venerdì, Aprile 26, 2024

Gino Corcione – Ottobre

Nasce a Napoli nell’ottobre del ‘48, avvocato per quasi quarant’anni” per campare” e velista dall’età della ragione” per amore”, è riuscito a conciliare le due attività fino alla pensione, quando ha preso il largo, oltre l’orizzonte, attraverso gli oceani, anche in solitario, dedicandosi a scrivere romanzi gialli immersi in avventure di mare realmente vissute. Sono suoi

 

Oggi per la maggior parte dell’anno vive a bordo della sua amata vela di 12 metri, Lupo Solitario.

Avevo preparato un lungo File rouge per il comandante Corcione, e il suo amore per il mare, che evince puntuale nelle esaurienti risposte, dovuta anche all’esperienza di avvocato,  emerge nella pagine che seguono.   

Ho letto e riletto l’intervista che mi ha rilasciato , e ogni volta mi sono emozionato, perchè la sua storia è emozione pura…forse esagero un po’ perchè mi manca l’andar per mare, e leggendo quello che hanno fatto e stanno facendo gli altri amici velisti/navigatori “vado via di testa”.

Poi ripenso che anch’io “ho dato” al mare, e  lui ha dato a me, ma solo il fatto di aver vissuto certe esperienze mi fa condividere stati d’animo, emozioni, gioie, rivivere sensazioni  che….. struggono..

Ho deciso quindi di lasciare intatte domande e risposte, così mi auguro che anche voi vi emozioniate un po’…..


della persona………..

  1. Chi sei? parlami di te

Caro Mario, credo che parlare di se stessi sia la cosa più difficile per chiunque, per me lo è certamente.

Chi sono? Ho mille risposte e nessuna; non accetto e non sono solito attribuire etichette; oggi certamente sono diverso da ieri e probabilmente domani cambierò ancora.

 

  1. Eri una persona irrequieta e o uno studente impegnato a studiare?  carattere forte o …….?

Irrequieto al massimo, mai fermo, e, comunque, ottimo studente, non per convinzione ma per praticità: studiare è facile; secondo me è difficile accettare l’idea di doverlo fare. In parole povere, si perde più tempo a cercare di rimandare lo studio a più tardi, quando sono sufficienti poche ore ben fatte: mi sono laureato a 21 anni e mezzo e mi sono sempre divertito un sacco: odio i secchioni!

Ho un brutto carattere anche se sono molto simpatico e immodesto. Odio la televisione, i telefoni cellulari, le chat, i social e, in parole povere, costringere gli altri a farsi i fatti miei ed essere costretto a farmi i fatti degli altri.

 

  1. i chi è il DNA del viaggiatore

Mia madre di certo; a papà il mare piaceva poco.

 

  1. Influenza del segno zodiacale?

A stento so di essere della Bilancia, ma non riesco neanche a immaginare come le stelle possano influire sulla vita di qualcuno.

 

  1. Quali studi hai fatto ? Ti sono poi  serviti nella vita?

Ho fatto il classico e poi legge. Certo che gli studi sono serviti: non credo che esista una sola attività, anche la più semplice, che non necessiti di una preventiva preparazione.

 

  1. Da giovane immaginavi che la tua vita sarebbe stata così?

Non so ancora come è la mia vita. E’ presto per dirlo e probabilmente non lo saprò mai. Quella vissuta mi è sempre piaciuta, anche quando non mi piaceva.

 

  1. Le  ambizioni da giovane quali erano? cosa avrebbe  voluto fare da grande? Lo hai poi fatto?

Le ambizioni sono pericolose assai, anche se, a prima vista, sembrano una spinta necessaria, hanno il difetto di essere inesauribili: raggiunto un traguardo ne vuoi un altro e così via e poi un giorno gli altri si accorgono che sei morto.

Epicureo convinto, ho sempre cercato e cerco ancora il bello, dovunque e comunque si presenti. Il difetto? Il tempo! La vita è troppo breve e ne consumiamo gran parte a lavorare per mettere il piatto a tavola, ma è giusto così. Il necessario è approfittare di ogni momento libero per guardarti intorno e agguantare qualche parte di mondo che pare stia lì proprio ad aspettare te.


IL RAPPORTO CON IL MARE

  1. Il tuo più lontano ricordo con il mare

A quattro anni, le nuotate al largo con mia madre.

 

  1. E la tua prima volta in barca? come hai vissuto le tue prime responsabilità?

La mia prima barca era una cosa strana, non ricordo il cantiere: era lunga 2 metri e mezzo e la presi in società con un amico, dividendoci la spesa di 45.000 lire. Aveva solo la randa e cominciai da autodidatta, convinto di poter fare da solo. Durò poco, non la barca, ma la mia convinzione, mortificata da rotture e visite all’ospedale. Cominciai a studiare e mi accompagnai con chi sapeva dove fosse la prua e dove la poppa: con quella barchetta ho girato in lungo e largo il golfo di Napoli e di Pozzuoli e sono arrivato fino ad Ischia.

Responsabilità non ne avevo, non all’epoca, perché, appena dirozzato, me ne andavo in giro da solo. Ed è stato così per parecchio tempo, fin quando non mi trasferii a Pescara dove acquistai un Rebel 35 molto usato, e ogni volta che portavo qualcuno gli facevo la capa tanto con un briefing sulla sicurezza: salvagenti, life line, l’uso del VHF ecc..

Insomma predicavo bene, ma da solo razzolavo male, fin quando non incappai in una tromba d’aria.

