lunedì, Ottobre 7, 2024

Verso le Canarie

VERSO LE CANARIE

Non tutti conosco lo skipper Eugenio  Favero, che assieme a Paola a bordo di Penelope  hanno fatto della loro passione la loro professione, solcando il Mediterraneo e l’Atlantico da 25 anni con i loro ospiti.  Ho invitato Eugenio a raccontarmi qualcosa di lui, e in attesa di un suo scritto, ma soprattutto nello spirito di rotte di tutto il mondo , mi ha anticipato  questo racconto di viaggio di un suo ospite, Giovanni Salvador.

Non è un ospite qualunque, una persona che a bordo può disporre di tutti i suoi sensi, è un non vedente  ….leggete, sono certo che vi impressionerà….

Dopo una depressione che ha interessato pesantemente tutto il Mediterraneo centro occidentale causando forti mareggiate ed inconsuete nevicate soprattutto in Spagna, finalmente, lunedì 3 novembre dal porto di Almerimar, vicino Almeria, in una splendida mattina assolata, sono partito, insieme a mia moglie Eliana e ad altre sei persone amanti del mare conosciute solo due giorni prima, per un indimenticabile viaggio che mi ha portato fino alle isole Canarie. A bordo del Sun Odyssey 51, un cabinato a vela di 16 metri con cui gli skippers oceanici Eugenio e Paola sono diretti per lavoro nel paradiso dei Caraibi. Premetto che sono un non vedente assoluto di Conegliano, amante del mare e delle barche a vela, in particolare delle derive, e che su Penelope 1, questo è il nome dell’imbarcazione, ero già salito la scorsa estate per una splendida crociera di una settimana in Grecia.

  

