Mamaroa parte 3
MAMAROA ED IO
DALL’ARGENTARIO ALLE CANARIE
Continua il racconto di Massimo Cerracchio che nel 1975 ha attravesato l’Atlantico a bordo di Mamaroa.
1.800 miglia in pieno autunno con una barca 7 metri e mezzo. Come affrontare il mal tempo di questa stagione? Come vivere a bordo? Come preparare la navigazione?
E il passaggio di Gibilterra? tutto molto semplice: ma come?
Vi parlerò adesso del viaggio di “Mamaroa” limitatamente al tratto Argentario-Canarie. La tentazione sarebbe quella di prendere il diario di bordo che Annette ha scritto così bene in francese, annotando i particolari della nostra vita di tutti i giorni, ma non lo farò perché non è un racconto che desidero proporvi, bensì una raccolta di notizie ed anche di “sensazioni”, e qualche esempio di metodo, per cercare di dimostrare che navigare è facile se diventa una cosa che appassiona.
Quindi, dopo un breve discorso introduttivo sulla condotta della barca e sulla vita di bordo, vi parlerò del tempo incontrato. Successivamente esprimerò alcune mie convinzioni personali nel campo della meteorologia e della navigazione (entro il Mediterraneo, attraverso lo stretto di Gibilterra, e fuori in Atlantico).
Sono idee mie, certamente formatesi con la pratica, con l’esempio di chi ne sa molto più di me, e leggendo qua e là. Potrebbero essere in tutto o in parte sbagliate, ma è tutto quanto posso offrirvi.
Quando un uomo ha acquistato fiducia in se stesso, nella sua barca e nel suo equipaggio, la meteorologia e la navigazione sono indispensabili per completare il quadro.
Nei vari riquadri troverete gli elenchi del materiale imbarcato su Mamaroa al momento della partenza. Sola eccezione le carte e le pubblicazioni nautiche per le quali ho pensato preferibile fornire gli elenchi interessanti le singole tappe di volta in volta.
Per quanto riguarda i viveri abbiamo di volta in volta acquistato quello che ci occorreva per 3-4 giorni, avendo deciso di fare l’approvvigionamento per la traversata finale alle Canarie dove si trova veramente tutto e a prezzi inferiori che in Italia.
LE TAPPE
Cala Galera – P, Vecchio
p 3/10/74 h 07,20 – a 4/10/74 h 13,00
P.Vecchio – Stintino
p 6/10 h 06,00 – a 6/10 h 22,00
Stintino – P, Mahon
p 10/10 h 06,00 – a 12/10 h 08,00
P, Mahon – C, Figuera
P,15/10 h 09 – a 16,10 h 01,00
Cala Figuera-Ibiza
p 16/10 h 07,00 – a 17/10 h 03,00
Ibiza – Altea
p 19/10 h 07,00 – a 20/10 h 11,00
Altea – Torre Vieja
p 21110 h 07,30 -a 21/10 h 23,00
T, Vieja – Cartagena
p 22/ M h 06,00 – a 22/10 h 16,00
Cartagena – Malaga
p 23/10 h 08,00 – a 24/10 h 22,00
!Malaga Estepona
P25/10 h 09,00 – a 25/10 h 19,00
Estepona –Gibilterra
p 30/10 h 08,00 – a 30/10 h 16,00
Gibilterra – Tangeri
p 2/11 h 04,00 – a 2/11 h 14,00
Tangeri – Casablanca
p 3/11 h 06,00 – a 4/11 h 15,00
Casablanca • San
p5/11 h 18,00-a 6/11 h 17,00
Safi – Lanzarote
p 6/11 h 15,00 – a 10/11 h 02,00
Lanzarote – Las Palmas
p 10/11 h 12,00 – a 11/11 h 08,0
Vita a bordo
In questo tratto del viaggio abbiamo condotto “Mamaroa” come più o meno facciamo tutti durante una crociera estiva o invernale. Non abbiamo quasi mai usato il timone a vento, siamo andati a vela quando c’era vento, abbiamo usato il motore quando il vento mancava. Avevamo a bordo due taniche di benzina da 25 litri (all’aperto, in pozzetto) che assicuravano una autonomia di circa 100 miglia (consumo medio circa 2 litri ora del nostro piccolo Couach dì 5 cavalli). Naturalmente l’ideale sarebbe stato di “sbarcare” il motore e fare come tutti i marinai hanno fatto fino all’avvento della propulsione meccanica, ma per questo occorre avere una assoluta indipendenza dal parametro tempo, ed i nostri sei mesi non ci permettevano questo lusso.
