Margherita Pelaschier – Giugno
Cari amici, per entrare nello spirito dell’intervista che segue è opportuno leggere prima questo breve trafiletto:
ANDREA STELLA E IL CATAMARANO “LO SPIRITO DI STELLA” Era l’agosto del 2000 quando una sera, mentre si trovava a Miami per un viaggio-premio di laurea, il giovane Andrea Stella di soli 24 anni si imbatté in tre malviventi intenti a rubare la sua auto. Uno dei tre, pur non minacciato, gli puntò una pistola e sparò due colpi che lo ferirono al fegato e ad un polmone. Dopo 45 giorni di lotta tra la vita e la morte, il risveglio dal coma fu accompagnato dalla scoperta di dover ricostruire la propria vita da una sedia a rotelle per la lesione che una delle due pallottole aveva provocato alla colonna vertebrale. Ripresosi dal tragico episodio, Andrea coltivò il sogno di tornare a navigare, ma dovette prendere atto che al mondo non esisteva un’imbarcazione in cui una persona disabile potesse essere autonoma sia per le esigenze personali che per partecipare alle manovre veliche. Con il fondamentale supporto della propria famiglia, progettò il primo catamarano al mondo completamente accessibile. Nel 2004 Andrea Stella, accompagnato anche da velisti del calibro di Giovanni Soldini e Mauro Pelaschier, compì il viaggio in catamarano da Genova a Miami.
In quella traversata c’era anche Margherita Pelaschier, è l’esperienza vissuta con quel viaggio ha impresso un significato particolare per la sua vita, concretizzato poi nel suo giro d’Italia in solitario con il progetto LIBERA LA VITA LIBERA LE VELE.
<<….Per me, questo progetto è stato una grande prova con me stessa per la difficoltà che presenta la navigazione in solitario. Come altri navigatori italiani, sognavo di avere l’occasione di una prova da sola. Grazie al messaggio che portavo mi sono sentita alleviata dalle mie difficoltà pensando a chi lotta quotidianamente in ospedale per la vita. Inoltre da figlia ho sentito di aver sintetizzato in questo progetto gli insegnamenti di entrambi i miei genitori…>>
Margherita abita in Francia, a Lorient, scrive per Marco Nannini sul sito della Global Solo Challenge, (e non solo), ed è innamorata del mare e di sua figlia Rosa. Mi sono messo in contatto con lei, e ci siamo fatti una piacevolissima chiacchierata, durante la quale ho spesso percepito aleggiare nell’etere lo spirito di papà Mauro.
Chi è Margherita Pelaschier? mamma, velista, navigatrice, scrittrice?
Fra tutte le opzioni mi sento più un marinaio, infatti mio papà quando ho finito il giro d’Italia in solitario, dedicato ai bambini mi ha detto: ”sei un bravo marinaio”, ed è stato un bellissimo complimento per me perché marinaio riassume tutto… senza voler dire iper navigatore, perché saper gestire una barca, farla navigare, saperla riportare in un porto sicuro è già tanto, quindi marinaio, di mare…ma anche come mamma…che cerca sempre di riportare la barca della vita in un porto sicuro, proprio come in mare ..…..
Oltre che come mamma, il giro d’Italia ti ha consentito di esprimerti e capire cosa significa fare il marinaio, con una barca a vela da gestire in solitario: però ho visto che ti stai esprimendo anche come scrittrice.
Scrivo articoli, mi piace molto scrivere, mi è sempre piaciuto. Ho scritto il primo articoloper “Fare Vela” quando avevo 11 anni e avevo seguito il papà nel suo giro d’Italia a vela. Mi è sempre piaciuto esprimere le mie emozioni e raccontare le avventure che vivevo con la scrittura, come mio modo di espressione. Mi piace molto anche la formula dell’intervista perché cerco di interpretare la caratteristica peculiare di una persona, con un taglio psicologico, attenzione all’ individuo, e magari sviscerare le sue particolarità e così… questo è anche un prerequisito per stabilire un buon feeling con gli altri, e voglio in questo includere anche l’equipaggio, quando sono in regata.