 

  1. Che ricordi hai del tuo primo impatto con l’oceano? e  la prima traversata atlantica?

Decine d’anni di Mediterraneo e tante miglia prima di realizzare il sogno di mettere la prua nelle acque del grande fiume Oceano. E fu per caso che la prima volta fu la più difficile in assoluto, salvo, poi, qualche anno dopo quando incappai in una tempesta tropicale, da solo e con la barca danneggiata da un fulmine: ma questa te la racconto più in là.

Per seguire il tuo file, ti dirò che l’idea – davvero balzana – di riportare la barca nuova di pacca dal cantiere Hanse di Greifswald fino a Pescara, all’inizio sembrò quasi logica: non c’è che fare, è dalla inesperienza che vengono fuori le esperienze più belle, se non ci lasci prima la pelle. Comunque, all’epoca, non prendemmo certo la cosa sottogamba: sei mesi e oltre di pianificazione di una rotta che ogni rigo tradotto dal francese, inglese e tedesco, mostrava come impegnativa oltre ogni nostra immaginazione, ed evidenziava la nostra inadeguatezza: maree fino a 10 metri e oltre, correnti fino a 11 nodi e oltre (Raz de Sein), bassi fondali, nebbie, traffico marittimo (nella Manica una nave ogni 8 minuti!). Lino Braccischi, carissimo amico e compagno di navigazione da sempre, ora non c’è più. Era lui, navigante senza paura e cartografo eccezionale, che ogni sera alle 8 veniva da Roseto a Pescara, al mio studio, per riprendere lì dove avevamo staccato il giorno prima: ne è uscito fuori un brogliaccio di oltre cento pagine con annotate non solo la rotta, coordinata per coordinata, ma anche i numeri delle singole boe a delimitazione dei moltissimi tratti con fondali così bassi e stretti che in alcuni tratti era impossibile la navigazione a vela, non essendoci lo spazio per virare o strambare. Tra le mille difficoltà per naviganti della domenica come noi, abituati tutt’al più alla cattiveria di un Meltemi estivo, il pericolo maggiore fu una tempesta che ci stava raggiungendo, con tanto poco preavviso che rischiammo di trovarci in secca per risalire un fiume fino al Marina di Morlaix, in Francia.

Quella navigazione è raccolta in un diario di bordo, molto lungo e particolareggiato che ho intitolato “Un Napoletano, un Kuoko e uno Svizzero nei mari del Nord (e c’era anche uno Speziale)”  Il Napoletano ero io; il Kuoko era Lino che, medico, se gli chiedevi cosa facesse nella vita ti rispondeva “Io Kuoko” con le lettere K; lo Svizzero era Thomas Michel, così detto perché era svizzero di Coira; lo Speziale era Piero Gasparroni, farmacista. Un giorno o l’altro proverò a pubblicarlo, forse.

 

La prima traversata atlantica, verso i caraibi, al confronto della precedente fu una pacchia, durata 23 giorni, tra dicembre 2008 e gennaio 2009, di mare tra mosso e molto mosso, ma niente di più.

Eravamo in tre, Thomas ‘o Svizzero, Mauro Dainese, ingegnere ed io: i primi due messi insieme parlavano correntemente non so quante lingue, ma assai e alcune strane; io ho la padronanza completa del napoletano, quella da ex avvocato dell’italiano e infine una penosa conoscenza dell’inglese e un po’ più ardita dello spagnolo.

Quello che fu veramente divertente fu la prima notte in oceano,:

– partimmo al tramonto da Puerto de Mogan (Gran Canaria) con vento da Nord forza 8 al giardinetto, con direzione SSW verso le Isole di Capo Verde, ma la cosa non ci impensieriva più di tanto data la precedente esperienza nella Manica;

– però, a circa un quarto di miglio da noi, sulla stessa rotta (o almeno così sembrava) c’era una nave che appariva e scompariva tra un’onda e l’altra;

– la nave era grossa e tutta di ferro. Fregati di paura accendemmo tutte le luci che avevamo a bordo, soprattutto quelle in testa d’albero: lo sembrava un albero, ma di Natale!!;

– guardavamo con tranquillità le onde che, enormi, si alzavano dietro la nostra poppa, l’alzavano e ci passavano sotto. Perché mai mettere le cerate? Non faceva proprio caldo, ma non faceva neanche freddo;

– solo che ogni tanto arrivava qualche onda… birbanta, più laterale, the swell, che subito battezzai  “ ‘a swella”, in napoletano. E ogni volta era una paccata violenta contro la murata di Lupo e qualche tonnellametro d’acqua, pesci volanti e calamari finivano su di noi;

– la mattina dopo ci colse, da un lato, preoccupati per il consumo di energia dovuto alle luminarie di Natale, al frigorifero ed al pilota automatico, e, dall’altro, con una sfilza di panni appesi alle draglie ad asciugare (speranza vana perché ogni tanto venivano fracicati di nuovo);

– conclusione e morale: considerato che intorno a noi c’era il nulla assoluto e che la rotta non era battuta da navi, la sera dopo spegnemmo tutto, tranne il radar, recando sollievo alle batterie (n. 6 da 120 ampere alimentate da due pannelli fotovoltaici e un generatore eolico (Frullinetor); ritenuto che asciutti era meglio che bagnati, facemmo i nostri bravi turni di guardia con le cerate. Morale? Una barca con le batterie cariche e l’equipaggio asciutto è una barca felice!

 

  1. Il mare per andare in barca o la barca per andar per mare?

Non capisco che vuoi dire, o forse sì, ma la distinzione è davvero sottile, almeno per un velista: come fai ad andare per mare senza una vela oppure che te ne fai di una vela se non vai per mare?! Insomma, voglio dire che la vela non è un mezzo per andare da un porto all’altro, ma per vivere il mare.

Le barche a motore? No comment!