Il battellino di servizio, molto piccolo (m. 2,20) in plastica gonfiabile, lo abbiamo conservato ben piegato nel gavone di prua; a volte ci sarebbe stato utile, ma abbiamo preferito farne a meno fino alle Canarie per non ingombrare il ponte. La vita a bordo scorreva serenamente, certo a volte per la stanchezza abbiamo litigato, ma presto tutto passava. Annette ed io ci vogliamo bene.
Di giorno non c’erano turni fissi al timone, ci alternavamo secondo le necessità (navigazione, cucina, riassetto, piatti da lavare, ecc.). Qualche volta il mulinello della traina si metteva a cantare e questo significava un pranzo a base di pesce. Di notte ci alternavamo al timone ogni due ore, sempre con la cintura di sicurezza.
Addirittura qualche volta, quando andavo in cuccetta a riposare con tempo cattivo, attaccavo la mia cintura a quella di Annette per sentirmi tranquillo: che cosa avrei provato se avessi perduto Annette in mare?
Le soste nei 16 porti toccati da Mamaroa (vedi tabella) per arrivare alle Canarie le abbiamo impiegate nelle mille piccole operazioni necessarie a tenere la barca (che diventa sempre più una casa col passare del tempo) nelle migliori condizioni. Io mi occupavo soprattutto delle attrezzature, dei rifornimenti di benzina e gas e delle piccole riparazioni (per le quali esisteva un quadernetto in cui venivano annotate le avarie). Annette teneva in ordine la nostra piccola casa e si occupava dei rifornimenti di viveri e della cucina, ascoltava la radio francese, parlavamo di tante cose, a volte si prendeva il caffè con gli “abitanti” delle barche vicine. Le soste (come mostra la cartina con le tappe del viaggio) erano in genere strettamente limitate al tempo necessario per riordinare la barca, acquistare i viveri per i prossimi giorni, riposare, anche se ci sono state delle soste più lunghe dovute alla necessità di attendere un miglioramento nelle condizioni meteo. Questo è accaduto a Porto Vecchio (2 giorni), a Stintino (4 giorni), a Mahon (3 giorni) e a Gibilterra (2 giorni). In questi casi ci siamo goduti un po’ di relax, lunghe passeggiate per andare a vedere il mare che infuriava fuori del porto e qualche cenetta al ristorante al lume di candela. Ad Ibiza, durante una notte di buriana, in porto siamo stati investiti da una chiazza di olio nero che ha imbrattato scafi, cime, scotte. Al mattino pioveva a dirotto e ci sentivamo degli “alluvionati”. Abbiamo lavorato per due giorni con spazzole e detergenti per rimettere tutto a posto,
Ad Estepona, infine, siamo rimasti fermi 5 giorni perché abbiamo dovuto disalberare “Mamaroa” per rinforzare le staffe di sostegno delle forcelle che sostengono gli stralli di prua. Abbiamo fatto tutto da soli, l’albero di “Mamaroa” è leggero e semplice da smontare.
Tempo cattivo
In questa prima parte del nostro viaggio abbiamo incontrato il tempo cattivo per tre volte, In questi casi niente cucina, patate bollite e “scatolette”.
La prima volta è accaduto il giorno della partenza: partiti (3 ottobre) da Cala Galera per Stintino, abbiamo preso nel pomeriggio un colpo di libeccio, abbiamo passato una brutta nottata bolinando con mura a sinistra fino a guadagnare il ridosso della Corsica all’altezza del faro di Alistro. Abbiamo poi seguito la costa usando saltuariamente il motore e siamo entrati a Porto Vecchio dove abbiamo atteso per due giorni prima di poter attraversare le Bocche.
