martedì, Aprile 16, 2024

Il mio pacifico (11)

sabato 6 giugno
TOAU-Anse Amyot

Siamo arrivati in questo splendido atollo, acqua turchese da sballo,  e ci siamo ancorati in una finta pass, dove finalmente abbiamo trovato 9 boe per ormeggiare.

E’ stato un trasferimento veloce a oltre otto nodi, spinti da un aliseo da SE di oltre 25 nodi, uscendo stamane con la stanca della corrente in uscita alle 7.30 ed entrando a Toau con quella in entrata delle 13.30; tutto calcolato. Ma non è di questo che vi voglio parlare, bensì di cosa significa assistere impotenti alla perdita di una barca che sta andando sul reef.

Riprendo quindi da Fakarava: un atollo che non dimenticherò più, perché ha espresso in modo concentrato tutte le sfighe che potrebbe incontrare un navigatore. Epidemia di denghe, cicutera, quattro giorni continui di pioggia e vento anche oltre i 30 nodi, siamo stati costretti a cambiare ancoraggio tre volte perchè le perturbazioni hanno ruotato su tutta la rosa dei venti, ed infine ieri sera la barca di amici olandesi, Viskus dell’armatore Renè, è andata a scogli incastrandosi sopra  una testa di corallo che le  è entrata  in pancia. E’ stata una serata terribile,  pensate a cosa significa per un armatore assistere in diretta a una barca che va alla deriva verso il reef, al buio, con un vento sopra i venti nodi, pioggia, corrente forte, sapendo che a bordo non c’è nessuno, impotente nell’evitare la sciagura.

Si pensa subito alla propria barca, e allo stato d’animo in cui si troverà l’armatore quando rientrando  non troverà la sua dove l’aveva lasciata-

I fatti:Anna di Zoomax ci chiama al VHF alle 21 per avvisarci che una barca sta andando sugli scogli. Usciamo in coperta  vediamo una barca bianca a Nord del molo illuminata dai fari di una macchina, che è praticamente in balia della corrente davanti alla riva, e poco dopo si ferma con la prua verso terra; realizzo subito che è la barca prima ormeggiata di poppavia a Refola, Viskus, con la quale abbiamo già avuto parecchi scambi di favori. Renè ci ha caricato le bombole di gas da cucina, noi abbiamo caricato le sue bombole per immersione, ci siamo aiutati durante gli ancoraggi,  e con la moglie hanno abbandonato tutto per fare il giro del mondo con un 40’ ben attrezzato, con tanto di officina a bordo;  li avevamo visti allontanarsi nel pomeriggio sotto la pioggia  a bordo del  loro dinghi. Facciamo subito tam tam sui canali 16,17,68, sperando che ci sentano se sono a bordo di un’altra barca di amici, ma senza successo. Il nostro comandante assieme ad altri armatori con quattro dinghi, pile e cime d’ormeggio si reca sotto la pioggia sul posto dove Viskus giace, ferito, incastrato su un basso fondale  per cercare di recuperare la situazione, ma ogni sforzo è vano e dopo un ‘ora abbandonano ogni tentativo e lui rientra a boro.

Contemporaneamente vedo Renè sul suo dinghi che sta girando in tondo vicino a Refola cercando la sua barca: lo chiamo, si avvicina e tocca  a me dargli la notizia:..”your sailing boat is on the reef…”. La moglie prima non capisce, poi realizza e si accascia, Renè invece gira il dinghi ed un po’ incredulo si avvia vero la sua creatura  che si scorge lontano praticamente sulla riva. Li  ho sentiti sul VHF fino alle 1 di notte, e stamane alle 7 (eravamo sul molo per la partenza di Angelo) ho incontrato Renè che , con gli occhi rossi per la stanchezza e forse anche per le lacrime, ci ha raccontato cosa è successo.