  1. Che rapporto hai con la navigazione in  solitario?

La navigazione in solitario potrà anche essere tosta, e lo è, ma ti dà talmente tanto…

E come lo spieghi? Non puoi. Ti prenderebbero per svitato (e forse un poco lo sono). Ma come fai a spiegare qualcosa a chi non può capire la tua lingua? E non è vero che la notte, fuori nel pozzetto, ti senti piccolo e indifeso in quella immensità nera: ti senti immenso come lei, anche se sei perfettamente consapevole che basta un suo sguardo storto di Qualcuno… ma non t’importa.

 

  1. Hai mai pensato di fare una regata attorno al mondo?

Le regate non mi interessano, vivo il mare per il mare, non per competere con qualcuno.

Soffro la terra ferma alla quale mi lega solo l’amore per la famiglia.

 

  1. In tutti questi anni ha dato più il mare a te o tu a lui?

Non so chi ha dato o chi ha ricevuto di più; io ho avuto tantissimo e anche delle batoste ho un ricordo felice assai.

 

IL NAVIGATORE

  1. Cosa pensi delle regate intorno al mondo in solitario?

Specie negli ultimi tempi, il fattore uomo conta sempre di meno: i quaranta ruggenti e i cinquanta urlanti affrontati con… il cordone ombelicale. Certo, la sicurezza è fondamentale, ma tanto vale farle “guidare” da androidi.

 

  1. Il tuo giro del mondo: sogno o realtà

Il mio giro del mondo si è interrotto a 500 miglia dal Nicaragua, quando ho dovuto farne altrettante contro vento e mare fino alle Galapagos per sbarcare un ospite (mai più!!): navigavo tra le balene, ed il povero Lupo ne ha prese di botte di mare, tante che, tornato a Panamà e di nuovo nell’atlantico (Colon, marina Shelter Bay), sono stato fermo tre mesi per le riparazioni. Poi, dopo, il ritorno – assolutamente in solitario! – fino al Portogallo (Colon – Cayman – Cuba – Bermude – Azzorre – Portimao).

Ecco, questo è l’unico ricordo brutto nelle mie navigazioni; i belli sono tali e tanti che è difficile, veramente difficile, dare una preferenza.

 

  1. Le tue barche e la tua barca ideale….. se esiste una barca ideale

Secondo me non esiste una barca ideale, esiste la mia barca e la tua barca, insomma la barca che hai cercato in ogni modo di adattare alle tue esigenze e di adattarti alle sue: della tua barca conosci pregi e difetti e dopo un po’ finalmente smetti di volerli correggere, i difetti, e li assecondi.

 

  1. Dimmi tre  caratteristiche che deve avere un navigatore….e uno skipper…

Incoscienza.

Ovviamente, parliamo di navigazione al largo, molto al largo.

Lo sai da prima che là in mezzo non c’è nessuno che viene in tuo soccorso: l’Epirb?! Ricordati del Parsifal!

D’altra parte, se ci rifletti, a mare, se hai culo, nel bel mezzo del niente sbuca qualcuno che ti soccorre. A terra, invece, in mezzo alla folla, corri il rischio di morire prima che qualcuno si decida, non certo a soccorrerti, ma a chiamare qualcuno che lo faccia.

Quindi, quando lasci la banchina per andare oltre l’orizzonte e ancora più lontano, devi essere pienamente convinto di poter contare solo sulle tue forze che, tuttavia, non sono poca cosa.

 

Assenza di paura.

La paura è pericolosa e le sue figlie, le “pippe mentali”, portano al panico e alla rovina. Se prima ancora di partire hai paura di quello che può succederti al largo, da solo o con altri, non partire, non te l’ha ordinato il medico: ricorda sempre che non devi dimostrare niente a nessuno e che la tua paura può costare troppo, a te e non solo a te.

Io non so cosa sia la paura in mare, tranne quando porto con me le persone che amo.

Da solo non ho mai avuto paura, nemmeno nei momenti peggiori, non ne avevo tempo, e poi, a che sarebbe servito?

Quando ho con me figlie e nipoti, ho talmente tanta paura che sono felice quando… vado a motore e su tratti di mare che il bollettino mi dà tranquillo per giorni: ovviamente, non perdo mai di vista la costa.

 

Rispetto per il mare.

“Gnoti seauton” che in greco antico significa “conosci te stesso”, è anche e soprattutto un invito a conoscere i propri limiti per qualsiasi cosa tu voglia fare.

Di fronte al mare, i limiti di un uomo sono talmente tanti che non rispettarlo è un non senso.

E non è una cosa per la quale ci siano regole fisse, perché le variabili sono talmente assai che è difficile anche fare solo qualche esempio che non abbia immediatamente un pari esempio dalle conseguenze esattamente opposte.

L’esperienza è fondamentale e si guadagna navigando con chi ne sa più di te.

E poi saprai da te cosa puoi o non puoi fare…, forse.

Ma molto dipende anche e soprattutto dall’integrità della barca: fregatene se non hai avuto il tempo di passare una mano di lucido sulle fiancate, ma non dimenticare di controllare le sartie. I parabordi sono sporchi? Non importa se hai cambiato l’olio al motore e i filtri sono nuovi e la girante pure. E così via.

Conta tanto come hai “preparato” la tua barca per andare là fuori.

Hai la “life line” o non sai nemmeno cosa sia? I salvagenti e le cinture di sicurezza sono ficcati in fondo a un gavone e vero?! Forse non ricordi nemmeno dove.

L’elenco è infinito e molto personale: c’è chi ha quattro plotter e nemmeno una carta nautica, tanto a che serve? Per non parlare poi dei portolani: e che sono?!  Ho visto spendere cifre da capogiro per accessori assolutamente superflui e poi risparmiare sull’acquisto di un’ancora.

