sabato, Aprile 27, 2024

Marzo – Andrea Giorgetti

Avevo letto da tempo che dall’idea di alcuni navigatori era “nata” una Academy per fare formazione sia per armatori che per i professionisti del settore, e quando andando nel sito di Yacht Pro Hub ho visto che conoscevo Davide Zerbinati e Riccardo Tosetto, mentre di altri avevo sentito parlare, ho pensato che sarebbe stato interessante conoscere il mentore dell’idea, e così ho chiamato l’amico Ivan, un bravo rigger, che mi ha messo in contatto con Andrea Giorgetti, al quale ho espresso la mia curiosità per la sua iniziativa, e gli ho proposto di fare una chiacchierata seguendo un file rouge che avrei preparato ad hoc. E così questa mattina alle 10, con il registratore e con whatsapp mi ha raccontato di sé e della sua esperienza di velista, navigatore, skipper e manager…lui parlando dal giardino sulle colline sopra Scarlino ed io da Ortisei, con lo sfondo sul Sasso Lungo…un mare verticale…

Scopro così che sto parlando con un personaggio che si è fatto più di 180.000 miglia navigando in tutti gli oceani del mondo con barche da 27’ a 100’, maturando  una profonda conoscenza  delle barche e della navigazione, ed ha deciso di mettere a disposizione la sua esperienza coinvolgendo un gruppo di professionisti del mare in un progetto che ha l’obiettivo di trasferire esperienze, conoscenze e competenze richieste a chi NAVIGA e a chi sente la  necessità di affrontare in sicurezza una traversata  o una lunga crociera.

Logicamente l’arte dell’andar per mare (e scusatemi se uso questo termine) è emersa piacevolmente durante la conversazione, cosa che fra l’altro ha caratterizzato tutti i navigatori che ho intervistato, e parlando dell’attività di formazione e delle implicazioni sulla sicurezza della navigazione siamo finiti a parlare delle caratteristiche dei velisti, e delle difficoltà di portarli a confrontarsi sull’arte di “saper navigare”.

Ho anche approfittato di parlare con lui del supporto che sta dando a Riccardo Tosetto, che sta regatando nella Globe Solo Challenge attorno al mondo in solitario, approfondendo argomenti di natura tecnica e curiosità che possono interessare ai lettori, e mi auguro che apprezzerete e vi ritroviate o interrogherete sui molti spunti che emergeranno in seguito.

 Chi è Andrea: ieri perito chimico, oggi velista, skipper, formatore, manager, domani???

Nasco perito chimico perché nasco in una città dove non c’è il mare, divento skipper per la voglia di stare in mare. A 25 anni ho aperto una scuola di vela d’altura, poi insieme ad un socio ed amico ho acquistato uno Swan 65, e con mia moglie abbiamo navigato in Pacifico, Mar dei Caraibi, Atlantico e Mediterraneo. Ogni anno traversavamo l’Atlantico per fare la stagione invernale ai Caraibi e quella estiva in Mediterraneo. Quando è arrivata nostra figlia abbiamo deciso di rallentare, di fare un “downsizing” come si dice adesso: abbiamo acquistato un Hallberg Rassy 42, Susibelle, su cui abbiamo navigato e vissuto full time fino a che Clara ha compiuto 7 anni: ed era arrivato per noi il momento di dargli un po’ di stabilità, scuola, amici ecc…

Mi sono rimesso in gioco e ho iniziato a fare trasferimenti, coaching, ad aiutare armatori nella scelta delle barche e della loro preparazione: insomma ho messo a disposizione le mie conoscenze ed esperienze, che sono poliedriche perché ho vissuto la nautica da armatore, da comandante, da project manager e da lavoratore di cantiere. In questa nuova avventura professionale ho messo subito in essere la mentalità delle check list e dei report, per non lasciare niente al caso e tenere sempre informato l’armatore. Fin da subito mi sono reso conto che le barche non sono manutenute al meglio, non per mancanza di amore o di cura, ma spesso per mancanza di consapevolezza. La maggioranza degli alberi non sono ben trimmati, le sale macchine vengono aperte di rado, solo quando c’è un problema; manca la cultura del controllo, della manutenzione e della prevenzione.