Il loro ancoraggio era realizzato con catena più cima tessile, il cavo si è tranciato sul corallo con le sollecitazioni durante i brandeggi sull’ancora, e la barca se ne è andata alla deriva da sola. Sul reef uno scoglio è entrato nello scafo, è entrata acqua fino al galleggiamento, la barca si è subito allagata e si è appoggiata sul fondale.

Ora sarà un bel problema, perché a  Fakarava non ci sono mezzi di intervento, a parte la buona volontà di tutti: ci vorrebbero i palloni per sollevare la barca, un travel-lift o una gru per metterla a terra, e poter intervenire sullo scafo, sul motore e sugli impianti elettrici, prima che l’acqua di mare rovini tutto..

Mi dispiace per Rene, ma purtroppo alcune leggerezze si pagano: non ci si può fidare di un ormeggio all’ancora con cartena+cima in presenza di  corallo: prima o dopo la cima si spezza, specie con vento e mare che sollecitano l’ormeggio, e poi con vento oltre i 25 nodi, mare , corrente e pioggia, non si può lasciare la barca incustodita per  così tanto tempo….ecco cosa può succedere….. .

Comunque sono rimasto con l’amaro in bocca, e da ieri sera un’atmosfera di mestizia permane anche da noi; l’argomento è questo, ed anche in radio all’appuntamento  con i radioamatori non si è parlato che dell’incidente a Viskus e del maltempo che imperversa su tutta la Polinesia.

 

Lunedì 8 luglio
TOAU-Anse Amyot

Domenica-Credevo che Aitutaki, l’atollo  delle Cook vicino a Rarotonga, fosse il più bello del mondo, ma qui a Toau, ho trovato un’alternativa altrettanto valida, anche se completamente diversa. Siamo  nell’ansa di Amyot,  a 38 miglia da Fakarava, in una falsa pass, nel senso che il canale che interrompe il reef dell’atollo si ferma contro una secca di sabbia bianca, e pertanto diventa una baia completamente protetta dai venti e dal mare su 315°. Acqua trasparente, corallo sul fondo, pesce in abbondanza, sembra di essere in un acquario. Stamane finalmente il vento era in calo, e verso mezzogiorno sono andato a fare snorkeling; ho visto una murena grossa…così, quasi da far paura, una cernia da un metro, una miriade di pesci, stelle marine color corallo, ma soprattutto la sensazione di nuotare dentro uno scenario mutevole,  in un’acqua che cambiava sempre colore, fra banchi di pesci trombetta e piccole aguglie, grossi pesci pappagallo e corallo vivo. Non volevo più uscire dall’acqua, e quando vedevo una “patata”, scendevo sul fondo, e in apnea mi trattenevo attaccato al corallo a guardare la vita sottomarina che scivolava  davanti ai miei occhi, come davanti alla TV…ma invece la webcam erano i miei occhi e   l’hard disk il mio cuore.

A completare questa bella domenica, dopo la triste avventura di venerdì con Viskus sugli scogli, nel pomeriggio siamo scesi a terra , dove…udite dite…sorpresa sorpresa…. Ho chiuso il cerchio. Sì, perchè Valentine e Gastone , proprietari del motu, assieme ai loro nipoti, hanno costruito cinque bungalow per gli ospiti in riva alla laguna, e si può venire  a trascorrere una vacanza fuori dal mondo con il meglio che  un amante del mare possa cercare.  L’accoglienza è familiare, i bungalow puliti, c’è il generatore per la corrente ed anche la linea telefonica, e presto arriverà anche internet….da farci un pensierino, anche se arrivarci non è così semplice, ma ne vale la pena.

Avevano organizzato un “rendez vous” domenicale dopo la messa, ogni barca ha portato qualcosa da mangiare, loro hanno cucinato grossi pesci alla brace, saporitissimi, eravamo una trentina di persone e alcuni bimbi, e abbiamo trascorso un pomeriggio veramente diverso dal solito, fra gente che naviga, di tutti i paesi: americani, neozelandesi, australiani, italiani, francesi, tedeschi,olandesi….e parlando francese e/o lnglese ci capivamo tutti….bellissimo.