Che effetto ti fa portare un cognome così importante, per chi conosce il mondo della vela
All’inizio, da buon scorpione, mi nascondevo, volevo imparare ed essere accettata per la persona che sono. Mio papà avrebbe preferito che io continuassi a scrivere, sul filone del giornalismo, però io mi ero appassionata alla vela… Mamma, maestra, attraverso la sua formazione umanistica ed il papà, velista, una professione un po’ “border line” a quei tempi, mi hanno dato una formazione completa. Papà era più un amico, i suoi insegnamenti si apprendevano stando assieme, con la creatività ma soprattutto con il suo esempio che mi ha permesso di esprimermi nella vita.
A me la vela è servita perché mi ha ispirato per capire l’importanza del viaggio, ho iniziato a seguire il papà quando ero piccolissima, anche con i nonni, e questa vita “da vagabondi” mi ha stregato. L’atmosfera del viaggio, queste persone che rientravano dal mare felici, visitare nuove città, gustare nuovi piatti, sentire nuove idee, ascoltando persone di diverse età.
Quindi, per tornare alla domanda, mi nascondevo, perché all’inizio, non avendo avuto subito dal papà una formazione di vela, volevo imparare. Non volevo che arrivando a bordo tutti pensassero che ero una professionista perché mi chiamavo Pelaschier, e non volevo che mi favorissero. Volevo che mi vedessero per quello che ero, semplice, con le cose che sapevo fare e la voglia di imparare, consapevole delle mie lacune in materia, ma volevo imparare ed essere considerata alla pari con le altre persone dell’equipaggio.
Quindi all’inizio giravo per le banchine, offrendomi come equipaggio per le regate, anche se poi durante il giorno usciva chi ero…ma intanto ero stata accettata per quello che ero come persona, indipendentemente dal nome…
Papà comunque mi ha rivelato che da lontano mi proteggeva e vegliava su di me <<…mi raccomando che è mia figlia…>> e quindi ero rispettata anche dai ragazzi perché…temevano l’ira di Mauro…ma io non lo sapevo…. Ho navigato un po’ sul 420 con Roberta Trani, ma le derive per me erano limitanti, mi piaceva navigare in mare aperto, e quelle poche ore che facevamo non erano sufficienti per la mia sete di viaggio e di mare. Poi ho preso la patente nautica, ho lavorato in veleria e ho fatto molte regate su barche da regata più grandi. Ho sempre visto la vela come viaggio e scoperta.
Sei sempre stata a contatto con il mare e la vela orientandoti verso le regate, quindi con uno spirito di competizione, ma mi parli invece della voglia di viaggiare, di girare il mondo per mare… che è una sensazione un po’ diversa dalle regate, il velista regatante è molto diverso dal navigatore, e tu chi sei? Questo o quello?
Io mi sento più navigatore, marinaio: cerco di fare attenzione alla barca, perchè se ci si trova in oceano per 20 giorni e si rompe qualcosa è un problema. Mi piaceva anche la conoscenza della meteorologia. Vedo qui in Francia i marinai navigatori hanno sì lo spirito competitivo, ma sanno che per un giro del mondo di 6/8 mesi devono saper riparare qualsiasi cosa……e saper portare la barca in modo adeguato…per finire la regata…
Margherita deve essere brava anche in cucina, perchè mi lascia qualche minuto per sfornare la torta salata per la sera……..ne percepisco il profumo anche da lontano. Quando si rimette in linea le chiedo se ha accettato facilmente il fatto di dover stare lontano da casa, sull’orma del papà, se non le pesa non avere il golfo di Trieste sotto casa o se le basta il profumo dell’acqua salata, e da marinaio e velista mi ha detto <<…mi basta quest’ultimo….>> .
Le ho chiesto poi quando si fosse sentita pronta per il giro d’Italia in solitario.
Prima di navigare in solitario ho fatto alcune traversate Atlantiche:
- la prima traversata l’ho dedicata a me, nel 2003. Dopo aver regatato sui Mini 6.50 in Mediterraneo, finalmente sono riuscita a coronare il mio sogno di attraversare l’Atlantico. Alla Roma per due ho conosciuto Luca Trentini che si stava preparando per partecipare alla Transat des Alizes con un Open 30. Qualche mese dopo mi propone di far parte del suo equipaggio che è di sole tre persone, tutti velisti italiani e io naturalmente accetto. Dopo un lungo trasferimento arriviamo a Portimao in Portogallo dove ci raggiunge anche Giancarlo Pedote, che regata con noi.