Quando è iniziato il tuo rapporto con il mare?

In realtà non lo so…mio zio aveva un fly 420 e mi ricordo che nel golfo di Follonica navigavo con lui; quando avevo 9/10 anni si comprò un carellabile di 5,5 metri con la deriva mobile per andare a pescare, mi piaceva moltissimo e quando potevo ci andavo…

Qualche anno dopo (io avevo allora 15/16 anni) acquistò un Vega 27, barca svedese, e fu allora che si cominciarono ad allargare gli orizzonti. Passavo le ore a leggere Bolina, libri di mare; volevo navigare e l’unica opportunità era andare con mio zio. Vivendo in una città nel cuore della Toscana di estrazione industriale e sicuramente a causa della giovane età, non sapevo neppure che si potesse vivere di vela. Per me la vela era appannaggio di chi aveva un po’ di soldi, comperava una barca, se la gestiva ed andava al mare…

Un conto è andare in barca ed un conto è navigare

Si! Con mio zio e la sua barca ho cominciato ad andare in Corsica, in Sardegna….ci siamo  fatti anche il giro della Sicilia: avevo 25 anni, partimmo da Follonica navigando  fino in  Sicilia, dove ci raggiunsero mia zia e la mia ragazza, che adesso è mia moglie. Dopo quasi un mese in cui circumnavigammo tutta l’isola e rifacemmo rotta verso casa: ci impiegammo in tutto due mesi. Ci sembrava di aver compiuto un’impresa! Devo dire che già dall’inizio quello che mi interessava di più era sì la parte tecnica, ma di ogni viaggio assaporavo e mi entusiasmava soprattutto la scoperta e la barca era, ed è tutt’ora, il mezzo perfetto.

Cosa ti ha fatto decidere di lasciare il lavoro di perito chimico?

Negli anni l’idea della vela e del viaggio erano diventati una malattia: ogni momento era buono per navigare, leggere, studiare qualcosa che potesse servire per migliorarsi.

Dopo il servizio militare, ho iniziato a lavorare come chimico in un’azienda statale; appena ho potuto ho comprato un Carter 38 che ho rimesso a posto grazie all’aiuto di amici e familiari, precettati con qualsiasi scusa per ogni tipo di lavoro! Ho aperto una scuola di vela d’altura, ed in una delle tante crociere ospitai a bordo un mio compagno di scuola che come me aveva voglia di buttarsi in una nuova avventura. Cominciammo a fantasticare di comperare una barca più grande e andare in giro per il mondo. Li per lì sembravano solo tanti sogni, cose dette senza darci peso, fra un aperitivo e l’altro mentre si è in vacanza, ma… dopo 8 mesi ero in California su uno Swan 65, la nostra Creuza de Mä!
Ero da solo ed in poco tempo dovevo portare la barca a Panama: non fu proprio una passeggiata.

Nonostante tutte le difficoltà, burocratiche e tecniche, e la fatica ci riuscii. Ero dimagrito e stanchissimo, fu una avventura massacrante ma estremamente formativa.

A quei tempi a San Blas c’era la comunità italiana…

Si. La prima volta che andammo alle San Blas era estate, la stagione delle piogge, ed eravamo solo 4 barche.  A Coco Bandero c’era una coppia di americani ormeggiati al “loro” corpo morto, un neozelandese solitario, una famiglia di Sud Africani, e poi…Bob un Texano che presto diventò un amico, su una barca di alluminio con la quale si era fatto il giro del mondo in solitario.

Quando siamo tornati in inverno invece ci siamo immersi nella vita sociale della comunità italiana, che grazie a Rita e Enzo del Tatanai era molto attiva e accogliente.

Lo Swan 65 Crêuza de mä: dov’è adesso?