Ho giocato a bocce, assaggiato piatti cucinati con ricette di vari paesi, ascoltato musica, e alla fine al tramonto sono comparse le chitarre. Ce n’erano sei, quattro degli ospitanti e due dei naviganti, e accompagnati  da quest’orchestra Gastone e Valentine hanno cantato le loro canzoni polinesiane.

Si è creata un’atmosfera quasi magica, e siamo entrati nella loro dimensione, nella loro vita, dove il senso dell’ospitalità è completamente slegato dal profitto e dal guadagno. È vero che abbiamo ricambiato con una bottiglia di Rhum e due pacchetti di sigarette, ma se questo “baratto” vogliamo chiamarlo profitto, il valore di questi momenti non ha sicuramente prezzo.

Una nave arriva qua ogni quindici giorni per portare approvvigionamenti, quindi si può arrivare qua anche senza una barca…..per vivere queste esclusive emozioni senza cercare un albergo a cinque stelle…..pensateci e se potete, venite sarete entusiasti….garantisco io…

Lunedì

Certo che le Tuamotu continuano a portare sfortuna, nonostante che per me siano salite al primo posto come destinazione nel mondo per una vacanza/soggiorno in mezzo al mare. Ieri il mini-transat di amici di Anna e Paolo (Zoomax) ha disalberato perdendo albero e vele a qualche decina di miglia da Rangiroa, dove per fortuna sono riusciti ad arrivare allestendo un albero e vela di emergenza. Oggi a bordo di Refola è saltato definitivamente l’inverter (da 1500V), e quindi per alimentare i PC rimane come unica alternativa il generatore che fornisce la 220. Mi ricordo quante volte ho costatato che la fonte energetica costituisce, ai fini della sicurezza e comodità, la risorsa principale da non fare mancare a bordo, specie quando si vive in barca qualche mese l’anno e si rimane qualche giorno lontano da marine dove si possa recuperare  di corrente, ed ancora una volta, oggi, questa verità è emersa chiaramente.

Ora per ricevere messaggi da winlink (meteo ed email) sarà necessario accendere il generatore, altrettanto per caricare le batterie dei vari PC, macchine fotografiche e cellulari.

Anche oggi il tempo fa le bizze, è l’ultimo giorno di luna calante, e speriamo che domani la luna nuova porti un cambiamento nella situazione meteo, anche perché dovremo trasferirci in un altro atollo e per fare le pass sarebbe meglio avere la luce del sole.

Prima di pranzo, approfittando del sole che aveva fatto capolino, mi sono fatto un’altra bella nuotata, perchè volevo arrivare a vedere cosa c’era dietro ad alcuni pali che emergevano nel reef. Acqua trasparente,  ho incontrato grossi pesci pappagallo, trombetta, una murena più grossa di quella di ieri, pesci palla, una grossa conchiglia che ho poi dato all’armatrice, e quando sfiorando il corallo sono arrivato a ridosso dei pali ho trovato il più grande acquario di pesce tropicale che abbia mai visto allo stato…libero.

I pali sostenevano una rete  formando un circuito a labirinto che terminava in una vasca di circa tre metri di diametro: dentro c’era di tutto, pesci pappagallo da un metro, cernie gigantesche, snappers rossi, e branchi di altri pesci che giravano all’interno della stanza cercando l’uscita che logicamente non trovavano; sono rimasto molti minuti aggrappato alla rete a bearmi di quella vista, ho girato attorno per vedere meglio cosa ci fosse, ed ho visto il pesce trombetta giallo, un grosso pesce napoleone, grosse aragoste le cui antenne spuntavano da sotto le rocce di corallo, insomma un ben di Dio che ho fissato nella mente e che ulteriormente giustifica una raccomandazione per questa destinazione.

