venerdì, Aprile 19, 2024

Kythnos

09 settembre 2021 

Ciao amici, credo che tutti abbiamo ripreso la quotidianità, le vacanze sono quasi un ricordo, ma prima di chiudere il “cassetto” di un’estate per me anomala, vi voglio dare ancora alcune news sull’isola che mi ha ospitato : Kythnos.

Nella news 17 vi avevo riproposto ciò che avevo scritto in occasione del mio precedente passaggio in barca, ma leggendo qua e là ho trovato ulteriori informazioni sull’isola, e credo vi faccia piacere andarci con il pensiero , magari ad occhi aperti, a zonzo a piedi nella Chora o su e giù per i sentieri che portano  nelle tante baie.

Io ho girato sempre con lo scooter, che avevo prenotato ancora dall’Italia, e vi assicuro che è necessario per raggiungere le varie destinazioni scendendo dalla dorsale che con i suoi 20 Km attraversa tutta l’isola. Credo che ci ritornerò, magari in primavera, un desiderio che coltivo da molti anni, per vedere la fioritura nelle isole delle Cicladi, e le righe che seguono mi servono per   rafforzare questa idea.

 

Voli di falchi, distese di timo. Grafie di muretti a secco, fichi nani piegati dal vento. La natura è scabra a Kythnos, isola delle Cicladi decisamente fuori dalle rotte turistiche. Ma la sua anima non è come appare. Kythnos si nasconde, è un camouflage, dissimula i suoi segreti. A partire dalle spiagge: 65. Di più, si dice 90, contando certe insenature selvagge che sfrangiano le coste, riservate a trekker spavaldi.

Quando si sbarca dal traghetto nel porto di Merichas, viene spontaneo chiedersi: tutto qui? Troppo essenziale. Ma poi basta osservare il ritorno dei caicchi da pesca, quando sui moli grigi esplode il giallo delle reti, per capire che qui il mare è ricco e regala una cucina di grande soddisfazione.

O assistere al rientro serotino delle barche a vela per intuire che c’è vita. Nascosta.

Alberghi e belle ville in affitto di superdesign, magari in baie solitarie.

E poi la Chora, uno dei borghi più intatti e vivaci della Cicladi, senza le ostentazioni di Mykonos.
La tavolozza più commovente è in primavera, la stagione preferita dai trekker. Già, perché Kythnos è un’isola frequentata dagli escursionisti, che si godono l’esplosione viola dei fiori di cardo e di timo sulle piccole alture nell’entroterra.
Secondo Katerina Filippa, guida ai cammini dell’isola, che ha curato per la municipalità la mappatura dei sentieri, bisogna venire qui a maggio, “Quando domina il giallo dei cespugli di sparta, dei fiori spontanei, e dilaga il bianco delle margherite. A perdita d’occhio”.
              

 

 

Il messaggio dell’isola è chiaro: vuoi il bello? Datti da fare per scoprirlo. Almeno una volta bisogna seguire le sinuosità della strada che attraversa l’isola, meravigliarsi quando il mare si svela su tutti i due lati. Leggere i paesaggi attraverso i colori. Ammirare il bianco delle chiesette eroiche appollaiate su scogli e faraglioni. O il mare cobalto, raramente smeraldo, spesso azzurro.

 

Le spiagge più belle di Kythnos: Kolona e Fikiada

Che sia primavera o estate, in ogni posto il panorama è un dilatarsi di profili costieri. Ne è un esempio Kolona, la spiaggia più celebrata. Eppure arrivarci… Si posteggia, si cammina superando due spiagge niente male per un tuffo, poi si imbocca un sentiero che sale fino alla balconata di Kolona Experience, caffè-taverna sapientemente bianco e chic, miglior belvedere sulla lunga lingua di sabbia che delinea due calette blu.
Kolona è scenografica, senza retorica. Sorseggiando un caffè bisogna contemplare. Non c’è orizzonte di cielo e mare, ma di terra, serpentine di colli percorsi da ragnatele di sentieri, incisi da anse e calette, rifugio di barche alla fonda. La spiaggia di Kolona è una lingua di sabbia dorata che si allunga fino all’isolotto disabitato di Agios Loukas.
Si tira tardi, cambiano le luci; a piedi (dieci minuti) si raggiunge l’ansa di Fikiada per un tramonto interminabile, che in estate va in scena alle 21.