Passando allo Skipper, se per skipper intendi uno che porti a spasso estranei contro pagamento, non sono adatto e non saprei proprio come risponderti: ci ho tentato anni e anni fa e ci ho subito rinunciato: o io o loro!

 

  1. Il ricordo più bello da quando navighi…….. ed il più brutto?

Quello più brutto già te l’ho narrato. Il più bello non c’è, perché sono talmente tanti che appena ne pensi uno subito ne arriva un altro.

Voglio invece raccontartene uno davvero strano, tanto che se non avessi quattro testimoni pronti a confermare…

Era forse l’estate del 2007, l’anno prima di attraversare per i Caraibi, ed eravamo in rotta da Trapani a Biserta in Tunisia.

A bordo oltre a me c’erano Katya, Thomas e Ada ed il loro figlio Janett.

Era al tramonto quando misi la prua fuori del porto di Trapani: un vento da sogno di velista (15 nodi di bolina larga, quasi al traverso) ci consentiva tutta la tela a riva e barca sbandata, ma manco tanto: i guai cominciarono poco dopo.

Premetto che uso pochissimo il motore (stamattina segna 3013 ore di moto in quasi 18 anni)) per cui prima della partenza avevo fatto pulire il serbatoio della nafta (da allora in poi è diventata una mia incombenza!), ma l’addetto non si deve essere accorto che si era logorata la guarnizione del tappo di ispezione. Certo fu che verso sera tardi ci rendemmo conto che metà serbatoio (in tutto 110 litri) era finito in sentina. Parolacce e due ore di lavoro per asciugare e lavare: la puzza si è sentita per anni!

Il portolano raccomandava di tenersi ben lontano dalle coste tunisine a causa delle reti per tonni, ma la rotta per Biserta da Trapani era un’unica tratta WSW, per cui c’era poco da fare se non navigare e atterrare con la luce del giorno.

Puzzavo ancora di nafta, almeno me la sentivo in gola, e mi ero appena appoggiato in cuccetta quando Thomas mi chiamò perché alla radio sul canale 16 c’era qualcuno che – ripetutamente – ci chiedeva di fermare, ma non era una richiesta di aiuto e nemmeno ero certo che si riferisse a noi, poiché non si vedevano luci da nessuna parte: le nostre donne erano spaventatissime ed io chiamai via VHF la Capitaneria di Trapani e contemporaneamente dissi a Thomas di spegnere le luci di via e di cambiare rotta puntando verso Pantelleria.

La risposta della Capitaneria di Trapani evidentemente scoraggiò i nostri… inseguitori, sempre che inseguissero noi (erano inseguitori o poveri disgraziati su qualche gommone? Non lo sapremo mai).

Comunque fosse, dopo un’oretta riprendemmo la rotta originaria sempre a vela e a luci spente.

Ormai il vento era calato e il mare era forza olio: procedevamo a motore a basso regime perché aspettavamo con ansia l’alba.

Non ci fu rumore, solo l’urto contro qualcosa di elastico che ci rallentò prima e poi ci fermò del tutto.

Mi precipitai a mettere in folle e a spegnere il motore: fu presto chiaro che eravamo incappati in una rete per tonni.

Thomas si calò in acqua con la lampada e mezzora dopo la rete era alle nostre spalle.

Chissà perché pensammo di essercene liberati.

Un altro “tunf” ci chiarì le idee: eravamo stati pescati di nuovo!

E qui accadde il fatto strano.

Eravamo bloccati, senza poterci muovere in alcun modo; la rete sotto di noi si era attorcigliata al bulbo e ci sarebbe voluta un’altra mezzora buona di lavoro per liberarci.

Il silenzio era rotto solo dalle nostre voci: eravamo tutti svegli.

Mi resi conto che la visibilità si era alquanto ridotta, poiché sul mare c’era una nebbiolina che, a tratti, ci negava l’orizzonte e, comunque, non si vedeva luce alcuna.

E qui accadde quello che nessuno di noi riuscì a spiegarsi.

Da un centinaio di metri sbucò una prua, alta, sembrava un peschereccio molto grande, interamente bianco e senza nessuna luce. La carena a spigolo ci diceva che era di ferro; il silenzio assoluto non spiegava come si muovesse: non solo non si sentiva il rumore del motore ma neanche il fruscio delle murate sull’acqua.

Veniva verso di noi, anzi, contro di noi ed era enorme e tutto di ferro.

Cominciammo a urlare ed a sbracciarci, ma non c’era nessuno e nessun segno che qualcuno a bordo si fosse accorto di noi.

Era ormai ad una ventina di metri quando virò sulla sua sinistra, mostrando alla nostra poppa la sua fiancata di dritta: eravamo tutti in pozzetto atterriti da quello che sembrava un inevitabile abbordo.

A nessuno di noi sfuggirono questi particolari:

– era bianco, tutto bianco;

– scivolava sull’acqua senza fare alcun rumore;

– non c’era nessuno in pozzetto a poppa;

– non c’era alcuna luce;

– non c’era la scia di un’elica.

E scomparve come era venuto ficcandosi nella bruma, senza un suono e senza incagliarsi nella rete che ci teneva ancora fermi.

Rimanemmo di stucco, poi ci liberammo e infine atterrammo a Biserte.

Pensa quello che vuoi: noi non crediamo certo ai fantasmi, ma quella fu un’esperienza singolare e ne abbiamo parlato ancora una volta qualche sera fa: ha indubbiamente lasciato il segno.

 

  1. La decisione più saggia che hai preso e quella che rimpiangi di non aver preso

Non credo nelle decisioni sagge.