Ora a  bordo siamo in tre da tre giorni, e di nuovo gli equilibri sono cambiati, c’è più tranquillità, si dorme fino alle 8 ogni  mattina, e c’è più “spazio” per allineare la comunicazione fra di noi, soprattutto meno andirivieni in cucina e meno movimento in barca. Stasera saremo a cena a terra da Valentine e Gastone, hanno pescato per noi le aragoste e spero abbiano trovato per me anche un “crab de coco”che ho espressamente richiesto, e così potrò gustarmi un’altra serata in clima polinesiano.        


Mercoledì 10 luglio
Apataki, carenaje

Il nono. Oltre all’infezione di denghe, all’avvelenamento da  cicutera, c’è anche la puntura da nono. È un insetto più piccolo della zanzara e del moscerino, è nero, vola ed è difficile da vedere e prendere. Colpisce di giorno, di sera e di notte, ed è presente sulla spiaggia, sul corallo morto, ma volando arriva anche a bordo, e lascia il segno: dove punge, viene una bolla, prude, e ci vogliono almeno due giorni perché passi, ma non bisogna grattare, altrimenti fa infezione. Io ormai sono pieno di tacche sulle gambe e sulle braccia, e nonostante gli accorgimenti presi non sono riuscito ad evitare il problema. Per evitare di essere punti bisogna ungersi di olio anti-nono, io ne ho preso una bottiglietta alle Marchesi, o comunque spruzzarsi con prodotti antiparassiti. L’alternativa  è coprirsi gambe e braccia ma di giorno come si fa, specie quando si scende a terra a “esplorare“ un motu , addentrandosi sulle spiagge e fra le palme, o camminando sul bagnasciuga…

Ricordo che nell’arcipelago delle Mergui a  sud Myanmar, al confine con la Tailandia, dove vivono in barca gli zingari del mare, sono  stato divorato dai noni, e al rientro a Verona son dovuto ricorrere alle cure dell’ospedale di Negrar specializzato in malattie tropicali, e sono andato avanti una settimana a curarmi con antinfiammatori.  Ne consegue che  chi dovesse andare nelle zone tropicali dove c’è del corallo o sabbia, si procuri in anticipo sia le precauzioni sia i rimedi .

Aragoste- non sapevo che le aragoste fossero carnivore: me lo ha spiegato Gastone ieri sera fra una portata di aragoste e una di pesce. Abbiamo cenato da Valentine, finalmente a terra, e anche se non ho trovato il “crab de coco” in compenso ho apprezzato una cucina polinesiana esclusiva.

Ci hanno preparato focaccia e pane con farina di cocco, pesce crudo al latte di cocco, aragoste ai ferri e lumache di mare, pesce pappagallo ai ferri e polpette fritte di pesce, pollo ruspante ai ferri preparato con olio di soia, un dolce squisito sempre con farina di cocco. Eravamo in sei, oltre a Valentine e Gastone che hanno cenato con noi, e c’erano ben sedici aragoste, tant’è che ne abbiamo avanzate tre.

Ed è stato durante la cena che lo specialista nella caccia alle aragoste ci ha raccontato come si fa. Il periodo migliore è a cavallo della luna nuova, con il buio, quando c’è la bassa marea e il reef è scoperto. Le aragoste escono sul corallo e vanno a cercare da mangiare: pesciolini, granchi, tutto ciò che si muove, e si sente chiaramente il loro crocchiare. Il cacciatore (o pescatore?) deve avere ai piedi sandali o scarpe con la suola grossa (il corallo taglia), gerla sulle spalle, una grossa lampada o una torcia. Ci si avventura sul reef, si alza la torcia per illuminare un cerchio di tre metri di raggio, e si prendono di “mira” le aragoste da catturare che rimangono abbagliate dalla luce per alcuni secondi. Si abbassa la lampada (altrimenti scapperebbero), e con velocità si prendono le aragoste con le mani,   e si mettono nella gerla. Si ripete l ‘operazione spostandosi lungo il reef finchè la gerla è piena, anche 30Kg a botta…. Le aragoste vive si mettono poi in una grossa gabbia adagiata sul fondo del mare, e almeno un paio di  volte alla settimana Gastone prende con la fiocina uno squaletto, lo squarta e lo getta nella gabbia. Le aragoste non mangiano di giorno, ma solo di notte, e in questo modo rimango vive anche due mesi…. Un’altra tecnica è andare a caccia di giorno,  sulla parete del reef, quando la marea cambia, in apnea: nel momento del flusso si vedono le loro antenne uscire dalle tane, e nel momento del riflusso con la mano guantata si entra in tana e si cattura. L’aragosta difficilmente pone resistenza perché la stessa onda in riflusso le impedisce di fare resistenza .