La seconda volta è stata la più dura, durante il passaggio da Stintine a Mahon (Minorca). Nel pomeriggio del secondo giorno (11 ottobre) siamo stati sorpresi a circa 50 miglia da Mahon da un forte colpo di vento, però il mare montò con una rapidità incredibile ed al sopraggiungere della notte il mare era tutto bianco, il cielo completamente nero con frequenti rovesci di pioggia, ed alcuni frangenti passavano “sopra” la nostra barca.
Passammo tutta la notte avanzando con sola randa e 3 mani di terzaroli (circa 3 mq di tela), io vomitavo spesso e soffrivo il mal di mare, ma è stato molto bello quando Annette, che era in cuccetta, volle assolutamente venire nel pozzetto e legarsi accanto a me. Alle 2 del mattino avvistammo il faro di Punta de Aire, un isolotto in prossimità dell’ingresso in port. La tentazione di entrare subito fu forte, ma decidemmo di restare nei paraggi ed attendere le prime luci del giorno per entrare in modo da potere contemporaneamente utilizzare i fari e vedere il profilo della costa. Infatti credo che l’ingresso a Part Mahon sia sconsigliabile di notte con mare forte da Nord perché per entrare bisogna passare molto vicino ad un tratto di costa non illuminata, dove è difficile valutare le distanze dalla riva, dove la risacca crea un mare estremamente confuso, dove insomma un errore può significare la perdita della barca.
La terza volta è accaduto in partenza da Ibiza. Eravamo diretti a Cartagena, ma nel pomeriggio (19 ottobre) subito dopo aver preso una bella “lampuga” di 3 kg alla traina, si stabilì un forte libeccio con pioggia e temporali.
Anche qui bolinando con mura a sinistra facemmo rotta verso la costa spagnola ed atterrammo il giorno successivo ad Altea, 20 miglia a Nord di Alicante ed 80 a Nord di Cartagena dove eravamo diretti. Alle 3 del mattino accadde una cosa singolare: udii un forte colpo proveniente dall’albero, pensai per un attimo che qualcosa avesse ceduto ed invece trovai nel pozzetto un gabbiano stecchito. Lo feci vedere ad Annette ma subito dopo invece di conservarlo, chissà perchè lo buttai in mare.
Alle 5 del mattino decidemmo di ammainare anche il fiocco 1 e proseguire con la sola randa con 3 mani di terzaroli, ma la drizza si era bloccata per cui non potendo ammainare il fiocco riuscii ad imbrogliarlo alla meglio con degli elastici intorno allo strallo. Ad Altea nel pomeriggio salii in testa d’albero per rimettere la drizza nella sua carrucola e notai che questa aveva un po’ di gioco che annullai inserendo due rondelle dello stesso diametro della carrucola, tra questa e la lamiera di sostegno e serrando a fondo il perno con doppio dado.
Meteorologia
Come si può notare dalla cartina e dalla tabella che l’accompagna, fatta eccezione per i due passaggi Stintino Mahon (200 miglia) e Safi-Lanzarote (300 miglia), tutte le altre tappe hanno avuto una lunghezza inferiore alle 100 miglia (alcune sono state di navigazione costiera, altre di navigazione alturiera). Il fatto di contenere le tappe al di sotto delle 100 miglia, quando possibile, era dovuto ad una semplice considerazione: cento miglia per una barca come “Mamaroa” vogliono dire circa 1 giorno di navigazione, un arco di tempo, cioè, nel quale, in Mediterraneo, è –ragionevolmente” possibile avere una previsione meteo valida ed evitare sorprese.
Nei passaggi di lunghezza superiore alle cento miglia, invece, con permanenza in mare superiore alle 24 ore, la previsione, sempre necessaria, può assicurare una buona partenza, ma non necessariamente un buon arrivo. Naturalmente le eccezioni alla regola non sono mancate, ne abbiamo già parlato.
