martedì, Aprile 23, 2024

Navigazione in solitario: isolamento e introspezione

I regatanti della   Golden globe Race proseguono la loro corsa,   Simon Curwen è in Oceano Indiano,  sta navigando appena sopra l’Antarctic Exclusion Zone  (in arancione) , gli mancano 2500 miglia per doppiare Capo Horn e risalire l’Oceano Atlantico verso casa,  Abhilas Tomy e Kirsten Neuschafe rincorrono a oltre 1000 miglia,  e dopo 134 giorni di navigazione in solitario viene spontaneo chiedersi quali possono essere i pensieri che li accompagnano in questa esperienza.  La capacità di vivere  in isolamento forzato, l’alimentazione di “sopravvivenza” che bisogna necessariamente adottare e  le condizioni che si presentano in mare durante un giro del mondo attraverso i tre capi  sono effettivamente una prova straordinaria, ne ho parlato anche recentemente con Riccardo Tosetto  ( pubblicherò prossimamente l’intervista) che affronterà in autunno la  Global Solo Challenge, e ho trovato molto pertinente l’articolo che  Marco Nannini ha scritto al riguardo, memore delle sue esperienze in regata, non ultima quella  attorno al mondo in solitario..

Ho pensato di proporvelo………è attualissimo.

 

Isolamento ed introspezione – l’infinità dei mondi possibili

Sono passati ormai otto anni da quando ho completato la Global Ocean Race 2011/2012. E’ un’esperienza che ho impiegato anni a metabolizzare completamente. Ho affrontato altre mille tempeste, a terra più che in mare, prima di capire cosa davvero mi fosse rimasto di quel viaggio. L’isolamento e l’enormità degli oceani mettono a nudo la nostra insignificante piccolezza. Mentre siamo in mare riscopriamo una umiltà che non sapevamo di avere. E, proprio in questi giorni di isolamento da coronavirus, mi sono ritrovato a tracciare dei paralleli.


Isolamento e introspezione – L’arrivo dell’ultima tappa della Global Ocean Race

Un isolamento forzato in cui, devo ammettere, mi sento assolutamente a mio agio. Anzi, lo apprezzo quasi, i miei spazi vitali non sono più invasi da altri come prima. Non ho più l’obbligo di far parte di situazioni o conversazioni per le quali non provo interesse. “solo dentro a una stanza e tutto il mondo fuori” diceva Vasco in ben altro contesto. Ma essere assorti nei propri pensieri (pensieri, pensieri) è un lusso di cui la nostra società ci ha privato.

Questo isolamento me lo fa riassaporare, certo con il retrogusto amaro di tutto quello che sta succedendo. Ma per molti versi non è diverso da una lunga regata. Sono in casa solo, o con mia figlia e viviamo in un confinamento di spazi ristretti. Quando sono solo, solamente il telefono interrompe ogni tanto il silenzio perpetuo delle giornate. Non ascolto musica, come non lo facevo in mare. Non ho bisogno di distrarmi dai miei pensieri, anzi sono contento di poterli sentire.

 

L’isolamento del mare come luogo di riflessione

Solo in mare durante le lunghe regate che ho fatto in solitaria o in equipaggio ridotto ho provato queste emozioni. Penso allora a tutti coloro che stanno vivendo questa situazione per la prima volta. Non tutti, direi, la vivono come un’epifania come fu il mare per me la prima volta. Anzi, l’ansia e le incertezze del domani, viste da questo isolamento, fa sentire molti impotenti. Le paure li divorano da dentro e l’impotenza si trasforma in rabbia.

In mare ho  imparato ad aspettare, sapendo di non poter fare niente. Aspettare la fine di una tempesta, aspettare che il vento tornasse dopo la bonaccia. Oggi aspettiamo che qualcosa cambi, ma non sappiamo neanche esattamente come. Per lo più sento parlare di ritorno alla normalità, ma non ha senso parlare di normalità se questa era il problema. Questa sospensione ci ha dato l’inafferrabile opportunità di riflettere, di sentire il cinguettio degli uccelli e non il frastuono della vita moderna.