L’esplorazione dell’isola è come una composizione musicale: l’adagio è a sud e la coda, il gran finale, a nord. Dunque, si va verso sud, dove la terra è ocra, senape e profuma di origano. Fino alla Panagia Stratilatissa, monastero minimo e candido

 

Candidi i fiori dipinti sul selciato, candide le tendine ricamate dalle donne dei villaggi, fra icone vivide e ritratti di santi talmente invecchiati da sembrare ombre. Spunta furtivo un pope diretto verso l’assoluto del paesaggio: invita ad ascoltare il silenzio.
E il silenzio accompagna ogni discesa verso il mare, ci saranno una ventina di spiagge e calette sui due versanti dell’isola. Da scegliere secondo il vento, da guadagnare lungo sterrate che si fanno ardite. Spuntano le arnie sulla strada per Aliki, per il paesino di Agios Dimitrios, finis terrae di casette, due taverne, palme nane. Sul mare, quasi a riva, le barchette dei pescatori fondono la loro ombra con quella delle tamerici.

 

Le chiese da visitare a Flambouria e a Kanala

 

Dove fare il bagno? A Petrousa, o nella piccola Styfos, che regala scorci su panettoni di roccia e infiniti zigzag di sentieri. O a Gaidouromantra, sabbia e acqua blu. C’è un piacere sottile in questa solitudine straniante, ma basta scendere a Flambouria per contare su un caffè, una taverna, su pigre soste all’ombra delle tamerici che bordano la spiaggia.
Sul promontorio spuntano gigli di sabbia e luccicano le tegole in maiolica della Panaghia, chiesa che non sarà mai silente, perché è sufficiente un refolo di vento per far tintinnare la campana appesa a un albero. Chiesa incredibile anche all’interno, per le icone che sfoggiano abiti di stoffa, per un San Giorgio che cavalca tutto spettinato.

Sono tante le curiosità devozionali nelle chiese, imponenti e sommesse, che punteggiano l’isola. La più importante, Panaghia Kanala, regala il refrigerio di una piccola pineta e la storia dell’icona miracolosa della Vergine, trovata da un pescatore. Si dice sia stata dipinta da San Luca, ma l’autore è probabilmente Emmanuel Skordilis, in Italia sconosciuto, ma che in Grecia incute il rispetto di un Giotto. Artista di scuola cretese, fu profugo dopo la conquista ottomana nel 1645.

 

Il borgo di Kanala

Kanala è il perfetto esempio del camouflage isolano. Sembra un borgo semplice semplice, cresciuto a caso sull’onda di pellegrini e turisti. Invece il design è la cifra di due indirizzi per dormire: il bianco totale delle Kanal Suites, e quello di Mantellina Suites, scelta indimenticabile per le prime colazioni fatte di dolci, di marmellate casalinghe e del celebre miele di timo di Kythnos.

E poi c’è la taverna vernacolare Archipelagos, frequentata più dai locali che dai turisti. Sosta del buon mangiare sull’isola, per la cucina tradizionale della famiglia Bouriti: le verdure vengono dal loro orto, il pesce dai caicchi e i formaggi, feta compresa, dai pastori locali. Da Kanala si snoda una gimcana di stradine bianche, eufemismo di sterrate, che digradano sul mare.

 

Il borgo di Dryopida, villaggio tradizionale

La discesa per Kato Livadi incornicia dolci alture che tendono verso l’infinito, mentre quella per Liotrivi svela un’infilata di calette nel blu indaco. Si ondeggia sulla sterrata, per risalire sulla strada principale e approdare nel borgo di Dryopis o Dryopida, l’unico non visibile dal mare.
Meta imperdibile per i cultori del miele, Pure Mother Bee è un allevamento di api dove si produce un nettare pregiato, che ha accumulato nove premi, green e non solo: “Il mio miele è biologico al cento per cento”, precisa Dimitris Gonidis, la cui famiglia si dedica a questa attività da 15 anni, “ed è prodotto al 60 per cento da polline di timo, poi di eucalipto e cardo”.