Se porti a terra la pelle dopo essere scampato a qualche pericolo, allora hai preso delle decisioni sagge; se ce la lasci, la pelle, non saprà nessuno che hai fatto qualche cazzata. Certo ci sono i principi di carattere generale che vanno sempre rispettati, come quello di non avvicinarti alla riva se il mare è in condizioni proibitive: ‘ndo …zzo vai a sfracellarti se puoi quasi tranquillamente aspettare al largo che il tempo migliori?

Ma ci sono tali e tante situazioni che ti chiedono una decisione immediata per la quale non hai alcuna esperienza: come dicevo, se porti a casa barca e pelle hai preso la decisione saggia, sennò… pazienza.

 

  1. Hai mai avuto paura? raccontami un episodio in cui ti sei sentito in balia del mare

Te ne ho già parlato.

Da solo non ho mai paura. A che serve?

E poi se sei in balia del mare, è lui che comanda, tu non puoi fare altro che assecondarlo per come la tua barca e la tua esperienza te lo consente, e se ti va bene hai fatto altra esperienza.

E’ ora di parlarti di quella tempesta tropicale nella quale – incolpevole – andai a infilarmi.

Colombia – Cartagena, novembre 2011.

Lupo è nel cantiere Todomar per le riparazioni: un fulmine ha distrutto tutta l’elettronica di bordo, il motorino d’avviamento, l’alternatore, le batterie, il caricabatterie, l’inverter ecc. Faccio prima a dirti che la bussola era sana.

Piove 25 ore al giorno: ottobre e novembre sono il periodo peggiore della lunga stagione delle piogge che inizia con discrezione verso aprile/maggio per culminare in vere alluvioni e tempeste elettriche: il tutto quasi sempre in assenza di vento.

Poi, a dicembre, inizia la stagione secca per quasi quattro mesi, sole, vento e mare meraviglioso.

Ho in programma di passare Natale e Capodanno alle San Blas, con un gruppo di amici che veniva da Pescara: oltre 360 isole di paradiso, per lo più disabitate, sul lato atlantico di Panamà.

E non voglio cambiare idea per colpa del fulmine.

Penso che, tutto sommato, per navigare alle San Blas mi sarebbe bastato sostituire l’alternatore, riparare il motorino d’avviamento e le luci di via. Quattro batterie di fortuna e un po’ di ottimismo: il resto (pilota automatico, radar, WHF, plotter ecc.) può aspettare.
Non intendo farmi prendere dallo sconforto.

Le batterie di fortuna, garantite sei mesi, sono costate poco e sono durate di più.

Per le luci di via e il motorino chiedo aiuto al mitico Sven.

Sven, di origine svizzera, quasi 2 metri di ex mercenario a riposo per un proiettile che lo aveva reso zoppo, esperto elettrico/elettronico, si era fermato a Cartagena, dove aveva incontrato un nemico troppo forte anche per lui: la moglie, sergente urlatore, che ogni sera gli vuota le tasche. Con occhi lontani e lucidi mi racconta di boscaglie, paludi, Farc, imboscate, compagni morti, bevute e puttane.

Passo al suo negozio e lo trovo con un aggeggio in un secchio pieno d’acqua: ha “costruito” e mi regala un ecoscandaglio di fortuna per atterrare a Colon!

La cosa più complicata è stata la sostituzione dell’alternatore.

Deve arrivare da Panamà, a prezzo triplo rispetto all’Italia, e ci vogliono almeno 20 giorni!! Forse arriva a nuoto!

Faccio da me e vado da un grosso ricambiata d’auto con l’alternatore… fulminato.
Mi conferma che è “andato” e mi propone un bellissimo alternatore (tutto dorato!) della Oldsmobile al modico prezzo di 300.000 pesos (130/140 euro).

Perfetto, anche se carica 140 amperora contro i 45 del mio, ma tanto le batterie sono di fortuna! Lo monto alla meglio e l’allineamento non è proprio perfetto ma può andare; e poi ho molte cinghie di ricambio.

Dicembre 2011.

E’ ora di mettere la barca in acqua e di provare il motore, mai acceso dopo il fattaccio.
Parte al primo colpo e gira proprio bene: il fulmine non l’ha toccato!

Gli amici arriveranno allo Shelter Bay Marina, sul lato Ovest della baia di accesso alle chiuse del Canale.

Ma ci devo arrivare anch’io.

 

Le previsioni, a Cartagena e dall’Italia, danno calma piatta per tre giorni.

Motore a parte, non dispongo di altri mezzi che la bussola, le carte nautiche, il telefono satellitare, l’eco di fortuna di Sven e il binocolo.

All’alba dirigo su Boca Chica per affrontare le 270 miglia di distanza da Panamà.

Il programma è semplice.

Non posso certo restare sveglio due notti di seguito, sempre al timone, ma visto che ci sarebbe stata bonaccia, il secondo giorno, fermato il motore, sarei tranquillamente andato alla deriva per il tempo necessario ad un sonnellino, e così il terzo giorno.

Già a metà fiordo, un dolce venticello da NE, mi consente di mettere a riva tutto il genoa e mi godo una discesa bellissima, nell’acqua gialla, piena di piante e altre stranezze portate giù dalla pioggia.

Lasciata la boa di acque sicure fuori Boca Chica, ho davanti 260 miglia per 268°.
Il vento da NE continua a soffiare a regime di brezza e salgo a riva anche la randa.

La giornata passa tranquilla anche se ogni tanto finisco in un temporale.

Per mangiare un boccone e andare in bagno metto in cappa.

A sera il vento invece di calare rinfresca intorno ai 18 nodi, sempre da NE.

Così prendo due mani alla randa e lascio a riva tutto il genoa.

All’alba sono stanco, per cui, ridotto il genoa, metto in cappa, faccio una robusta colazione e mi butto in cuccetta.