Isolamento ed introspezione – Papa Francesco, solo, Piazza San Pietro

Eppure, quando torneremo nelle strade alcuni, forse non tutti, saremo persone cambiate. Sono una drastica alterazione di come quest’isolamento crea le condizioni per un momento introspettivo. Non dico che tutti avranno profonde epifanie, ci sarà chi non l’ha mai avuta prima e non l’avrà ora. Ma alcuni avranno potuto godere di quel lusso riservato a chi per sport o passione già conosceva l’isolamento estremo. Non esiste solo il mare, le similitudini si trovano fra gli amanti della montagna od anche nell’euforia del maratoneta.

Il desolato orizzonte infinito degli oceani

Sono passati otto anni dal mio giro del mondo, ed oggi come mai ripenso a quello che mi ha lasciato. Dovrei in verità contare anche le navigazioni in solitaria. Credo la mia vera personale epifania da isolamento sia avvenuta nell’OSTAR del 2009. Avevo da poco compito 31 anni e per la prima volta in vita mia fui totalmente isolato per 22 giorni di navigazione. Non ero mai stato in oceano neanche in equipaggio per così tanti giorni e non sapevo cosa mi avrebbe aspettato.


Partenza della OSTAR 2009 – Marco Nannini – British Beagle

Quanto arrivai a Newport, dopo aver navigato in burrasche e nella nebbia fra gli iceberg di Terranova sapevo che qualcosa era cambiato. Ma non sapevo ancora cosa, e da lì cercai ancora quell’esperienza totalizzante dell’isolamento estremo. Prima alla Route du Rhum 2010 poi alla Global Ocean Race 2011/2012. Il giro del mondo era in doppio, ma su navigazioni di tale durata spesso la navigazione è condivisa fra due velisti in solitaria. A parte qualche manovra più difficile ognuno viveva nel proprio mondo.


OSTAR 2009 – L’arrivo a Newport dopo 22 giorni di isolamento

In questo isolamento da coronavirus mi sono dunque ritrovato a rileggere alcuni passaggi del libro che ho scritto. In fondo credo che mi ci siano voluti tutti questi anni, e tante altre tempeste, per digerire e somatizzare finalmente l’esperienza. Credo che per molti aspetti il vero cerchio si stia chiudendo ora, durante questo isolamento a terra. A fine della regata sapevo che nulla sarebbe stato come prima, ma lo dicevo da marinaio. Oggi sento di poterlo dire da cittadino, da padre, da lavoratore – non solo da sognatore in mezzo ai mari.

Dalla banca all’Oceano  – Edizioni Longanesi, di Marco Nannini.

Soldi, soldi, soldi, non ne posso più di dover pensare ai soldi. Oggi ho raggiunto davvero il colmo: mi è arrivata in barca un’e-mail da uno sconosciuto. Mi chiede un consiglio su come investire i suoi risparmi, rivolgendosi al bancario che è in me. Non so cosa rispondergli, non solo perché non leggo un giornale finanziario da mesi. Ma anche perché mi vorrei sentire il più lontano possibile da quel mondo. Anche se non riesco a liberarmene nemmeno nella desolazione del grande oceano Indiano.


Dalla Banca all’Oceano -Di Marco Nannini – Edizioni Longanesi

Provo a comporre una risposta ragionata, ma poi penso alla totale assurdità dell’intera situazione ed esco in pozzetto. Mi godo l’orizzonte sgombro, tutt’intorno a noi, e gli ultimi momenti di un tramonto pacifico, tranquillo. Ci insegue un albatros enorme, solo, il più grande abbiamo visto finora. Volteggia con la sua maestosa eleganza, non batte mai le ali, con movimenti minimi si muove in armonia con il vento. Vola bassissimo, al pelo della superficie delle onde. Lo osservo a lungo, aspettandomi de da un momento all’altro sfiori l’acqua, ma non accade mai, il suo volo è precisissimo e controllato.