- Nel 2005 la mia seconda traversata l’ho dedicata agli altri, su “Lo spirito di Stella” un catamarano costruito per i diversamente abili, con Andrea Stella, mio papà, Omar Papait e altre cinque persone, da Genova a Lanzarote in trasferimento e poi fino ad Antigua in regata. Poi da Antigua a Miami in navigazione. Abbiamo accompagnato Andrea affinché chiudesse un cerchio, tornando come vincitore a Miami da dove era partito per il suo viaggio nel dolore.
….e sono stata parte di questo progetto, un’esperienza al servizio degli altri….ed è stato bello, bello vedere la gioia negli occhi di queste persone … E li chiamano disabili.
Ho appena riletto il libro di Candido Cannavò che ha questo titolo ed è bellissimo, racconta di persone che nella disabilità hanno trovato la forza di creare delle cose bellissime…
Poi a Miami ho conosciuto Raciel, il papà di Rosa… e da lì ho iniziato a lavorare sulle barche da diporto con lui: Raciel faceva da comandante ed io da marinaio, cuoca, un po’ di tutto. Abbiamo lavorato per armatori e clienti di charter in tutto il Mediterraneo, Turchia, Spagna, poi Caraibi, Isole Vergini inglesi e americane….bei viaggi.
Cosa pensi dei navigatori in solitario per il giro del mondo? Ci hai mai pensato?
Un grande sogno, il sogno: più che la “Vende Globe” preferisco la “Global Solo Challenge”, perchè sono stata nell’ambiente della Vende Globe, ed è un ambiente troppo competitivo, la competizione è massima…io non sono competitiva, se facessi un giro del mondo mi interesserebbe solo arrivare e farlo. Nella Vendee Globe le barche sono estreme, mentre io vorrei godermi il giro del mondo con una barca marina, magari un po’ lenta, ma vivibile.
Magari come la Kirsten che sta facendo la GGR…lei è una grande navigatrice…ha una buona esperienza di meteorologia che le ha permesso di azzeccare molte previsioni, ed è brava……e pensare che loro non hanno barche nuove ma “storiche”, non hanno nessun dato, navigano come ai tempi di Moitessier, dove conta molto l’esperienza. E presumibilmente lei conosce le situazioni che si verificano nell’Oceano Indiano perchè è originaria del Sud Arica.
E adesso parliamo del tuo giro d’Italia a vela in solitario, una sfida che hai lanciato per portare i messaggi di solidarietà di A.B.C. (Associazione Bambini Chirugici) Burlo ai piccoli malati del Gaslini, percorrendo 1300 miglia dallo Yacht Club Adriaco a Trieste , allo Yacht Club Italiano a Genova. Che sensazioni hai provato durante il percorso?
È già passato molto tempo, era l’aprile 2008: grande entusiasmo alla partenza, anche se con un po’ di ansia per la responsabilità nel tenere in sicurezza la barca, però una bella sensazione di libertà. Stavo realizzando questo sogno, non mi sentivo mai sola, perché nella creazione del progetto tutta la famiglia mi ha sostenuto, ed anche perché avevo la forza che mi veniva dal sapere che facevo questa cosa per i bambini. Ricordo che ho navigato sotto costa, anche se poi sono stata al largo perché in Adriatico ci sono gli allevamenti di cozze, i pescatori con le reti……. c’era vento, e volevo evitare le piattaforme, … vedevo le lucette a terra, e pensavo che in ognuna di quelle lucette c’era una famiglia, magari un bambino con dei problemi, una persona ammalata in ospedale, e questo mi dava la forza di pensare che quella mia piccola sofferenza, comunque scelta, voluta, era per una buona causa e mi sentivo vicina a quelle persone. Dormivo in micro sonni d 20 minuti poi mi svegliavo per controllare che tutto andasse bene. All’inizio ho faticato a calibrare il radar perché se lo metti troppo sensibile non riesci a dormire, se lo lasci poco calibrato non riesci a vedere chi hai intorno …in un certo senso è più semplice navigare in atlantico perché sei tranquillo, c’è meno traffico.
Dedicavo questa mia piccola sofferenza, questa avventura, alle persone che invece soffrono tutti i giorni, volevo dar voce alla loro sofferenza, e questo mi incoraggiava e non mi sentito mai sola.