Noi in Italia purtroppo non abbiamo la possibilità di cacciare sui reef, ma è un’esperienza che varrebbe la pena di venire a provare in Polinesia….magari proprio qui, al Motu Kai, da Valentine e Gaston Damiens, all’Anse  Amyot – Toau – BP142 Fakarava, – Maeva i Toau – tel 25.51.13

Martedì-Vi ricordate che avevo parlato di Henere, un ragazzo polinesiano con cui avevo vissuto un mese assieme nelle isole della società  a bordo del Lycia 10 anni fa? bene, è il nipote di Valentine, e ieri sera arrivando per la cena mi ha detto:< ha telefonato Henere dicendomi  che se ti avessi visto dovevo avvisarti che lui sarebbe stato qui da me con il catamarano il giorno 17 e se non potevi essere a Papete il 15  potevi lasciare il suo regalo qui da me>.  Beh, il mondo è proprio piccolo, perché la seconda sorpresa è che oggi, qui all’atollo di Apataki Carenaje, dove ci siamo trasferiti stamattina, il proprietario del piccolo carenaggio è cugino di Henere.  È un piacere riscontrare queste concomitanze, in giro per il mondo, ed è inevitabile che facilitano il contatto e la comunicazione.

Mercoledì- E’ in arrivo una perturbazione per il 13 luglio, e il susseguirsi di situazioni meteorologiche di instabilità costringe qualche cambiamento ai programmi: salta quasi sicuramente Rangiroa, dove per il comandante non ci sono ormeggi sicuri da SE e rimarrebbe comunque poco tempo per girare l’atollo, e quindi forse rimarremo ad Apataki da dove faremo l’ultimo trasferimento di 250 miglia fino a Papete. Qui in compenso si starebbe bene, c’è una lunghissima spiaggia bianca, un’acqua trasparente, ed un “carenaje” dove poter scendere a terra e fare due chiacchiere  con Alfred, il cugino di Henere. Certo che per me è stata una sorpresa trovare un cantiere qui alle Tuamotu, dove fra le palme di cocco spuntano alberi di barche e di molti catamarani.  In quattro giorni una barca può  fare carenaggio, alaggio, varo, antivegetativa e lucidatura, oppure può essere lasciata sul piazzale interno in attesa di riprendere il mare la stagione successiva.

Ieri hanno alato una barca di  40’  i cui proprietari oggi sono tornati in Francia, ed oggi hanno alato un catamarano tedesco che ha fatto carena; qui usano un’antivegetativa per il pacifico che dura 14-16 mesi. Chi volesse approfittare può contattare Alfred tramite l’ufficio che hanno a Papete, dove c’è il figlio: Apataki Carenaje, BP 6780 FAA’A, Tahiti-Polyneaye Francaise.- sito www.apatakicarenage.com.

Sento prossima la partenza, piano piano comincio a tirare le somme di questa lunga permanenza a bordo: fare il giro del mondo in barca è sicuramente una grande esperienza, ma alla fine è una prova con se stessi. Il punto forte è l’uomo, ma è anche il punto debole.

In un percorso di oltre 3000 miglia ho conosciuto e parlato con tutti gli armatori che abbiamo incontrato, da Cartagena alla Polinesia, e sono molti ( Bobo e Mary, Paolo da Roma, Belisima,Marzia, Alessio,Rosario, Leopoldo, Zoomax, Massimo, Renè,) , altri li ho conosciuti via radio, uno per tutti Luigi, il professore, che dalla sua barca a motore nel Pacifico West ( in questo periodo alle Samoa) due volte al  giorno tiene banco sulla frequenza 14.220.0.