Adesso lo Swan è di proprietà di uno spagnolo, sta facendo il giro del mondo. Quando Isabella rimase in cinta sapevamo che avremmo dovuto vendere Crêuza de mä; all’inizio l’idea era di fermarsi a terra e mettere in piedi una società di servizi nautici e di formazione.  Poi mentre buttavamo giù business plan e piani futuri, realizzammo che avremmo avuto a disposizione gli ultimi 6 anni per poter navigare prima dell’inizio della scuola dell’obbligo: ci comprammo un Hallberg-Rassy 42 con il quale siamo stati in giro per il Mediterraneo e l’Atlantico.

Il primo anno in Croazia, il secondo in Grecia, vivendo a bordo estate e inverno, poi quando la bambina aveva tre anni ci siamo spostati a Barcellona, dove siamo rimasti due anni; Clara andava all’asilo ed io lavoravo nel cantiere assistenza Nautor, dove vivevamo a bordo di “Susibelle”. Ci siamo trovati benissimo, ma quando Clara aveva 5 anni abbiamo messo prua sui Caraibi, con l’idea di risalire la costa est degli Stati Uniti fino a Boston e poi ancora nel Maine. Volevamo sfruttare al meglio l’ultimo anno prima che iniziasse la scuola dell’obbligo ed è stata una bellissima esperienza anche se non è andata come previsto perché a causa del Covid siamo rimasti bloccati a Portorico 2 mesi. Lock-down in barca, senza neanche la possibilità di cambiare ancoraggio o, peggio ancora, fare anche un semplice bagno! Dopo questo periodo, prima che iniziasse la stagione degli uragani (non volevo lasciare la barca incustodita alla boa …)  mia moglie con la bimba sono andate a Boston, dove viveva mia cognata, in attesa di trovare un volo che le potesse riportare in Italia, mentre io mi son fatto l’Atlantico da solo, la mia prima traversata in solitario.

Una volta stabiliti a Scarlino, con Clara ormai in prima elementare, dovevo pensare a cosa fare da grande, ed è così che è ritornata preponderante l’idea della società di servizi nautici; ho iniziato a creare un gruppo con persone ed amici che conosco e che stimo per dare corpo al progetto.

Le tue esperienze professionali più significative: dove le hai maturate?  Mi riferisco in particolare ai contenuti di skipper che poi sono sfociati nelle decisioni che oggi ti vedono coinvolto nel progetto Yacht Pro Hub.

Lo Swan 65 è stato il punto di svolta: gestire una barca di 65 piedi (che adesso non è grande ma all’epoca si) in giro per il mondo con budget limitato, facendo tutte le manutenzioni, organizzando tutta la logistica, mi ha insegnato tanto.

Come skipper hai privilegiato di più gli aspetti umani piuttosto che gli elementi di tecnica di navigazione?

Quello che cerco di trasmetter, e che ripeto sempre ai corsi, è questo: la patente nautica è una patente di abilitazione al comando, il comandante non è quello che è al “volante”, è colui che comanda ed è responsabile. Per poter tenere tutto sotto controllo deve saper delegare e istruire l’equipaggio, specie se non di professionisti. Anche perché un equipaggio attivo e responsabilizzato, è più contento, si interesserà alla navigazione e si appassionerà alla barca e alla vela.

Ma come è nata il progetto Yacht Pro Hub? 

È una cosa che avevo in testa da molti anni, avevo l’intenzione di fare una società di persone che volessero mettere a disposizione la propria esperienza…

Tocchi un ragionamento che mi sta a cuore perchè è un argomento che cerco di privilegiare quando scrivo, perchè sono convinto che finchè non c’è la cogenza che renda obbligatorio “fare certe cose”, e certificare che certi ruoli possano essere esercitati con garanzia di professionalità, serietà e competenza, in sicurezza, non cambierà mai nulla.
Così per esempio non capisco perchè il velista non abbia  a bordo  per la propria barca ( che magari costa migliaia di € e con la quale affronta ancoraggi  in condizioni meteo  impegnative o su fondali cattivi tenitori)  un’ancora affidabile, sicura,  prodotta da società certificate, ma tenga  a bordo ancore che spesso sono ferro vecchio… poi è vero che c’è un Dio per i velisti perchè raramente succede qualcosa, però la cultura della manutenzione, del controllo di certe parti della barca, sono necessari, anche perchè forse  più del 90% di chi possiede una barca a vela la usa per andare in ferie o fare le uscite “fuori porta”.