Mi sveglia tre ore dopo il forte rollio della barca.

Il vento è rinforzato ancora e ora proviene da ENE con punte di 25 nodi.

E la bonaccia?!

Arriverà presto penso io.

Riprendo la rotta, la terza mano alla randa e riduco ancora il genoa.

Indosso – come ogni volta che navigo da solo di notte, anche con il mare calmo – la cintura di sicurezza, quella con il salvagente a pasticca di sale, e mi fisso al golfare sotto il timone.

Filo a oltre 7 nodi in un mare abbastanza formato, tra piovaschi di varia intensità.

Unica mia preoccupazione sono i fulmini. Oramai ero segnato!

E’ di nuovo notte e non si vede una beneamata ceppa.

Il cielo dietro di me è nero, senza stelle, come non l’ho mai visto…

Succede tutto all’improvviso.

Mi investe da poppa una raffica fortissima, piena d’acqua, credo di cielo.

Ma sembra arrivare dal basso.

Mi strappa gli occhiali dal viso, non vedo più niente e Lupo salta come un cavallo impazzito su di un mare che in pochi minuti diventa una follia.

Mi passa rasente al capo qualcosa di solido che finìsce in pozzetto.

Il castelletto di poppa, con sopra l’eolico e i pannelli, vibra con un rumore pazzesco e temo che stia per scardinarsi e volare via.

Lupo si ingavona e le crocette sono in acqua, e anche io, sommerso e sbattuto sulla sponda di dritta, mantenuto in vita dalla cintura fissata al golfare sotto al timone.

La tela è troppa per quel vento incredibile, fortissimo, mai provato prima.

Reagisco d’istinto, mi appendo al timone e poggio a dritta.

Anche Lupo reagìsce (Dio, se gli voglio bene!) e con tanta tela, tre mani e metà genoa, comincia a fuggire il mare di poppa.

La pioggia (orizzontale!!) è così fitta che forse non avrei visto niente neanche con gli occhiali.

Respiro a fatica.

Non posso fare niente per diminuire la tela.

Non posso fare altro che tenere saldamente il timone per dare la poppa alle onde mostruose che ho alle spalle e che frangono in pozzetto.

Ma ho un grosso problema, l’Escribanos Bank, con le sue rocce affioranti, che avevo poche miglia a Sud di dove, presumibilmente, mi trovo adesso.

Infatti, prima di notte ero in vista, sulla sinistra, delle San Blas.

In mezzo a quell’inferno, appiattisco l’occhio sulla bussola e vedo che filo verso Ovest.
Verso Ovest! Verso Ovest!

Mare grosso, troppo grosso, ma profondo e libero!!

Lupo vola con la prua in discesa nel niente, entra e esce acqua da tutte le parti.
Via qualsiasi pensiero di mettere alla cappa, troppo pericoloso con il Banco a poche miglia.

Cancello ogni pensiero di qualche cedimento delle sartie o altro: non devo chiamarmi la iella!
Acquisto fiducia: ce la faccio, Lupo ce la fa!

Fingo (ma manco tanto e forse un po’ svitato lo sono!), di godermi quell’andatura pazzesca e cerco di guadagnare qualche grado verso N per allontanarmi il più possibile dall’Escribanos Bank.

Dura tutta la notte e metà del giorno dopo.

Non ho potuto lasciare il timone neanche un istante, ma non sento fatica, fame o freddo.

Qualche ora dopo l’alba smette di piovere e il vento comincia a calare a livelli più umani.

Passa il tempo e anche il mare sembra meno pazzesco.

In dinette il satellitare squilla in continuazione ma non posso muoverni.

Credo sia primo pomeriggio quando un pallido sole fa capolino e trovo il coraggio di lasciare il timone legato per fiondarmi dentro e prendere al volo occhiali e telefono: che meraviglia vederci di nuovo!

Nel pozzetto c’è una pala dell’eolico, quella che mi aveva fatto il pelo la notte prima: ho veramente avuto tanta fortuna, qualche centimetro più sotto ed ero morto!

L’eolico si è bloccato con la sua stessa cimetta, altra botta di popò!

Pieni d’acqua l’ecoscandaglio di Sven e il binocolo che di notte incastro vicino alla bussola: un binocolo pieno d’acqua? Mai visto prima!

Nessuna traccia dei miei occhiali e del coltello che sta sempre appeso sotto la chiesuola.
Il telefono satellitare non segna le chiamate e così chiamo Katya che appena sente la mia voce comincia a piangere e a dirmi parole dolci come figlio di …. ecc. ecc.

Appena si calma, racconta che Enzo aveva visto sul meteo la tempesta tropicale che stava per investire Panamà … e me.

Erano ore che mi chiamavano e pensavano al peggio.

Abbastanza lontano (meglio così) vedo sulla prua un promontorio sepolto nella foschia: stando alla bussola, non può che essere Panamà.

Dormo in piedi.

Passato il pericolo, la stanchezza mi piega le gambe.

Ora è il timone a reggere me che canto a squarciagola per tenermi sveglio (e anche per la gioia di averla scampata!).

Le navi alla fonda in attesa di passare il Canale mi dicono che sono arrivato all’imboccatura della famosa Bahia Limon.

Lo Shelter Bay Marina di Colon si trova all’interno del grande frangiflutti.
Mi accosto alla prima banchina dove mi aiutano a ormeggiare all’inglese.
Il tempo di dar volta a due cime e due spring e già dormo.

 

  1. 22. che cosa non rifaresti nella tua vita di navigatore?

Prendere a bordo qualcuno del quale non conosci vita morte e miracoli.

 

  1. C’è un navigatore che hai avuto come esempio? Passato e presente?

Certo.