Tutti dichiarano una motivazione diversa per la loro scelta, ma il mio percepito è che la maggior parte lo fa per mettersi alla prova, per dimostrare  a se stessi (o agli altri?) che hanno compiuto l’impresa .E’ sicuramente encomiabile, lo riconosco e sono il primo a complimentarmi con chi lo porta a termine, ma parlando e frequentandoli un po’, sentendoli parlare, vedendo cosa fanno quando sono a terra, o durante la routine del viaggio (perché alla fine è un ripetersi delle stesse cose…), scopri che la loro vita si riduce ad essere sempre a bordo, scendono  poco a terra per girare, per conoscere i luoghi dove si fermano, raramente hanno contatti un po’ stretti con le persone del posto, ed alla fine l’unica preoccupazione è cercare un punto internet, il supermercato, il distributore di gasolio, neppure il ristorante perché per molti l’aspetto economico è da tenere sotto controllo. Ma c’è anche  chi lo fa per viaggiare, però sono pochi, la maggior parte coppie più o meno giovani, che non hanno problemi di tempo ne di sold: la loro scelta è stata quella di girare per il mondo,  non il mondo, ed è diverso, e si riconoscono subito….

domenica 14 luglio
Apataki

Antivegetativa al rame- Ieri brutto tempo in arrivo: è deciso, rimarremo qui in questo atollo almeno fino a domenica, e ne approfitteremo per andare in giro, a nuotare, anche se gli acquazzoni oggi si sono susseguiti tutto il giorno. Stamane siamo tornati a rivedere il cantiere, a prendere le uova fresche di pollaio, e a riservare il pranzo per domani a mezzogiorno. Stavano mettendo a seccare  il cocco sulle stuoie che poi venderanno per ricavarne la copra, ed ho  fatto due chiacchiere con Alfred .  Parlando dei prodotti che usa al carenaggio, mi ha raccontato  che sulla vetroresina ( non sull’alluminio)  usano un’antivegetativa bicomponente al “cuivre”.  Non ricordavo la parola, ma mi fa vedere il prodotto e riconosco subito il rame. È stata una soddisfazione, perché  mi conferma la validità delle  mie scelte e anche dei suggerimenti che ho dato a  Franco per la sua  Iris; al di la del costo, comunque rapportato alla durata del trattamento e assenza di manutenzione, l’antivegetativa al rame  ripaga la spesa.

Ho chiesto anche i prezzi della sosta a terra per una barca da 45’ e 2 metri di pescaggio: 350€ per alaggio, lavaggio e varo, 250€ al mese per sosta a terra oltre i 3 mesi. Vale la pena di pensarci specie se qualcuno ha in previsione un giro del mondo  o conosce qualcuno che lo stia facendo: una sosta alle Tuamotu consente di riprendere la stagione successiva da una località centrale della Polinesia, ma permette anche di ridare l’antivegetativa  dopo la traversata senza andare alle isole della società.

Viscus- hanno recuperato Viscus dal reef! I pompieri di  Fakarava, hanno usato le loro pompe per togliere l’acqua dallo scafo, mentre Rene metteva delle toppe sulla falla e poi tamponava lo squarcio   fissandovi sopra   un foglio di vetroresina con della stoppa e catrame, ed ora la barca galleggia fissata al molo. Oggi arriva la nave, e con l’aiuto della gru di bordo toglieranno l’albero e imbarcheranno lo scafo per portarlo a Papete, dove probabilmente verrà demolita. Sembra che l’assicurazione abbia rinunciato a riportarla in Olanda, considerato che il trasporto costerebbe 90.000€, e una stima del valore della barca ora sia di 10.000€:  scelta logica ed obbligata. Rene alla fine ha fatto Bingo, perché l’aveva assicura per 190.000€, oltre a 40.000€di attrezzature e varie, e se glieli daranno, a parte il dispiacere e lo stress/trauma da “quasi affondamento”, avrà fatto un affare, perchè la barca di 10 anni, in sandwich,  non vale quei soldi, parola di Rosario, che a Fakarava ha assistito a tutte le manovre di recupero del Viscus.