Rispetto al numero delle barche immatricolate vediamo che velisti che NAVIGANO veramente sono pochi. Per tanti la barca non è navigare ma passare qualche ora in relax fuori dal porto; va benissimo, ma poi, visto che il mercato tira verso questo tipo di approccio, diventa difficile trovare barche costruite per navigare veramente; le imbarcazioni a vela diventano meno sicure perché sempre più dipendenti da elettronica ed elettromatismi senza che ci siano dei back-up, come avviene a livello industriale o aereonautico. Gli armatori non chiedono che le barche siano sicure perché semplicemente non lo sanno, stiamo perdendo la cultura marinaresca. Quindi se vogliamo fare sicurezza dobbiamo partire dalla consapevolezza dei comandanti e armatori.
Noi ci prefissiamo di trasmettere conoscenza e consapevolezza per rendere la navigazione più piacevole e sicura.

Il progetto è indubbiamente interessante, io mi sono sempre interessato a questi aspetti sia per passione che per deformazione professionale, soprattutto quando intorno agli anni 2005/6 divenne importante la qualificazione delle professionalità, dagli agenti di commercio ai titoli nell’ambito navale, per i quali non si è mai approdato ad una soluzione pragmatica. Per questo, quando sono venuto a conoscenza della Yacht Pro Hub, ero incuriosito ed interessato ad approfondirne i contenuti, perchè, al di là della validità degli obiettivi che ti sei posto, da tempo volevo capire come affrontavi le difficoltà   di portare le persone a seguire la tua strada per poter imparare o migliorare il modo di lavorare negli ambiti del mare.

Non è facile far capire l’importanza di partecipare ai corsi e quanto ci sia da imparare: io credo che in parte ciò sia dovuto all’effetto Dunning-Kruger, infatti quando proponiamo formazione spesso ci sentiamo rispondere che <<”……sono 20 anni che vado in barca…., che cosa avrò mai da imparare?>>
Quello che ci consola è che chi frequenta il primo corso, e conosce noi e la nostra struttura, si rende conto del livello dell’insegnamento e di come ci approcciamo alla formazione, invariabilmente nel corso degli anni frequenta tutti gli altri corsi, che sono sempre tenuti da un professionista del settore, per esempio Danilo Fabbroni nel corso dedicato all’attrezzatura di coperta, e un marinaio di lungo corso come me. Durante i nostri workshop scambiamo conoscenza e esperienza e tutti insieme cresciamo.

Toglimi una curiosità: chi erano i partecipanti al corso?

Qualche comandante, un paio di istruttori vela, qualcuno che vuole imparare a fare il rigger, e qualche armatore lungimirante.

Mi piacerebbe che si capisse l’importanza di questo argomento, perché per adoperare al meglio l’attrezzatura di coperta ci vuole un po’ di conoscenza, altrimenti si rischia di fare danni. Prendiamo ad esempio il golfare: sembra una cosa banale, il suo carico di rottura varia in base all’angolo di tiro; non a caso le aziende produttrici indicano tre carichi di lavoro a seconda dell’orientamento del carico. Per cui il loro utilizzo non è così banale come potrebbe sembrare.

Cosa pensi delle regate intorno al mondo in solitario?

Sono un’ottima palestra, io ho fatto una traversata Atlantica in solitario ed è stata una delle esperienze più belle della mia vita.
Un giro del mondo in solitario è un’avventura pazzesca sotto tanti aspetti e come sempre la preparazione è fondamentale. Ho aiutato Riccardo Tosetto a preparare la sua barca, per persone senza grandi budget arrivare alla partenza è già un risultato enorme. Poi in mare chi avrà preparato bene la barca avrà meno problemi e potrà raggiungere la meta che si era prefissato, che per molti non è vincere ma arrivare senza fermarsi! Dal punto di vista umano è una bella sfida che ti pone a contatto con te stesso, anche se ad onor del vero ormai tutti hanno a bordo Star Link, che permette di avere internet ad alte velocità, quindi si perde un po’ il senso di solitudine, ma di contro ci dà modo di seguire questi navigatori costantemente. Penso che quello che ha fatto Nannini (la formula GSC) sia interessante   perché dà modo a persone come Riccardo di coronare un sogno.