Fuori di Gibilterra, invece, il discorso cambia completamente, e bisogna fare una distinzione netta a seconda che si consideri l’Atlantico a Nord o a Sud delle Canarie. Pur con qualche differenza a causa dell’andamento stagionale, si può dire che mentre a Sud delle Canarie si entra nella zona dei venti costanti (Alisei, forza 3-4, occasionalmente 6-7), e la corrente è favorevole (circa mezzo nodo), a Nord delle Canarie invece l’oceano è interessato, nel periodo di novembre, dal passaggio di grandi fronti invernali che nascono in prossimità delle coste USA ed arrivano con tutta la violenza di un mare che non incontra terra per oltre 3 mila miglia. Per fortuna queste depressioni sono precedute a distanza di 24 ore (ed anche più) dal calo del barometro e dal formarsi di un’onda lunga che indica anche la probabile direzione di spostamento del centro depressionario.
Ecco perché, nel tratto da Gibilterra alle Canarie, ho preferito seguire la rotta lungo costa disponendo della carta (carta inglese n. 91) dei piani d’ingresso dei piccoli porti disposti dalle 30 alle 50 miglia uno dall’altro lungo la zona più delicata, quella cioè fra Tangeri e Casablanca. In caso di necessità avremmo avuto tutto il tempo di riparare in uno di tali porti. Naturalmente questo discorso vale per la nostra piccola barca, mentre grossi “ocean cruiser” vanno tranquillamente dappertutto e se lo skipper io vuole “non hanno mai bisogno di mettersi alla cappa”
Abbiamo parlato di “previsioni”: ma come ottenerle?
Novembre in Atlantico: è l’ora dei fiocchi gemelli e di Annette con i suoi bikini
Timone portante, una media a vento in funzione, vento sui 5 nodi: l’Africa è lontana
A bordo avevo una piccola radio esclusivamente ricevente tipo Hitachi dotata delle sole bande di frequenza media e corte. Quindi una volta usciti dalla zona di copertura dei bollettini della RAI (II programma) abbiamo dovuto….. arrangiarci nei seguenti modi: informazioni presso Capitanerie di porto o Centri meteo (dove c’erano) oppure andando a trovare gli ufficiali di rotta dei mercantili nei porti, e infine ascoltando sulle onde medie dei bollettini “per le massaie” trasmessi dalla radio spagnola e da quella marocchina (in francese) e poi anche quattro chiacchiere sul molo con i pescatori locali (i quali, però, più sano anziani più sono pessimisti), ed infine anche un po’ di sforzo nell’osservare l’aspetto del mare e del cielo.
A guardare bene, quante cose può dire questo aspetto! Per concludere il discorso sul tempo meteorologico penso che ogni sforzo debba essere fatto per partire in condizioni soddisfacenti, sempre preparati ad un cambiamento, ma ritengo insensato andarsi a cacciare da soli nei guai con una piccola barca ed equipaggio ridotto.
Strumenti di navigazione
Per navigare ecco gli strumenti di cui disponevamo a bordo della nostra barca durante tutto il viaggio
- una bussola di governo Orion del costo di circa 50 sterline con relativa tabella di compensazione;
- un radiogoniometro Seafix del costo di circa 50 sterline, semplicissimo. Sopra l’apparecchio, che si impugna come una cinepresa, c’è una piccola bussola per prendere il rilevamento magnetico della stazione (dopo aver annullato il segnale della stazione con la cuffia); questa piccola bussola può anche servire come bussola da rilevamento nella navigazione
- un barometro Sestrel;
- un orologio Sestrel con sveglia;
- due squadrette, una riga, un compasso, matite e gomme;
- due sestanti in plastica inglesi marca EBBCO che costano poco e funzionano benissimo; è meglio averne due e per poter cambiare i pezzi e per non restare senza se uno finisce a mare o si fracassa;
- i soliti razzi da segnalazione, due torce elettriche;
- una radio ricevente Hitachi ad onde medie e corte;
Tutto qui, e forse resterete sorpresi. Niente log, niente contamiglia, indicatore di velocità, anemometro, insomma nessuno strumento elettrico a bordo.