E poi l’arrivo a Genova, di domenica, una bella giornata di sole, avevo con me i disegni realizzati dai bambini della chirurgia in cura all’Ospedale Pediatrico Burlo Garofalo da portare, legati a tanti piccoli peluche Trudi, che avrei consegnato il giorno dopo…
Eri supportata anche da un network, dai media che potessero dare voce a questa tua operazione di sensibilizzazione?
Certo, parecchi mi hanno seguito, c’era anche un sito dedicato, io scrivevo un diario di bordo che Laura Jelmini, l’addetta stampa, metteva in rete …prima di partire avevo trascorso delle giornate in ospedale al Burlo di Trieste, nel reparto chirurgico con i bambini, raccontavo l’avventura che andavo a fare e chiedevo: volete fare di disegni che poi io porterò in barca ai bambini che io andrò a trovare a Genova? E così ho creato una relazione con le famiglie, con i bambini, con le infermiere che io chiamavo “gli angeli”, una relazione che poi è proseguita.
La molla che ti ha fatto lasciare l’Italia, l’amore o l’amore per il mare?
Il mare, non c’era nessun amore. Ho ricevuto un’offerta da Giancarlo Pedote con cui avevo fatto la mia prima traversata atlantica. Mentre io passavo alle barche da diporto, lui ha continuato con la vela sportiva, fino ad arrivare all’Imoca, con ottimi risultati, fino alla Vendée Globe. Sono rimasta nel suo team per un anno e mezzo, una bellissima esperienza. Per me è stato complesso rientrare nel lavoro dopo la maternità, anche per il Covid, avevo la bimba da gestire, e mi sono dovuto reinventare. Ho fatto un corso di web marketing, e ho rispolverato la mia passione per la scrittura…poi con Marco Nannini ho imparato la tecnica del SEO, che ho utilizzato in vari articoli. Volevo qualcosa di compatibile con la vita di mia figlia, per vederla crescere e mi sono creata una professione parallela ….. però mi manca un po’ il mare.
Quindi sei riuscita ad abbinare la tecnica del SEO alla scrittura dei tuoi articoli… un po’ come quando è nata la tecnica del data base che attraverso gli indici sulle parole potevi collegare tutte gli articoli presenti in archivio…
Marco Nannini ha creato un tool con il suo team per ottimizzare gli scritti……è una tecnica che si basa sul numero di parole, gli spazi, i paragrafi, titoli e sottotitoli. Grazie a Marco ho imparato anche questa tecnica di scrittura.
Che effetto ti ha fatto attraversare per la prima volta l’Atlantico?
Bellissimo, un sogno che si realizzava, partecipare alla “Transat des Alizès”. Nel 2003, avevo 25 anni, avevo conosciuto Luca Trentini, armatore di un Open 30 e mi ha inserito nell’equipaggio di 3 persone… barche con poco spazio vivibile, con chiglia basculante, grande poppa aperta, prua dedicata alle vele. Dormivamo in un sarcofago uno alla volta, ogni due ore, perché nel turno c’erano anche due ore al timone e due ore in stand by fuori… Dopo una partenza complicata, con vento e onde formate, siamo usciti da Portimao. Abbiamo avuto un piccolo inconveniente alla chiglia che ci ha fatto rientrare per la riparazione. Siamo ripartiti con un ritardo di 40 ore ma siamo riusciti ad arrivare secondi in assoluto, perché la barca filava benissimo.
Esperienza bellissima, navigazione verso il caldo, verso SUD ovest, verso le Canarie, notti con luna e stelle che si riflettevano nel mare. A volte, non c’era differenza fra cielo e mare, sensazioni di libertà, gioia, una bella integrazione con l’equipaggio. Si parla tanto di uomini e donne, ma a bordo non ho sentito nessuna differenza. Purtroppo siamo ancora legati a certi concetti di differenza fra uomo e donna che esistono a terra, la donna a casa con i bambini, gli uomini a lavorare, invece in mare questa barriera si riesce a superare.