 

Il volo dell’albatros ed i momenti di epifania

“Dove voli, albatros? Qual’è il tuo obiettivo? Forse ti basta giocare con le onde e con il vento, ti basta la compagnia di questo mare”?

Potrei passare ore a guardare un albatros in volo. C’è sicuramente qualcosa di misterioso, accattivante e profondo nel loro impassibile volteggiare, c’è in loro la nobiltà di chi non parlerebbe mai di denaro. Ho l’impressione che l’albatros ci segua, giorno dopo giorno, proprio peer ricordarci quanto siano insignificanti i possedimenti terreni. Ci osserva, ci mostra il suo animo puro, e noi non possiamo che aspirare a essere come lui.

Osservo il nostro compagno di viaggio e penso a quanto sarebbe bello essere liberi dal concetto di possesso. Sarebbe la libertà assoluta, se solo potessimo gettare le nostre braccia in mare per sfamarci e non aver bisogno di una casa per dormire. Un’auto per spostarci, il telefonino per comunicare, un abito bello per apparire. Un conto in banca per  dire “io esisto”. Forse dovremmo smetterla di voler avere sempre di più dovremmo imparare a desiderare meno. Dovremmo imparare a contenere le nostre spese, a fare a meno del superfluo. A passare più  tempo con le persone a cui vogliamo bene. 

 

La sindrome di Moitessier, l’introspezione maieutica

Ogni volta che sono in mare mi ritrovo a fare questi ragionamenti. Un mio amico la chiama “sindrome di Moitessier“, quella fase della navigazione in cui la società ti ripugna e vorresti rimanere in mare per sempre. Il mare sembra l’unico posto capace di garantire sufficiente isolamento per perdersi in queste riflessioni. I pensieri arrivano, volteggiano con noi leggiadri come albatri, ma quando sbarchiamo ci rendiamo conto che non ci sono più. Ci hanno abbandonato prima che potessimo condividerli con le persone a terra.


Isolamento e introspezione – Un albatros in volo

“C’era un albatros gigantesco” ci affretteremo a raccontare. Tutti spalancheranno gli occhi. “Che bello!” esclameranno, ma solo i pochi che hanno solcato con me te quell’oceano sapranno cosa intendi. Sapranno che hai visto la libertà ma che non hai potuto portarla a terra con te senza ucciderla. 

 

La confusione ed il chiasso del mondo

Tornare a terra era come il la mattina di un giorno qualsiasi. Quando ci si risveglia nella routine della vita quotidiana. Ogni tanto mia figlia mi chiede cosa ho sognato, la deludo sempre dicendo che non mi ricordo. Il sogno, come il volo dell’albatros, rappresenta quasi un breve istante di quel perdersi nei propri pensieri. E come per il volo dell’albatros, lo viviamo ma raramente riusciamo davvero a farlo nostro e portarlo con noi. Anche il sogno evapora di fronte al mondo di tutti i giorni.


Isolamento ed introspezione – Global Ocean Race – Tramonto in Atlantico

Eppure l’isolamento di queste settimane ci ha dato l’opportunità di osservare l’albatros. Non certo realmente, ma nella sua accezione metaforica. Abbiamo avuto l’opportunità di sentirci infinitamente insignificanti, con la vita stravolta da qualcosa di invisibile. Abbiamo dovuto aspettare impotenti come durante una tempesta o nella bonaccia. Oggi, come quando mi capitò in mare, sentite che è successo qualcosa in voi di irreversibile. Ma non sapete ancora coglierlo o definirlo.