Sabato

Festa al carenaggio- ieri era il compleanno della mamma di Alfred, e siamo stati tutti ( gli equipaggi delle barche alla fonda)  invitati ad una cena sulla spiaggia. Eravamo in tutto oltre 20 persone, ognuno ha portato qualcosa, beveraggi o pietanze, mentre Alfred ha preparato il poisson cru e il pollo al barbeque. Una cena simpatica, allietata da musica e canti polinesiani ed anche una danza di tamurè. Anche in questa occasione sono spuntate le chitarre, un signore francese ha portato la sua chitarra da bordo, ed abbiamo fatto notte in buona compagnia. È interessante in questi ancoraggi  conoscere i varai equipaggi, sentire le loro storie, dandosi da fare con le lingua, che sono prevalentemente il francese e l’inglese. Stanotte è arrivato il maramu, vento da SE, per fortuna meno forte del previsto e senza pioggia, e quindi si prospettano due giorni di tranquillità prima della partenza per Papete. Stamane, all’appuntamento in radio delle 8, abbiamo saputo che  Leopoldo ha  perso ben due ancore durante gli ormeggi a Makemu: gli si è rotta la catena in acciaio da 10’, e purtroppo non è la prima volta che questo tipo di catena crea problemi, tant’è che ormai è sconsigliato usarla, specie se si ancora prevalentemente su roccia o corallo. Il carico di rottura è molto più basso rispetto alla catena  zincata, sotto colpo di frusta non ha elasticità ed è fragile come il cristallo. Ora dovrà per forza recarsi a Papete per comperare ancore e catena nuove, e dove forse ci re-incontreremo. Auguri.

Ormai ho poche cose da raccontare, mi spiace solo che forse non potrò visitare Papete, che come atollo dovrebbe essere interessante, mentre come città tutti dicono essere brutta. Potrò aggiornarmi al riguardo in internet, quando sarò a casa, giusto per farmene un’idea.

Mi hanno colpito in generale la gentilezza e la disponibilità dei polinesiani, sempre con il sorriso sulle labbra e pronti a darti una mano: a Fakarava hanno aiutato Rene sul Viscus nel disincaglio della barca dai reef, e gli hanno offerto un alloggio per alcuni giorni; qui al carenaggio hanno invitato tutti alla festa, Alfred ieri mi ha cercato al cellulare l’amico Henere, che poi è suo cugino, con il quale ho parlato 5 minuti, e nei vari villaggi siamo sempre stati trattati con gentilezza.

Un particolare su tutti: qui non esiste la parola “stress”, la fame di soldi, la speculazione sui turisti, il senso dell’arricchimento; è vero che la vita costa cara, perché devono importare gli alimenti “freschi”, che comunque anche loro pagano, ma ad una mia domanda diretta ad Alfredo se fosse interessato ad aumentare il lavoro consentendo il carenaggio anche a barche sopra i 2 metri di pescaggio  (vincolo attuale ), mi ha detto chiaramente che non vuole rompere l’equilibrio del posto, e dover perdere la loro qualità della vita. In effetti, anche qui come alle Marchesi, gli abitanti vivono con poco, forse con meno  risorse dalla natura rispetto alle Marchesi, ma evidentemente  sono abituati  ad arrangiarsi prevalentemente con il pesce ed il riso, e questo consente il mantenimento di un loro equilibrio anche con l’ambiente. Sempre rispettando l’ambiente qui al Carenaje Alfredo ha messo di sua iniziativa le catene sul fondo con le boe per evitare il depauperamento del corallo, consentendo a chi passa da questo atollo di avere un ormeggio sicuro ed affabile senza dover districarsi con l’ancoraggio fra le teste di corallo.