Certo, a terra non è più facile trovare donne che si realizzano nel lavoro, e in mare non è così facile trovare navigatrici che emergano, anche se poi quelle che trovi sono molto in gamba…
È vero, il problema esiste anche qui, vedi il caso Clarisse Cremier con la Banque Populaire che ha lasciato la velista a casa perché aveva avuto una bimba e temevano non si qualificasse per la Vendée Globe… fortunatamente in Francia il mondo dello sport si è mosso, la Ministra dello sport ha promesso di occuparsene personalmente, e ha chiesto un chiarimento sulla vicenda… Alex Thompson ha poi salvato la situazione e Clarisse sarà alla partenza con la stessa barca e un nuovo sponsor. Fortunatamente c’è il lieto fine. Vedo che per fortuna in Italia anche nelle istituzioni c’è attenzione alle donne che hanno conciliato maternità con lo sporto o il lavoro, guarda la Cristoforetti ….l’ammiro molto, è una grande professionista…
Hai dato più tu al mare o il mare a te?
Certamente il mare a me. Puro amore. Io, per ricambiare un po’, posso solo proteggerlo, avere sensibilità verso l’ambiente, una sensibilità che mi tocca, posso promuovere delle iniziative.
Credo però che anche tu, scrivendo, stai dando al mare, scrivi, parli, frequenti, intervisti, scrivi storie che fanno sognare …
Io quando partivo per le traversate provavo una sensazione di guarigione, il mare è una presenza taumaturgica. Ti abitui a gestire la tua vita per 20 giorni, con la cambusa che c’è, in spazi vitali ristretti. Abitui gli occhi a vedere sempre e solo cielo e mare incontrarsi sull’ orizzonte. Ti depuri da tutte le realtà della terra.
Tu conosci i navigatori e i velisti, cosa distingui fra regatanti su lunghi percorsi e regatanti dei circuiti invernali, sulle brevi distanze…
E’ un po’ come la differenza fra velisti e navigatori, a parte il fatto che ogni persona con il proprio carattere si esprimerà sia come velista che come navigatore; ma per diventare navigatore devi avere delle caratteristiche personali particolari, e questo senza giudicare fra gli uni e gli altri. Forse i navigatori hanno più la caratteristica dell’umiltà, un atteggiamento di umiltà verso il mare, di rispetto, invece chi vede il mare come ambiente di sport ha una visione orientata più alla performance pura. Mi vien da dire che c’è la stessa differenza fra chi va in montagna per una passeggiata o chi va a scalare l’Everest… è chiaro che devi avere un diverso approccio, anche sull’attrezzatura, così come fra regate costiere e regate d’altura… senza togliere nulla al valore e alla professionalità, fra i velisti che fanno regate di circolo o attorno al mondo o mach race ad alto livello. Non voglio giudicare, è diverso, sono diverse le capacità da sviluppare.
Il ricordo più bello.
Durante il giro d’Italia in solitario, l’arrivo a Genova, con il sole, la consegna dei disegni ai bambini, la conclusione del progetto LIBERA LA VITA LIBERA LE VELE e aver portato il testimone fra il Burlo e il Gaslini, e anche adesso quando rivedo le foto e ripenso al progetto sono orgogliosa.
Un altro, durante la traversata con lo Spirito di Stella. Eravamo rimasti qualche gg senza vento, l’equipaggio che iniziava ad innervosirsi, faceva caldo e ad un certo momento non ricordo bene se è stato il papà, ma ha detto…tutti in mare…ed è stato un bel momento. Abbiamo ammainato le vele e a turno ci siamo buttati nell’Oceano, il tuffo nel grande blu, guardavamo il mare immenso sotto di noi con le maschere… quindi immagina per i ragazzi diversamente abili fare una cosa del genere, è stata un’esperienza stupenda …… ci ha insegnato che un momento di disagio (perché eravamo fermi) viene superato con un bagno, e un momento difficile viene spezzato con un momento di spensieratezza ……un momento gioioso, e alla fine tante volte dicevano Andrea ed Omar: è stato più facile attraversare l’oceano su questo catamarano piuttosto che andare a prendere un caffè in una città che non ha gli scivoli per i disabili, o ha tante barriere architettoniche.
Hai avuto qualche navigatore come esempio?