Come ti ho già detto, per imparare devi andare con chi ne sa più di te.

Due nomi e due cari amici scomparsi.

 

Luciano Materazzo con il suo Pitheas, un Benetteau di 50 piedi. Da lui ho imparato a navigare con qualsiasi mare. Anni fa, parecchi, d’inverno nei fine settimana, partivamo il venerdì sera e mettevamo la prua sulla Croazia, per tornare il lunedì sera: Luciano, Franco Di Pietro ed io eravamo l’equipaggio fisso: ricordo con nostalgia Paolone, l’ormeggiatore, anche lui scomparso da tempo, che quando ci vedeva salire a bordo con una previsione meteo poco felice diceva che eravamo pazzi, ma lo diceva con uno sguardo desideroso di seguirci se avesse potuto.

Una volta, la motovedetta per radio ci avvisò che “fuori c’era mare”; Lucianone rispose “Grazie per l’avvertimento, ma dietro di noi c’è la terra!”.

Le prime volte, al lunedì, quando si “doveva” ripartire perché il giorno dopo ci aspettava il lavoro, e noi facevamo presente a Lucianone che la bora o lo Jugo erano molto forti e che forse avremmo fatto meglio a… “Cammina!” era la sua risposta.

Ne abbiamo stracciate di vele, e non solo.

 

Lino Braccischi. Compagno di navigazione nell’Atlantico del Nord, ma te ne ho già parlato. Studioso del mare con una biblioteca marinara da fare invidia: la sera invece della televisione studiava i portolani, anche di mari che non avremmo mai solcato. Cartografo d’eccezione: insieme imparammo a fare le rotte sulla carta gnomonica dell’Atlantico settentrionale. Ho avuto la fortuna di navigare con lui in questi ultimi tre anni, fino a ottobre scorso, quando se ne è andato.

Grazie a tutti e due.

Mi mancate.

 

  1. In giro è sempre più pieno di persone  che navigano  nelle modalità e  in condizioni più disparate, quale è stato il tuo personale approccio alla vela e che marinaio sei?

In giro oggi è un vero casino: le flottiglie di charter e i singoli charteristi sono come le cavallette, nessun rispetto per il mare e per le altre barche; veri barbari che inquinano dove passano e che troppo spesso non sanno distinguere la prua dalla poppa.

Non c’è più una baia o un porticciolo che si salvi dalla musica a tutto volume e dalla plastica regalata al mare con assoluta indifferenza.

Certo, ci sono le eccezioni, ma sono proprio eccezioni.

 

  1. Parlami degli ospiti che hai avuto… ne hai mai sbarcato uno?

Pochi e, salvo quel caso di cui ti ho parlato e che vorrei tanto dimenticare, sempre piacevoli compagni di navigazione e, a terra, cari amici con i quali cercare un tavolo dove mettere sotto i piedi.

 

  1. Cosa consiglieresti ad un  giovane che volesse navigare? quando inziare?

Appena la vita glielo consente e per il tempo che ha a disposizione. Ovviamente, mi riferisco alla vela, in tutte le sue possibili applicazioni, anche le ultime, quelle barche volanti, quelle piccole, che i ragazzi pilotano da soli mentre li guardo entusiasta e un po’ invidioso perché non ho più l’età per farlo.

Ho una profonda ammirazione per tutti i ragazzi che si dedicano allo sport sin dalla giovane età, qualunque sport sia: sono eccezionali, rispettosi del mondo e della natura, viso aperto al sorriso, sinceri. Chissà da chi lo hanno imparato, non certo da noi. Speriamo che la vita non li cambi, o almeno non troppo presto.

 

  1. Quali caratteristiche ritieni debba avere chi vuole far il giro del mondo in barca?

Beh, salvo quella tempesta tropicale imprevista, secondo me un giro del mondo lungo l’equatore, pianificato nei momenti giusti, non crea troppi problemi. Il vero problema è l’essere umano, per intenderci la pirateria che in alcuni luoghi – passaggi obbligati – è veramente difficile evitare e, se accade, finisce quasi sempre con la morte dell’equipaggio. In Venezuela, nei miei due anni di permanenza da quelle parti, è accaduto diverse volte. In una, la vittima fu un italiano che navigava da solo: non so come si seppe in Italia, ma fui tempestato dalle telefonate.

 

  1. In oceano hai trovato inquinamento? hai pescato molto? hai incontrato fattorie ? io ne ho incontrato una in mezzo al pacifico…. da lontano sembravano luci di una città.

Non ricordo più dove, incontrai un’isola – una piccola isoletta a dire il vero – costituita da residui di grandi gusci di molluschi. Mi sembra che si chiamassero “Kongi” in un qualche dialetto dalle parti dell’arcipelago di Los Roques in Venezuela, dove ne pescai anche alcuni esemplari e – incidendo il guscio in un punto preciso – imparai a tirarne fuori il mollusco che, cucinato o crudo – non era male. Ma neanche eccezionale, perché abbastanza acidulo.

Al largo, sia in Atlantico che nel Pacifico, non ho incontrato tracce di grave inquinamento.

Tra le Bermude e le Azzorre, nel mare piatto dei Doldrums, ho incontrato vasti tappeti di alghe verdissime, meravigliose, che sembravano muoversi al ritmo delle lunghe onde che vi passavano sotto. In quel tratto e fino alle Azzorre sono stato accompagnato da numerose “Caravelle Portoghesi”.

Ho pescato sempre tanto, bastava mettere la lenza in acqua: in dieci minuti avevo già approvvigionato la cambusa e la canna tornava in cabina.