A bordo, prima di partire, ci si accorda per gli orari di guardia altimone, si prende visione delle dotazioni di sicurezza, del funzionamento dei bagni e delle manovre in coperta che io, comunque, per maggior sicurezza, mi ripasso misurando le distanze contando i passi e tastando con le dita la posizione delle drizze sugli stopper, delle scotte sui vari winch e la collocazione del sartiame e dei bozzelli, facendo tuttavia attenzione a non travolgere i miei colleghi d’avventura. Tolti i parabordi, le prime 70 miglia scivolano via gran parte a motore per l’assenza di vento, lungo una costa che sullo sfondo offre lo spettacolo delle cime imbiancate dalle nevi della Sierra Nevada e sotto costa, dalle descrizioni, capisco che il paesaggio è brullo e punteggiato qua e la da molteplici costruzioni in cemento e dalle serre per la coltivazione di frutta e verdura. Dietro di noi a poche miglia, ci segue per un breve tratto un altro veliero di undici metri con a bordo una simpatica coppia di Cagliari, conosciuta in porto, che insieme al loro scodinzolante ed affettuoso marinaio a quattro zampe, Pisolo, è diretta in Brasile. La prima notte, a causa di un fronte temporalesco segnalato dalle cartine del meteofax di bordo, ce la prendiamo un po’ con calma, e ci fermiamo a dormire nel porticciolo di Benalmadena, la cui entrata con il buio della sera è difficile da localizzare in quanto si confonde con le innumerevoli luci colorate della costa andalusa. Ci ormeggiamo in banchina, vicini al distributore di carburante, ma, a causa della sua esposizione ad ovest, l’onda causata dal temporale notturno ci culla con tanta veemenza. Alla mattina seguente ci risvegliamo con il buon profumo del caffè che ci da’ un bel buongiorno, facciamo colazione tutti insieme, anche se personalmente fatico ad uscire dal mio calduccio sacco a pelo; poi, sbrigate le ordinarie faccende igieniche, smaltiamo gli abbondanti zuccheri con una bella passeggiata nel pittoresco pueblo pieno di locali per ogni gusto; con sorpresa, scopro che in questo posto ero già venuto, sebbene a piedi, una ventina d’anni prima, quando ancora ci vedevo, durante una vacanza nella vicina Torremolinos. Rientrati a bordo, dopo una carbonara mozzafiato preparata da Paola e un breve relax, il nostro comandante Eugenio decide di salpare per poter oltrepassare Gibilterra con un po’ di chiaro e con la corrente a favore. Lasciato il porticciolo e messa la prua per 240 gradi, fuori ci aspetta il mare di Alboràn mosso dalle onde sollevate da un vento teso da sud ovest che, per affrontarlo, riduciamo la randa, avvolgiamo un po’ il fiocco ed issiamo per ottenere una maggior stabilità la trinchetta. Fortuna vuole che, questo momento, corrisponda con il mio primo turno di guardia al timone, e sono emozionato quando Eugenio, con un gesto di massima fiducia, mi affida quello di sopravento. Vorrei avere la massima concentrazione e quindi poso le mani sulla ruota a cercare il riferimento che indica la barra al centro, presto attenzione all’inclinazione dello scafo rimanendo in piedi a gambe un po’ divaricate e faccio il possibile per memorizzare sul viso la direzione da cui proviene il vento. Peccato che ancora non esista una bussola digitale parlante che mi dica i gradi in numero poiché riuscirei a mantenere la rotta con maggior autonomia; ma a parte questo particolare, che spero prima o poi venga risolto da qualche esperto in elettronica per la felicità di tutti i non vedenti amanti della vela, la sensazione che provo è comunque fantastica: mi sembra di volare leggero sulle onde, sento gli spruzzi d’acqua bagnarmi la cerata e mi piace tantissimo gustarmi le labbra piene di salsedine. Vorrei poi piangere quando dalle voci sedute in pozzetto ricevo persino dei complimenti: io, sempre alle prese nella vita quotidiana con ostacoli di ogni genere e ben felice se qualche buona anima si offre per farmeli evitare, che porto a spasso nove vedenti per questo mare. Manteniamo una velocità tra i 7 e i 9 nodi in bolina, siamo inclinati e sotto coperta tutto vibra, i colpi delle onde fanno suonare persino la campana appesa in dinette; per qualcuna, non facciamo nomi, bracciale e cerotti non bastano per cacciare il mal di mare, altri sembrano indifferenti e continuano a chiacchierare seduti al tavolo con le gambe e i piedi ben puntati o, come chi vi scrive, cerca di riposare pur rotolando dal rollìo sul materasso in cabina. Tuttavia miglia dopo miglia, come prevedeva il bollettino meteo ricevuto con la radio VHF, il vento diminuisce la sua intensità e, a poche ore da Gibilterra, Penelope 1 rallenta decisamente la sua galoppata. Lo Stretto, oltre ad essere la porta d’ingresso delle perturbazioni atlantiche, è molto insidioso per le sue correnti e per l’abbondante traffico marittimo in transito. Lo capisco quando il veneziano Bepi, un ufficiale di Marina che, nonostante i suoi 80 anni ha un aspetto giovanile, descrive, riconoscendole dalle luci di via, tutte le tipologie di navi che quasi sfioriamo. Come previsto, mercoledì 5 novembre, alle prime luci dell’alba, oltrepassiamo le mitiche colonne d’Ercole e, subito dopo, la punta spagnola di Tarifa. L’Oceano Atlantico fa pesare subito il suo vigore: il rumore che sento sembra quello di una pentola in ebollizione in quanto, mi spiegano, a prua abbiamo ancora un’onda da sud ovest, residuo della precedente depressione, che contrastando con la forte corrente uscente dal Mediterraneo tende ad innalzarsi. Situazione che ci spingerebbe ad una velocita’ di 9 nodi ma verso la costa spagnola e di bolina stretta dato il vento di nord ovest che soffia a 20/25 nodi. Con mure a dritta, invece, la la nostra rotta diviene migliore, la bolina diventa larga ma quell’onda di sud ovest ci fa rallentare fino a 3 nodi. Solo l’abilità e l’esperienza del nostro skipper ci permette, dopo un paio d’ore di bordi, di superare con grande sollievo il Capo marocchino di Espartel. L’oceano, per la sua onda lunga e ritmata che assomiglia un profondo respiro, a differenza dei precedenti mari, consente una navigazione più fluida ma soprattutto, grazie al vento che gradualmente si sposta verso est, ci permette di poggiare aprendo le vele e non vivere più in posizione obliqua come nell’andatura di bolina. La temperatura, grado dopo grado che scendiamo di latitudine, diventa sempre più gradevole e ben presto sul tavolo aperto in pozzetto riappaiono stuzzichevoli aperitivi, si stappa e si brinda al parallelo appena superato, si mangia il pane fresco e i dolcetti sfornati dalla cucina di bordo e soprattutto sembriamo cavallette quando divoriamo le squisite prelibatezze preparate dalle mani di Paola. Spesso ci vengono a trovare i delfini, si vedono nuotare le tartarughe o ci balza in coperta qualche invadente pesce volante. Un giorno, arrivato dal nulla, si è unito al nostro equipaggio anche un piccolo e tremante uccellino che, soccorso e coccolato con mueslie ed acqua in bottiglia dalle amorevoli mani delle quattro signore a bordo, alla mattina seguente, dopo aver pernottato tra la pazienza e il tender, lasciandoci pure numerosi ricordini, se ne è andato sciogliendoci il cuore con un inedito melodico canto fischiato poco prima di volarsene via. Nelle notti, quando a poppa l’Aliseo soffia deciso, il mare ha il rumore di una grande cascata ed è imbiancato dalla spuma dei frangenti che riflettono con la luna. In coperta, durante i turni, siamo sempre in tre persone e sebbene la mia seconda guardia sia dalle tre alle sei di mattina, rimanere fuori a queste latitudini è straordinariamente bello poiché, con gli occhi di chi è fuori con me, sempre attenti a dare l’allarme se passa qualche nave, riesco a vedere a modo mio la bianca scia che lasciamo sull’acqua dietro di noi e guardando in su, verso l’infinito universo, sogno pensando alle stelle cadenti. La mattina dell’ 11 novembre, verso le 6 ora locale, alla nostra prua, i lampi del faro di Santa Cruz de Tenerife segnano per me la fine di un fantastico viaggio nel quale, ho conosciuto persone straordinarie, e che mi ha insegnato ancor di più a rispettare ed amare la natura.

Giovanni Salvador