La Global Solo Challenge: è un bel progetto, che conosco perchè quando Angelo Preden mi ha avvisato dell’intenzione da parte di Riccardo di parteciparvi l’ho intervistato, e mi ha convinto quando mi ha detto che a lui interessa arrivare bene in fondo alla regata.  Questo sarà merito della sua preparazione, perchè come dicevamo conta molto avere l’esperienza non di regate veliche di circolo, ma aver attraversato l’Atlantico più volte come skipper.  Inoltre la possibilità con Starlink di essere supportato nelle decisioni da prendere diventa una risorsa preziosa, è come avere un secondo ufficiale di rotta a bordo, perchè quando navighi il contatto con la terra deve servire soltanto per garantirti la sicurezza nelle decisioni da prendere…

Controllo il meteo per Riccardo più volte al giorno e grazie a internet sono in grado di condividere con lui grib files, carte meteo con annotazioni e tutte le informazioni che reputo necessarie; insieme poi decidiamo la rotta migliore. Inoltre gli faccio da supporto tecnico: se ha un problema mi scrive, e se io riesco a risolverlo bene, altrimenti da terra ho la possibilità di chiamare amici professionisti e con un confronto segnalare a Riccardo il da farsi.

Questa mattina gli ho scritto perchè non capivo il perchè di alcune scelte di rotta: seguo anch’io la regata più volte al giorno, perchè il supporto del meteo e delle condizioni che va ad affrontare sono un’occasione interessantissima per navigare assieme ai regatanti pur rimanendo a terra, e vedo che a volte lui ritarda a prendere certe decisioni e non “copia” quelli che sono più avanti di lui, che hanno la stessa categoria di barca, lo class40, e dovrebbero avere le stesse caratteristiche. C’è la Cole, la velista statunitense, che è molte miglia avanti a lui, e quando gli ho chiesto come mai c’è questa differenza lui mi ha detto di aver scelto la prudenza, eventualmente di correre dopo, mentre lei ha fatto delle scelte un po’ azzardate. Questo per chiederti come viene gestito l’aiuto che gli dai, se poi di fatto viene non seguito dalle sue scelte: forse Riccardo attende per prudenza, anche se attendendo troppo le decisioni poi non sono più adatte alla nuova situazione che si è creata…

Non la vedo esattamente così, le scelte meteo e di tattica variano in base anche agli obbiettivi e al budget. Come dicevo la preparazione è fondamentale, ma a seconda del budget le scelte cambiano. Ti faccio un esempio: quando sono arrivato a La Coruna a bordo della barca di Cole c’erano un rigger professionista, un velaio della North Sails, uno che fa composito di professione, un elettricista/elettronico, e un tuttofare. La barca è arrivata dopo la traversata Atlantica con tutte le nuove vele “Ocean” della North Sails:  le hanno prese, smontate, mandate alla North Sails Spagna, dove sono state controllate tutte, per vedere se c’erano sfregamenti o problemi, solo dopo tali controlli le hanno rimandate a bordo. Tutte le drizze e le manovre correnti, le volanti le ha prese il rigger, le ha controllate palmo per palmo, e comunque hanno preferito cambiarle tutte, nonostante non fossero da sostituire. Non puoi comparare le due barche: quando il budget è tiranno, si deve scendere a compromessi, sapendo che poi in mare dovrai tenere un atteggiamento più conservativo, perché se hai uno spi frazionato solo non puoi rischiare di romperlo, se ne hai tre è diverso. Chiaramente questo si riflette nelle scelte tattiche e anche di conduzione della barca.

