Filippo Fernè
Sono stato ieri a salutare Filippo nel suo studio qui a Verona, ed abbiamo scambiato piacevoli ricordi su comuni esperienze in giro per gli oceani…fra qualche settimana ritorna a bordo per riprendere la navigazione nel Mar Rosso ed entrare in Mediterraneo, da dove era partito nel 2016.
Adesso vi do solo un flash sul suo viaggio, riportandolo da un articolo di Bonifacio Pignatti, ma mi riservo di raccontarvi di più prossimamente…
04 marzo 2024
Il veronese Filippo Fernè con la sua Falabrach ha attraversato lo stretto l’altra notte. Prima vela italiana da quando gli Houti attaccano le navi»
Falabrach. Il 15 metri di Filippo Fernè a Socotra, l’isola yemenita da cui è salpato per Gibuti e da qui verso il Mar Rosso
«In barca nel Mar Rosso fra i missili dalla parte dell’Eritrea, verso lo Yemen è troppo pericoloso….. Ma è stato un rischio calcolato»
Mentre l’Italia entrava di fatto in guerra sparando un missile dalla nave Duilio per abbattere un drone degli Houti, una barca a vela veronese veleggiava nelle stesse acque all’ingresso del Mar Rosso.
«La Duilio era davanti a noi, ore dopo abbiamo visto una scia luminosa nel cielo ma non abbiamo la certezza che fosse quel missile».
Il famigerato stretto di Bab el Mandeb – la porta del lamento , il passaggio obbligato verso il canale di Suez ora insidiato dagli attacchi della fazione yemenita padrona di mezzo Paese della penisola arabica.
Chi parla è Filippo Fernè, è domenica pomeriggio e sta risalendo il Mar Rosso – ancora nella zona a rischio – costeggiando le isole Hanish Assieme all’amico bresciano Luigi Berlendis, sta portando il suo 15 metri Falabrach verso il canale di Suez. Lo lascerà presto a Ismailia e tornerà in Italia. Andrà a riprenderlo a fine maggio, e il Mediterraneo dall’Egitto a casa gli sembrerà un gioco da ragazzi.
Sarà l’ultimo tratto del giro del mondo a tappe, iniziato otto anni fa , interrotto dal Covid, ora in dirittura d’arrivo. Fernè, con equipaggi che si alternavano – anche moglie e figlie – ha percorso finora circa 25mila miglia nautiche. È un ottimo velista ma non un professionista, fa un altro mestiere. Ha calcolato le (ampie) pause possibili per navigare e l’ha fatto, lasciando la barca in un porto ad aspettarlo per la tappa successiva. Potevano passare mesi, anche tanti con il Covid di mezzo. Ma in questa storia la fedeltà ha sempre vinto sulla lontananza, l’impegno a rispettare i tempi è stato messo a dura prova ma è stato rispettato.
A Socotra, Filippo Fernè (a destra) con il compagno di viaggio Luigi Berlendis
«Siamo la prima barca a vela italiana entrata nel Mar Rosso dallo scoppio della crisi di Gaza che ha innescato la reazione degli Houti. Abbiamo visto molte navi da trasporto, il 70-80% del traffico commerciale continua a passare», spiega.
«La decisione di entrare nel Mar Rosso invece di circumnavigare l’Africa l’ho presa il 20 gennaio, alle isole Andamane. Diversi siti specializzati e il più accreditato gruppo Facebook di velisti sconsigliavano, ma mi sono messo in contatto con l’agente di Gibuti e poi con un velista russo che era sulla rotta. Ho controllato tutti i report con gli attacchi e gli avvistamenti, mi sono convinto che il rischio era relativo. Le barche da diporto non sono un obiettivo: da gennaio ne sono passate una dozzina e non è successo nulla. Da casa mia moglie all’inizio era preoccupata («ma sei matto?»), le mie figlie invece serene. Non mi sono mai sentito incosciente: mi sono registrato e ho fornito un report quotidiano alle forze militari europee e britanniche, c’è un sistema di copertura e scatta il soccorso in caso di emergenza. Siamo passati da Bab el Mandeb domenica alle 2.30 di notte perchè finora gli attacchi degli Houti sono avvenuti con la luce del giorno. Quando è transitato Dimitri – il russo – lo chiamavano ogni due ore dalle navi militari per accertarsi delle sue condizioni, noi non abbiamo sentito nessuno. Certo è che un equipaggio olandese partito prima di noi da Socotra qualche giorno fa ha visto la nave americane sparare i missili.
Ora viaggiamo verso nord», riprende Fernè. «L’intenzione è fare sosta in Sudan, altro Paese destabilizzato dalla guerra civile. Ma Khartoum è lontana e per la nostra meta, il porto di Suakin, otterremo un permesso temporaneo. Tre giorni dovrebbero essere sufficienti per fare qualche riparazione e poi riprendere il viaggio verso il canale di Suez».