 

Dall’isolamento ad un’infinità di mondi possibili

Il caos della metropolitana di Londra è forse la realtà che più contrasta con l’immensità degli oceani. So che ci vorranno mesi a metabolizzare quest’esperienza, e per ora non so quante risposte ho davvero trovato. Forse ho capito che ogni viaggio è fatto di tanti piccoli passi, di alti e bassi. Calme e tempeste in cui nonostante i nostri sforzi non potremo mai controllare tutto. Dobbiamo convivere con i rischi, la paura e perfino la noia. Ma non esiste una felicità assoluta, eterna, che si possa ottenere e preservare per sempre.


Isolamento ed introspezione – L’affollata metro di Londra

Tutto cambia, tutto il trasforma in un eterno caleidoscopio di forme e colori. Non so dove saremo fra sei mesi, o fra un anno o fra cinque né cosa faremo. Tutto questo mi spaventa ma allo stesso tempo mi riempie di speranza, perché so che esistono un’infinità di mondi possibili. 

 

Le certezze infrante fanno nascere speranze

Pe chi non ha mai vissuto un’esperienza così totalizzante di trasformazione della vita, l’isolamento di queste settimane deve esser stato duro. Allo stesso tempo sono sicuro che in molti si sono ritrovati a vivere la “sindrome di Moitessier”. A trovare ripugnante il mondo in cui viviamo, che ora è chiuso lì fuori dalle nostre finestre. Vorremmo riprendere gli alberi, il sole della primavera, le persone care. Ma forse non vorremmo ci venisse restituito tutto com’era prima.


Bernard Moitessier – A bordo di Joshua

Tutti dovremo metabolizzare quest’esperienza, anche tornato dal giro del mondo non sapevo ancora se di risposte ne avevo trovate. Ho continuato a non saperlo per tanti anni successivi. Una volta buttati nella mischia della vita quotidiana si perde l’opportunità di fermarsi per pensare. Ma oggi, in un contesto drammatico ed assurdo abbiamo anche avuto un’opportunità. Quella di fermare il mondo come lo conoscevamo e poterci astrarre per osservarlo.

In molti, me incluso, abbiamo preoccupazioni legate allo stato dell’economia. Al nostro futuro finanziario, che sembra tanto precario in questo momento. Potrei ripetere anche in questo momento che “non so dove saremo fra sei mesi, o fra un anno o fra cinque né cosa faremo”. Anche in questo momento provo apprensione, ma oggi forse vedo un cerchio chiudersi. Vedo come ogni esperienza lasci il cambiamento e la speranza. Ed anche la certezza di quegli infiniti mondi possibili.

 

Il mondo di domani non potrà che essere diverso

E’ difficile sapere se il mondo cambierà dopo quest’esperienza che stiamo vivendo. Non mi riferisco all’economia, quella sicuramente ne risentirà pesantemente. Mi chiedo però se affronteremo il futuro con paura o con speranza, con rabbia o gioia. Ci vorrà tempo per metabolizzare quello che sta accadendo, come ci vorrà tempo per una nuova normalità. Spero però come il Moitessier dei suoi ultimi anni che ne usciremo tutti desiderando un mondo migliore. Che da questi stravolgimenti, dalle morti, dalla sofferenza, ne emerga un nuovo umanesimo.


Bernard Moitessier – Per un mondo migliore

Certo suona tutto così filosofico ed astratto, bohemienne o radical chic. Ma in cuor mio ho una certezza, che le esperienze segnanti non vanno mai via senza lasciarci qualcosa. Le esperienze estreme al contrario di distruggerci ci aprono a nuovi modi di pensare. Dalla cella escogitiamo la fuga per la vittoria, e l’esperienza, il viaggio, ci avrà cambiato per sempre. Lo avrà fatto per piccoli passaggi intermedi di cui non ci renderemo conto. Ma alla fine di questo isolamento voglio dire a mia figlia che ho sognato che sarà un mondo migliore. Vorrei dirle che ho sognato un albatros e che ora le racconterò come volava leggero sulle onde.


Gli albatros dell’oceano Pacifico