La prudenza è molto presente a suo favore, e l’sperienza che lui ha fatto durante le traversate Atlantiche gli consente di affrontare eventuali problemi come del resto si è verificato con l’intervento sui due piloti automatici, qualità che forse non tutti hanno, dopodiché ha potuto riprendere a navigare. Spero che con le vele che ha riesca ad arrivare a Capo Horn, perchè poi i giochi si fanno in Atlantico, come si è verificato nelle precedenti regate in solitario, nella Vendee Globe e nella Golden Globe Race.

Questa è la grande forza di Riccardo, è un marinaio a tutto tondo che ha preso la barca è l’ha rigirata come un calzino, ha fatto tutti i lavori in prima persona, la conosce come le sue tasche.

Ritornando ad Andrea: ha dato più il mare a te o tu a lui?

Sicuramente più lui a me, sia dal punto di vista delle soddisfazioni, delle amicizie, delle opportunità di vita. Poter viaggiare, vivere il mondo in barca, e conoscere le persone che vi navigano, dal pescatore al marinaio fino al grande imprenditore proprietario del mega Yatch; il mare fra le tante cose mi ha permesso di conoscere un’umanità che se vivi in città non sai neppure che esiste. Questo mi ha dato la possibilità di capire che le scelte che si possono fare, ed il modo in cui si può vivere, sono tante; questa è la cosa più bella che mi ha dato il vivere in mare.

Ed il tuo sogno nel cassetto?

Ritornare a navigare a tempo pieno con mia moglie e mia figlia.

Fai ancora lo skipper?

Faccio più il coach, che mi piace di più, però l’altro giorno ho portato uno Swan90 a Badalona, questo per dire che mi capita di fare ancora molte delivery, e spesso aiuto gli armatori ad usare al meglio la loro barca, che non sempre significa saper regolare le vele, anzi, spesso non è quello; le barche negli anni sono diventate più “user friendly” , più facili da usare, ma in realtà sono molto più complesse da gestire.

Mi piacerebbe sapere quante delle persone che vanno in barca (velisti o naviganti) hanno una sensibilità sull’importanza delle previsioni meteo.

Mediamente il velista che va per mare è molto attento alle previsioni, non sempre però è in grado di discernere fra la moltitudine di informazioni e modelli di previsioni.

Quali sono i modelli che segui per le previsioni

L’affidabilità dei modelli dipende molto dall’area di navigazione, ogni modello ha i suoi punti di forza e punti deboli, con il tempo si iniziano a conoscere, ma bisogna sempre confrontare i vari modelli fra di loro per avere un’idea chiara della situazione. Quando tutti i modelli sono concordi sappiamo che la previsione sarà accurata, quando ogni modello è diverso dagli altri…alziamo le antenne! Che poi è quello che è successo nell’agosto del 2022. Il modello francese aveva previsto che qualcosa di poco piacevole bolliva in pentola, allora ho iniziato a monitorare la situazione più attentamente e ho visto sui radar meteo un sistema nuvoloso che dalla penisola iberica si avvicinava con colpi di vento, così sono riuscito ad avvisare in tempo amici e clienti che navigavano in Corsica e dargli modo di allontanarsi e cercare riparo!

E comunque dietro ad un modello c’è sempre una persona. A questo riguardo cosa pensi del routage? Esiste la possibilità di lavoro per un routier?

Come comandante reputo che sia interessante farsi aiutare da un routier, perché a bordo ci sono dei momenti in cui non si ha abbastanza tempo da dedicare alla meteorologia, ma mai fidarsi ciecamente delle indicazioni, a bordo ci siamo noi e noi conosciamo la barca, l’equipaggio e i suoi limiti, per cui dobbiamo interfacciarci con il routier per ottenere indicazioni che ci aiutino a scegliere al meglio, non farsi dare una rotta da seguire pedissequamente. Ed è quello che faccio con Riccardo: io gli dico le opzioni, ma alla fine decide lui in base alle situazioni reali in cui si trova.

Hai mai pensato di scrivere un libro?

Io personalmente no, me lo avevano offerto, ma sono un cattivo scrittore.  Scrivo per Bolina, ma sono articoli tecnici. Dovrei trovare qualcuno che abbia voglia di starmi ad ascoltare e che voglia scrivere per me…. Perchè chiacchierare mi viene bene…come vedi….