Ti manderò un filmato girato da un’altra barca italiana che incontrai a Cuba, da dove ripartimmo insieme, mantenendoci però abbastanza distanti sebbene su rotte parallele: loro seguivano una latitudine più elevata. La sera ci sentivamo sul satellitare, perché la distanza era tale da rendere inutile il VHF. Sulla rotta dalle Bermude alle Azzorre, mi dissero che non riuscivano a pescare niente, mentre io avevo un polpetto di plastica gialla che era magico: così decidemmo per convergere e loro filmarono il trasbordo del pesce.

Purtroppo non ho mai incontrato una fattoria.   

In Grecia, invece, in questi ultimi tre anni quell’acqua blu scuro è diventata un immondezzaio, e nessuno se ne preoccupa: spesso porto a terra di tutto.

 

  1. Per intraprendere una traversata quale ritieni essere l’elemento  più importante?

La fiducia nella tua barca e in te stesso. Se hai paura non andare.

 

  1. La paura più grande

Gli scogli sotto vento.

 

  1. La gioia più grande

Vivere la natura.

Le gioie sono sempre molto più grandi delle piccole occasioni che te le regalano. Una fra tantissime: una sera di tanti anni fa ero nella baia di S. Giovanni in Grecia, ad Est di Parga. Ancora e cima a poppa legata a un albero, perché la caletta era troppo stretta per mettermi alla ruota. Si affiancò a una decina di metri una barca tedesca. A sera la luce di fonda. Il giorno dopo, il tedesco, in un italiano “mazzicato” quanto cortese, mi chiese se, per la notte a venire, potevo per favore non accendere la luce di fonda, perché con la sua compagna, stesi a prua, avrebbero voluto guardare le stelle.

Questa è magia.

 

  1. La barca ideale: quali caratteristiche deve avere?

Te l’ho già detto. Secondo me non esiste la barca ideale: tu ti abitui a lei e lei si abitua a te, pregi e difetti. Poi, è ovvio che la scegli in base a quello che pensi di volerci fare.

 

LO SCRITTORE

  1. Nei tuoi racconti privilegi di più gli aspetti umani del viaggio per mare piuttosto che gli elementi di  tecnica di navigazione.

Assolutamente gli aspetti umani.

 

  1. Ci sono degli incontri che ti hanno arricchito  particolarmente? senti ancora queste persone?

Una domanda retorica a chi ha più di 70 anni e ha passato una vita di incontri: tutti ti lasciano qualcosa, chi più chi meno, e se ti metti a riflettere, migliaia di volti ti passano avanti. Sono stato fortunato perché di persone che non desidero rivedere ne ricordo proprio poche. Con tantissimi ci si rivede e, se lontani, ci si sente, e capita molto spesso.

 

  1. Cosa scriveresti in un libro per essere certo di essere letto?

Sono un lettore accanito, ma accanito assai. E amo la carta. Ma non sono di bocca buona.

Odio quei romanzi dove la trama si perde in lunghe ed esasperanti descrizioni di paesaggi o, peggio, in interminabili pagine di passioni amorose, riportate in dettaglio. Odio i romanzi dove ogni tre o quattro pagine devi tornare indietro per cercare di capire. Odio quei romanzi che la sera dopo ti obbligano a rileggere interi capitoli per riallacciare i fili.

Ho iniziato a scrivere proprio per scrivere un romanzo che mi piacesse leggere. Sono immodesto, lo so, ma non ci posso fare niente. Le mie trame sono senza un filo di grasso superfluo e sono certo che questo al lettore piace.

 

  1. Nei tuoi racconti lo spunto viene da una tua esperienza?

Per la parte marinara sempre, almeno finora. La trama gialla, invece, è di pura fantasia, anche perché, quale avvocato, sono stato sempre un civilista. 


LA VITA DI COPIA A BORDO

  1. Credi che per un giovane ci sia posto per vivere  ”di mare”? dove?

No, credo di no. Salvo pochi skipper di barche molto ricche, gli altri vivono alla giornata, con compensi irrisori elargiti da compagnie di charter che oggi ci sono e domani scompaiono. Peggio ancora se il charter pensi di farlo con la tua barca che ogni anno è meno competitiva del precedente e costa sempre di più per la manutenzione.

 

  1. E tu di cosa vivi?

Oggi della mia pensione di avvocato.

 

  1. Dimmi in sintesi la tua filosofia di vita

Oggi carpe diem.

 

  1. Il desiderio più grande ….adesso

Utopico: un mondo vivibile per i nostri figli.

 

  1. Hai rimpianti?

A che servirebbero?

 

E ADESSO?

  1. Quali progetti per il futuro? cosa vuoi fare …..da grande?

Te l’ho detto: carpe diem.

 

  1. …..e dopo, se e quando ti fermerai………cosa c’è per te dietro l’angolo?

Che razza di domanda… funerea!

 

  1. Hai rimpianti nella tua vita?

Aridaglie!!

 

  1. Le tue passioni segrete oltre al mare

Di segreto non ho niente, di passioni tante, tutte.

 

  1. I luoghi che si raggiungono viaggiando in barca hanno un sapore speciale, ma con il tempo cambiano, perchè noi stessi cambiamo. quali avresti voglia di rivedere oggi?

Tempus fugit irreparabile: ogni tanto mi ritrovo in posti già visitati, ma è per caso o per necessità. Voglio posti nuovi e so già che non farò a tempo.

 

  1. Ormai ti dedichi a tempo pieno alla scrittura, puoi raccontarci il piacere e la fatica di scrivere?

Assolutamente no. Scrivere è un piacere, se fosse a tempo pieno sarebbe un lavoro.

 

  1. Dove ti piaci? o dove non ti piaci?

Boh?!

 

  1. E adesso che programmi ci sono per il futuro

Il prossimo romanzo è già a metà strada e la barca è p.p.p.: pronta per partire.