Dryopida è ufficialmente riconosciuto come Traditional Village e questo sprona gli abitanti a darsi da fare, lucidando gli ornamenti in ceramica delle case, verniciando infissi e portali, persino il selciato, e i tombini, con pennellate bianche che tratteggiano fiori, barchette, pesci. Le strade sembrano l’album da disegno di un bambino.

Si viene qui nei giorni in cui il meltemi soffia troppo, perché due colli smorzano l’impeto del vento estivo. Per passeggiare fra vicoli, frutteti, pergolati di glicine e bouganville, sbirciare gli angeli di maiolica bianca di Agios Minas.
Esplorare la grotta di Katafiki, la più grande della Cicladi e rifugio durante ogni avversità della storia, dalle scorribande dei pirati alla minaccia tedesca nel corso della Seconda guerra mondiale.

Ed è a questo periodo bellico che si allaccia la vicenda di Niki, piccolo cargo che trasportava viveri e farina agli Alleati, naufragato ad Agios Stefanos, più a nord, dopo un drammatico inseguimento dei nazisti. Una vicenda tragica, ma che oggi fa la felicità dei sub quando si immergono per andare a vedere il relitto, senza temere le onde né il vento, che non si insinua fino a questa baia dove gli anatroccoli si fanno cullare dal mare.

 

Chora, il capoluogo di Kythnos

  

La strada madre dell’isola non è mai trafficata, tranne quando ci si avvicina a Chora, capoluogo-gioiello. Vivace, di giorno e di sera, per i suoi locali, che oscillano tra il bianco assoluto e i colori mediterranei di tavolini e pergole fiorite. È l’unico posto dove fare shopping, rigorosamente a chilometro zero.
Ci sono i cosmetici preparati con le essenze dell’isola di Cat with Hat. I dolci alle mandorle e altre delizie di Tratamento. E le ceramiche colorate, oppure grezze con geometrie e sbaffi di pennellate bianche di Georgoulis, storico laboratorio, premiato dall’Unesco.
Eppure questo artigianato, a Kythnos, risale solo al XIX secolo, “Importato da Sifnos, isola famosa per la ceramica, e ricca di argilla di qualità purissima”, precisa Giorgos Georgoulis, che lavora insieme al figlio Gianis, e si vanta di usare solo colori e materie prime naturali.

Chora bisogna perdersi con i sensi all’erta. Per cogliere dettagli architettonici, portali decorati, chiesette bizantine. E stranezze che rendono divertente la passeggiata. Si seguono i gatti fino al posto prediletto per la loro eterna pennichella, una scala bianca dove convivono mici veri e mici dipinti sui gradini, che annuncia l’indirizzo preferito dai giovani, il posto giusto dove baciarsi, come recita l’insegna di Psipsina, che è ristorante e scenografia insieme, per l’altalena che pende da un albero, le lavagne del menu bordate da fiori e frutta essiccati.
E che ci fa il vecchio telaio in cima a una terrazza, a sbiadire sotto il sole giaguaro? È il simbolo di To Steki Tou Ntetzi, ristorante paragonabile a un museo del folclore: mobili ‘800, bibelot, collane di perle che pendono da ritratti di famiglia. Altro che isola essenziale.

 

A Loutra, l’antica sorgente termale

  

La strada prosegue per Loutra, un tempo meta di villeggiatura termale che attirava l’aristocrazia europea. Si stenta a crederlo quando si arriva in questo borgo balneare animato, ma affatto esclusivo. Il vecchio stabilimento termale è chiuso, ma l’acqua calda scaturisce ancora in una piccola piscina naturale, contesa di sera, visto che non ha protezione dal sole, quando ci si immerge sgomitando con l’immancabile cocktail in mano ordinato nei bar vicini.
Ma a Loutra il rito dei riti è un luogo: la caletta di Agia Irini. Ci sono l’immancabile chiesetta bianca e il suo sagrato, che si presta a deposito di sdraio e ombrelloni. E una casetta, ovviamente bianca, decorata con schienali di seggiole d’antan.
….e  la taverna Arias, che si prolunga a filo d’acqua, famosa in tutta l’isola per gli spaghetti con l’aragosta. Quando si ordinano, i crostacei sono issati vivi dal mare, nelle nasse deposte sul fondale.