Mi ha sempre fatto sognare Moitessier, quando ha continuato a navigare nella Golden Globe, vuoi per una posizione politica, invece di terminare la regata: è un personaggio che sento affine, anche se poi mi piacciono Simone Bianchetti, Cino Ricci, Peter Blake. Ho avuto l’opportunità di vivere in Nuova Zelanda quando c’è stata la Coppa America nel 2003 ed ho potuto vedere quanto Peter Blake aveva fatto per la sua Nazione, la Nuova Zelanda, dove la vela è uno sport nazionale, dove la gente quando ha finito di lavorare va a fare la regatina in mezzo alle boe. Mi è piaciuta come esperienza.
Hai mai pensato di scrivere una storia?
Si, l’ho pensato ma non l’ho ancora fatto, magari è un progetto per il futuro.
Come hai conosciuto Marco Nannini?
Grazie alla mia collaborazione con Giancarlo Pedote, perchè anche Marco collaborava come consulente per la questione della SEO per il sito di Giancarlo, una conoscenza trasversale.
(SEO: search engine optimization, sono un insieme di attività per migliorare il posizionamento di siti e pagine web sui motori di ricerca)
Per un giovane c’è posto per vivere di mare?
Si, sempre di più, sia in Bretagna che in Italia. Anche mio papà, quando ha fatto il giro d’Italia con One Ocean Foundation, ha fatto molte conferenze per i giovani, e li spronava a impegnarsi, lavorare in questo ambito, perché l’Italia ha una costa fantastica, e ci sono molte opportunità….. però a volte non ne siamo a conoscenza.
Sono convinto che sia così, ma sono convintissimo che per un ragazzo non sia facile portarsi sul mare,
ma anche a terra ci sarebbe molto lavoro da fare nell’ambito della nautica, non per forza bisogna imbarcarsi. Servono artigiani: carpentieri per le barche in legno, resinatori, pescatori, biologi marini, oceanografi, operatori nella gestione dei porti. Ci vorrebbero operatori volti alla gestione dell’ecologia, all’eco sistema, e adesso sempre di più dovrebbero esserci molti spazi, crearsi molte opportunità.
Ci sono i bisogni ma non ci sono le opportunità per creare delle figure professionali. O ti formi autonomamente, lavorando spesso gratis, finché qualche struttura non ti assume, e in Italia adesso non c’è ancora questa possibilità di vivere su questo lavoro.
Credo molto nella formazione inglese, c’è lo Yatch Master, Offshore e Ocean, Master 200gt, che comprende tutto, preparazione in navigazione, meteorologia, ma costa molte migliaia di € che devi pagarti tu.
Abbiamo anche in Italia questa possibilità, ma a pagamento: formazione per Day Skipper, Powerboat, Hostess e Marinai, inclusi i corsi per Moto d’Acqua, HACCP e Certificato Radio GMDSS.
Qui in Francia molta formazione è data in alternanza, lavoro e formazione, anche per i pescatori. Qui il mare è pescoso, un po’ si formano a scuola, in navigazione, meteorologia, pesca, conoscenza specie marine, un po’ lavorano sul peschereccio per pagarti la scuola e poi dopo qualche anno esci con un titolo e tanta esperienza…
Si tratta di analizzare i bisogni, creare l’incontro fra domanda e offerta, e quando io lavoravo avevo proposto di creare la figura dello skipper attraverso la qualificazione personale emessa da un ente di certificazione, o da una società certificata che possa emettere un certificato di qualificazione ma non ha trovato accoglienza…
Adesso ci sono alcuni professionisti, cito Davide Zerbinati, che ha istituito una Academy per promuovere corsi per aggiornamenti professionali, come altre scuole vela che promuovono corsi di formazione su argomenti specifici, ma manca la cultura per un titolo effettivamente riconosciuto nel mondo marinaro, ed è anche difficile “matchare” gli armatori, che potrebbero avere questi bisogni per barche di una certa dimensione, con le persone che cercano queste occupazioni: è un bisogno sul quale si potrebbe effettivamente creare un mercato…
Se però tocchiamo questo argomento dobbiamo anche dire che ci vorrebbero skipper preparati ed armatori preparati. A volte l’armatore pensa che l’investimento più grande sia comperare la barca, ma sappiamo benissimo che non è così, poi bisogna mantenerla.
Quindi una doppia educazione, per gli skipper che sappiano anche guidare gli armatori e per gli armatori che imparino ad ascoltare. Altrimenti abbiamo barche bellissime da fuori ma dentro sono un disastro o le attrezzature non sono a norma o non sono revisionate.