Questa parsimonia non è stata dovuta solo alla costosità di tutta questa bellissima strumentazione in voga oggi sulla maggior parte delle barche ma anche a motivi di praticità: infatti a che cosa servirebbe un bellissimo ecoscandaglio, tanto per fare un esempio, se poi si rompe a migliaia di miglia dal necessario pezzo di ricambio o da un paio di mani capaci di ripararlo? Molto meglio, allora, sempre per restare nell’esempio, uno scandaglio a mano, un pezzo di piombo ed una sagola metrata.
Vi chiederete a questo punto su quali basi, allora, potevamo fare la nostra navigazione “stimata” e regolarci con le vele in base alla forza del vento. E’ una domanda logica ma è logica anche la mia risposta: conoscevamo ormai talmente bene la nostra barca, eravamo talmente affiatati con essa, l’avevamo collaudata e controllata in tante e diverse circostanze che raramente abbiamo sbagliato in questi conteggi che erano “ad occhio”, Raramente, ad esempio, Annette ha sbagliato nel dirmi quante miglia avevamo fatto in 24 ore oppure controllando con il sestante scoprivo ogni volta che la valutazione “ad occhio” era in perfetta sincronia con la nostra barca. Sono certo peraltro che se il viaggio e le nostre soste sono state semplificate ciò è dovuto alla mancanza di questo “surplus” di strumentazione, tranne quella indispensabile che ho sopra elencato.
Navigazione in Mediterraneo
Il problema della condotta della barca da un porto all’altro non è poi così complicato come potrebbe sembra. Al contrario, è soprattutto una questione di comune buonsenso. Il libro di Mary, Blewitt “Piccolo manuale di navigazione da diporto” (ed. Mursia) è forse la guida migliore per chi, partendo dall’inizio, desidera conoscere i problemi connessi con la navigazione stimata, con la navigazione con i fari e radiofari, nonché l’uso elementare del sestante. Quindi rimando senz’altro i lettori per la teoria a quanto chiaramente illustrato in quel libro ed aggiungerò soltanto in una delle prossime puntate alcune, considerazioni relative ad un sistema pratico da me adottato in Atlantico per fare il punto col sestante. Vorrei qui limitarmi a fornire un esempio di come ho preparato mentalmente e praticamente un tratto di navigazione di media distanza, ad esempio da Stinti-no a Port Mahon (200 miglia).
Questa preparazione ha due aspetti distinti: il primo consiste nell’effettuare uno studio sul tratto di mare da attraversare in funzione delle previsioni meteo , e nel nostro caso partimmo da Stintino e non da Alghero perché, data la probabilità di venti da NW era conveniente partire più sopravento possibile, e quindi determinare la Rv, la Rm e la Rb, la distanza, la durata prevista, stabilire l’ora di partenza a seconda che si intenda arrivare di giorno o di notte, leggere nel Portolano le informazioni generali sul tratto di mare sulla costa e sul porto di arrivo, esaminare la posizione, il periodo e soprattutto la portata dei fari e dei radiofari che possono interessare.
Il secondo aspetto, forse il più importante, è quello di considerare la possibilità di non raggiungere il porto previsto di arrivo: ecco che il discorso diventa molto più vasto, si tratta in sostanza di immaginare quello che potrebbe accadere e prepararsi già a come comportarsi. Naturalmente non sarà possibile prevedere tutto, ciononostante questo studio è l’unico sistema per partire con lo spirito tranquillo.
–Faccio qualche esempio con riferimento al disegno pubblicato e che si riferisce appunto al trasferimento da Stintino a Mahon:
1 – In qualunque punto del percorso il vento al traverso rinforza notevolmente: proseguire riducendo convenientemente la velatura,
2 – se il vento rinfresca e si stabilisce contrario (libeccio o ponente): tornare indietro a Stintino o riparare ad Alghero,
3 – Lo stesso vento contrario si stabilisce a metà percorso : a questo punto è forse un peccato tornare indietro, ed allora se rimontare diventa troppo duro, mettersi alla cappa (ed attendere un salto di vento favorevole) ma con le mura a sinistra per non avvicinarsi alla costa W della Sardegna dove non ci sono ridossi , tranne la baia di Oristano (difficile da individuare) a meno di non entrare a Carloforte (S.Pietro) il cui canale d’ingresso però è pieno di bassi fondali e dove il mare può diventare molto confuso.
