiale di scorta, lasciare che il mare porti la barca se la direzione è verso un ridosso, oppure in caso con­trario rallentare al minimo la corsa con tutti i sistemi possibili (ancore, cime filate di poppa, bugliolo bucato leggermente sul fondo, o un’ancora galleggiante filata di poppa).

Gli esempi potrebbero essere anco­ra molti, ma è importante ii concet­to: mentre le mani preparano la barca alla partenza, la mente deve già tro­varsi in mare, bisogna conoscere il più possibile su una vasta area circostante il tratto di mare da attraversare e, ri­peto, avere alcune soluzioni alternati­ve pronte per evitare che decisioni er­rate prese emotivamente possano peg­giorare situazioni già di per sè dif­ficili.

In tutta questa parte del viaggio fi­no alle Canarie, la navigazione è stata condotta quasi esclusivamente su base stimata, valutando “ad occhio” le di­stanze percorse, prendendo rilevamen­ti dei punti cospicui della costa, quando in vista, usando saltuariamen­te il radiogoniometro e cercando di effettuare gli atterraggi dal largo di notte in modo da poter utilizzare i fari di navigazione e di avvicina­mento.

 

Gibilterra, passaggio dello stretto
A Gibilterra abbiamo sostato due giorni e mezzo per attendere il vento da Est favorevole per l’uscita ed il punto di marea favorevole. Per attra­versare lo stretto con una barca che non può superare i 5 nodi è indispen­sabile avere la tavola indicante gli ora­ri della marea ed una carta dettagliata dello stretto (inglese n. 142).  Se guar­date la cartina dello stretto noterete che mentre al centro la corrente è diretta costantemente verso Est (in quanto l’evaporazione dell’acqua nel bacino del Mediterraneo non è suffi­cientemente compensata dalle piogge e dalle acque dei fiumi che vi sbocca­no per cui l’Atlantico alimenta co­stantemente con la “sua acqua il Mediterraneo), invece lungo le coste dello stretto si creano delle contro­correnti influenzate dall’andamento della marea. Queste controcorrenti raggiungono la massima intensità con l’alta marea (siccome l’intervallo tra l’alta e la bassa marea è mediamente di 6 ore, il periodo favorevole per uscire va da tre ore prima a tre ore dopo l’alta marea).

Il giorno 2 novembre 1974 l’alta marea del mattino avveniva alle ore 7, quindi “Mamaroa” ha lasciato Gibil­terra alle 4 seguendo la costa Nord dello stretto e superando nelle sei ore successive il traverso di Tangeri. Alle dieci del mattino, nel momento in cui cessava l’effetto favorevole, “Mama­roa” assumeva una prua magnetica di circa 1800 con vento al traverso e proseguendo con questa prua arrivava in prossimità di Tangeri alle ore 14. Come mostra la cartina la rotta segui­ta dalla barca è stata in realtà di circa 160° per l’effetto, appunto, della cor­rente al centro dello stretto.

Il traffico commerciale natural­mente attraversa lo stretto mantenen­dosi al centro, ma con una piccola barca a vela senza questo studio preli­minare si rischia di ritrovarsi, dopo magari due giorni di lotta, di nuovo a Gibilterra… (vedi sotto una bella foto dal satellite).