Loutra è un posto comodo dove stare, per godersi le spiagge di nordest. I trekker amano l’ansa sabbiosa Kavourocheri, 25 minuti a piedi; i sub preferiscono Agios Sostis, per i suoi sette punti di immersione.
Acqua azzurra, acqua blu, fondali da favola e risacca dorata sotto il sole. È qui la coda musicale. Come ha riconosciuto anche l’Unione europea, nominandola zona protetta Natura 2000. Ma nessuno sbandiera il riconoscimento. Il solito camouflage.
 

 

Vi è piaciuta la lettura? sono certo di si, non vi sembra di vedere sullo sfondo i muretti di pietra che delimitano le proprietà? indimenticabili…

Beh, vi dicevo che per me è stata un’estate anomala, perchè non trascorsa in barca, ed un po’ mi dispiace, mi è mancato il SOUNDOFSILENCE, anche se l’Egeo con il suo il meltemi mi ha fatto compagnia per tre settimane, ed ora rimangono solo i programmi per l’anno prossimo….vedremo di recuperare il tempo perso…..

Vi riporto solo alcuni flash, che sicuramente vi saranno arrivati, ma fissarli sulla “carta” ci possono aiutare a dare un contribuito alla salute del nostro pianeta.

L’argomento climatico ha caratterizzato luglio ed agosto, e se in Italia i media hanno dato risalto al caldo e agli incendi, in Grecia è stato un vero disastro: l’Attica prima ed il Peloponneso poi hanno subito una devastazione immane, pensate che  la fuliggine portata dal vento arrivava anche nell’isola a  Kitnos, che dista almeno 50 miglia dal continente, ed al tramonto il Peloponneso all’orizzonte , con il sole sopra Hidra,  non aveva i colori naturali, ma il rosso fuoco era realmente fuoco…..

E come se non bastasse a Nord , a Limnos, dove c’era l’amico Carlo, le notizie sullo stato delle acque del mare era ancora peggio: la mucillaggine, che era uscita dal mar di Marmara attraverso i Dardanelli,  ha cambiato la fisonomia delle coste dell’isola…. e le ripercussioni sia sulla balneazione che sulla pesca e sono state devastanti. lo strato di mucillaggine si deposita sul fondo, dove marcisce e riviene a galla, per poi ridiscendere sul fondo togliendo ossigeno a tutto ciò che i fondali custodiscono: flora e fauna marina. L’altro Giorno Carlo mi ha richiamato, e mi ha raccontato che con il rinfrescarsi della temperatura dell’acqua la situazione non è peggiorata, ma la visibilità è pessima, dove prima si arrivava a vedere fino a 20 metri ora fai fatica a vedere….. i piedi……

Alcuni amici velisti che sono stati in Adriatico mi hanno detto che la bora, il neverin e la tramontana hanno caratterizzato luglio ed agosto, rendendo difficile la navigazione …verso Nord….

Non parliamo poi delle ripercussioni sull’ittica: d’altronde se qualcuno fra voi amici è abituato ad andare a fare la spesa in pescheria, sa benissimo che ormai i prodotti sul banco vengono o da allevamenti o dagli oceani. Il tonno del Mediterraneo lo trovi solo ….. in Sicilia, se sei fortunato!. L’ultimo che ho comperato a Verona per mangiarlo crudo alla Polinesiana veniva dall’Oceano Indiano, buono, per carità ma neanche confronto con il sapore del tonno di una volta,   ed ora  anche il pesce azzurro comincia a scarseggiare…..chissà dove finiremo…

Ma bisogna avere fiducia e guardare avanti: l’economia sta riprendendo, forse anche l’occupazione, e le nostre barche tornano a solcare il mare…. e  qualche velista anche con la barca nuova.

A questo riguardo sarò presente allo stand del Frangente al Salone Nautico di Genova, al banco di ROTTE DI TUTTO IL MONDO e potrò toccare il polso agli umori dei velisti: ci vediamo??

 

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