Io personalmente conosco molti skipper che fanno questo lavoro e sono bravissimi, professionisti e professionali, quello che non posso dire altrettanto è sugli armatori, che spesso non hanno problemi economici e fanno fatica a pagare, ad accettare la concezione della manutenzione preventiva, a credere a ciò che ti dice lo skipper. L’unico ambiente che io conosco dove l’armatore è obbligato a rimanere in cantiere per 3 mesi prima di consegnarti la barca è l’AMEL, d’altronde sono barche nate per girare il mondo e bisogna capirle prima di partire…
Quindi ci vuole una doppia istruzione, e prima di acquistare una barca il futuro proprietario dovrebbe avere un libretto di istruzione che gli consenta di conoscere la sua barca, oppure deve affidarsi ad uno skipper.
E adesso mi racconti qual’è la tua filosofia di vita?
Vivi e lascia vivere. Grande rispetto per il modo di vivere di ognuno, e pretendo lo stesso rispetto da parte degli altri. Grande amore per la natura, crescere i bambini con la sensibilità della protezione dell’ambiente. Cerco di condividere con le persone che conosco i miei valori. …..anche perché la nostra realtà è lo specchio di quello che abbiamo dentro di noi, quindi dobbiamo continuare a crescere e migliorare dentro di noi, per migliorare la situazione attorno a noi.
Dove ti piaci?
Nella comunicazione, nel desiderio di relazioni, anche se poi sono gli altri a dire se il mio messaggio arriva: mi piace la Margherita che ha fatto progetti solidali, e vorrei continuare a farli, e mi accetto come sono, a 40 anni ci si accetta e si valorizza quello che c’è di buono.
Vorresti cambiare qualcosa della tua vita?
La mia vita? No, tutte le cose che ho fatto mi hanno insegnato tanto, e cerco di trovare in ognuna la lezione positiva, non cambierei niente.
Passioni segrete?
Segrete? Beh, la lettura non è un segreto, però mi piacciono le candele, costruire candele; e poi la ricerca interiore, l’introspezione, seguire le persone che sono un po’ ispiranti, non fermarmi in superfice ma andare un po’ in profondità, di me stessa e del senso della vita…
Pensa che noi al nautico abbiamo avuto come professore di lettere un allievo di Benedetto Croce, e ci ha alimentato tre anni a “panini e introspezione”….. e adesso, noi che abbiamo tutti almeno 75 anni, siamo ancora in contatto e ci diamo appuntamento ogni anno a Castel d’Ario per andarlo a salutare in cimitero…. Pensa ….è il nostro pigmalione…. come nell’ attimo fuggente….
Tuoi programmi per il futuro?
Conciliare la mia passione con la vita familiare, sento il desiderio che mia figlia scopra sempre di più la Margherita marinaio. Sto cercando di capire come integrare le esigenze familiari con quelle professionali. Comunque continuare a crescere, a formarmi ed imparare “cose”, ma con lo scopo di avvicinarmi sempre al mare e alla navigazione, assieme a mia figlia.
Non mi hai ancora detto cosa fai adesso in Francia.
Adesso continuo a scrivere i miei articoli, esplorando il mondo marino qui a Lorient che è molto ricco, cercando progetti stimolanti ……mi piacerebbe creare un progetto sulla solidarietà, anche se adesso è un po’ difficile ma sto mettendo le basi…..
Conosco molte lingue, gli articoli che scrivo per la Global Solo Challenge sono bilingue, italiano e francese. Mi piacerebbe stare in mare e dove posso essere vera, dove non ci possono essere maschere. Sto seguendo una formazione di coaching molto interessante e penso di unire questa attività alla barca a vela, quindi mi organizzerò per fare degli stage in mare.
Grazie Margherita, è stato un piacere, mi permetto in chiusura di citare due tuoi pensieri:
IL MARE nel suo linguaggio silenzioso ci sta insegnando molte cose:
- la solidarietà tra di noi, nel venirsi incontro quando un altro non ce la fa.
- la pazienza: bisogna accettare ciò che viene anche se si vorrebbe correre quando si è in bonaccia o avere il mare piatto in burrasca.
- l’umiltà: non si può imbrogliare, le maschere che indossiamo a terra vengono calate una ad una. Nel confronto con un elemento così forte e vero si impara ad agire e parlare con modestia