4 – si stabilisce un forte vento di libeccio: qui conviene lottare e guadagnare il ridosso dell’isola di Minorca entrando nella baia di Fornellis (a nord dell’isola) che è molto ben ridossata.
5 – se il vento si stabilisce da Nord e rinforza e diventa difficoltoso entrare a Port Mahon, proseguire al lasco ad esempio per Porto Colombo sulla costa Est di Maiorca dove il mare sarà senz’altro calmo a causa del ridosso fornito dall’isola di Minorca,
6 – una grave avaria impedisce di usare la vela e/o motore. Qui bisogna arrangiarsi, disporre di un po’ di materiale di scorta, lasciare che il mare porti la barca se la direzione è verso un ridosso, oppure in caso contrario rallentare al minimo la corsa con tutti i sistemi possibili (ancore, cime filate di poppa, bugliolo bucato leggermente sul fondo, o un’ancora galleggiante filata di poppa).
Gli esempi potrebbero essere ancora molti, ma è importante ii concetto: mentre le mani preparano la barca alla partenza, la mente deve già trovarsi in mare, bisogna conoscere il più possibile su una vasta area circostante il tratto di mare da attraversare e, ripeto, avere alcune soluzioni alternative pronte per evitare che decisioni errate prese emotivamente possano peggiorare situazioni già di per sè difficili.
In tutta questa parte del viaggio fino alle Canarie, la navigazione è stata condotta quasi esclusivamente su base stimata, valutando “ad occhio” le distanze percorse, prendendo rilevamenti dei punti cospicui della costa, quando in vista, usando saltuariamente il radiogoniometro e cercando di effettuare gli atterraggi dal largo di notte in modo da poter utilizzare i fari di navigazione e di avvicinamento.
Gibilterra, passaggio dello stretto
A Gibilterra abbiamo sostato due giorni e mezzo per attendere il vento da Est favorevole per l’uscita ed il punto di marea favorevole. Per attraversare lo stretto con una barca che non può superare i 5 nodi è indispensabile avere la tavola indicante gli orari della marea ed una carta dettagliata dello stretto (inglese n. 142). Se guardate la cartina dello stretto noterete che mentre al centro la corrente è diretta costantemente verso Est (in quanto l’evaporazione dell’acqua nel bacino del Mediterraneo non è sufficientemente compensata dalle piogge e dalle acque dei fiumi che vi sboccano per cui l’Atlantico alimenta costantemente con la “sua– acqua il Mediterraneo), invece lungo le coste dello stretto si creano delle controcorrenti influenzate dall’andamento della marea. Queste controcorrenti raggiungono la massima intensità con l’alta marea (siccome l’intervallo tra l’alta e la bassa marea è mediamente di 6 ore, il periodo favorevole per uscire va da tre ore prima a tre ore dopo l’alta marea).
Il giorno 2 novembre 1974 l’alta marea del mattino avveniva alle ore 7, quindi “Mamaroa” ha lasciato Gibilterra alle 4 seguendo la costa Nord dello stretto e superando nelle sei ore successive il traverso di Tangeri. Alle dieci del mattino, nel momento in cui cessava l’effetto favorevole, “Mamaroa” assumeva una prua magnetica di circa 1800 con vento al traverso e proseguendo con questa prua arrivava in prossimità di Tangeri alle ore 14. Come mostra la cartina la rotta seguita dalla barca è stata in realtà di circa 160° per l’effetto, appunto, della corrente al centro dello stretto.
Il traffico commerciale naturalmente attraversa lo stretto mantenendosi al centro, ma con una piccola barca a vela senza questo studio preliminare si rischia di ritrovarsi, dopo magari due giorni di lotta, di nuovo a Gibilterra… (vedi sotto una bella foto dal satellite).