Marco Nannini – Luglio
“Conosco l’impegno che ci vuole per intraprendere un progetto di vela impegnativo come una circumnavigazione. Ho sperimentato il senso di realizzazione che porta e il sacrificio che richiede. Non ho mai sottovalutato i rischi, ho imparato l’importanza di mitigarli e gestirli. Desidero creare un evento sicuro e abbordabile economicamente per realizzare un sogno che molti navigatori hanno in sè.“
Da molto tempo desideravo presentavi questo signore: velista? Navigatore? Imprenditore? Scrittore? Editore? Non saprei neppure io quale scegliere, certo che è riuscito a coniugare in modo intelligente ed intraprendente la sua esperienza “giovanile” nel mondo finanziario, con l’altrettanto interessante ambiente professionale del mondo della vela.
Ho approfondito la sua conoscenza quando ha presentato la regata Global Solo Challenge, e guardando prima il suo sito, interessantissimo e dal quale ricavo molti spunti per gli articoli anche su RTM, e poi cercando in internet, ho scoperto di avere molte affinità con lui, sicuramente l’estrazione professionale e la curiosità ( così io definirei la sua irrequietezza intellettuale e caratteriale), purtroppo non l’età……potrebbe essere mio figlio: così, oltre a seguire attivamente il suo sito e tutti gli articoli che vi vengono presentati, gli ho scritto tempo fa per esprimergli i miei complimenti ( anche se non sono nessuno in confronto a lui e ai personaggi che via via ci presenta…), ed è stato con enorme piacere che ho ricevuto la sua risposta<<…”Il mare rimane nel cuore e qualsiasi cosa succeda da li’ nessuno potrà togliercelo. Per qualsiasi cosa non esiti a scrivermi. Cordialmente. Marco”.…>>
Il mare, sempre lui, ma cosa avrà di così magnetico da coinvolgere alcuni di noi in un abbraccio quasi ancestrale? E così ho preso il toro per le corna e mi son deciso a raccontarvi di lui, anche perché recentemente lo avevo nominato durante l’intervista che ho fatto a Riccardo Tosetto, che parteciperà alla Global Solo Challenge e che avete trovato a Febbraio…
FASE 1
Mi è facile parlarvi di lui come professionista nel mondo finanziario, in quanto ha maturato la sua esperienza in ambienti che conosco bene: nasce a Torino nel 1978, dopo il liceo si trasferisce in Inghilterra dove si laurea, con il massimo dei voti, in Economia e Finanza all’Università di York.
A 22 anni inizia la sua carriera nella finanza come Business Analyst e poi come Project Manager per una delle “big five” della consulenza aziendale. Lavora per Deutsche Bank, Banca Popolare di Bergamo e Credem. Per Banca Popolare di Lodi segue un progetto per la filiale di Londra a conclusione del quale viene avvicinato dalla Banca Nazionale del Lavoro che nel 2004 gli offre il ruolo di responsabile del Credit e Market Risk Management della filiale londinese. Quando la banca riceve un bid ostile d’acquisto, Marco decide di proseguire la sua carriera alla Hypovereinsbank, banca appena acquisita dal gruppo UniCredit sotto la guida dell’aggressivo AD Alessandro Profumo.
Al lavoro non mancano le sfide, il 2007 segna l’inizio del Credit Crunch, precursore della più profonda tempesta finanziaria che il mondo abbia mai conosciuto e che diventa invece un’opportunità di carriera per Marco. Viene messo alla guida del team di valutazione del credito strutturato e in particolare degli Asset Backed Securities di tutto il gruppo Unicredit, da Milano a Londra, a Monaco, New York, Tokyo e Singapore con la responsabilità di monitorare portafogli per un nominale complessivo oltre i venti miliardi di euro.
La vela è cornice alla sua carriera. Appena arrivato a Londra, nel 2004, Marco compra un vecchio J24 con cui tira i primi bordi in acque inglese riavvicinandosi a quel mondo che aveva conosciuto da ragazzo nelle crociere estive con il padre in Mediterraneo, guardando a questa disciplina sempre con occhio romantico e sognatore e immaginando lunghi viaggi.
Nel 2005 Marco vende il suo J24 e compra un 36′ da crociera degli Anni 80 con cui spera, dopo qualche anno, di dedicarsi a una traversata atlantica e a un giro dei caraibi prima di tornare alla finanza
Il 2008 è l’anno più duro. Dai problemi di Bear Sterns alla caduta di Lehman Brothers il mondo della finanza sembra in caduta libera senza speranza di ripresa. Le ore di lavoro sono lunghe, lo stress altissimo e il sogno di partire per la OSTAR dell’anno successivo per affrontare le tempeste meteorologiche del Nord Atlantico diventa uno dei principali obbiettivi di Marco. Un po’ per sfida, un po’ per curiosità si iscrive alla OSTAR, e nel 2009, con un team affiatato e concentrando tutte le sue ferie in un unico blocco, Marco attraversa l’atlantico in solitaria per la prima volta e rimane stregato da questa avventura.
Dopo quest’esperienza trova il rientro in ufficio particolarmente difficile, non trova più un legame con la realtà Una domanda gli rimbalza in testa:
«e se provassi a diventare velista professionista?».
Dal dire al fare c’è di mezzo il mare, e Marco ha scelto il mare ed accantonato il lavoro in banca. Nel 2011/12 compie un giro del mondo a tappe, la Global Ocean Race: 32000 miglia sul Class 40’ Mowgli. In 158 giorni ha circumnavigato il globo e conquistato il secondo posto:
“È stata una delle sfide più difficili e faticose della mia vita. Ma ora che posso raccontarla sono molto fiero di essere arrivato in fondo e di aver raggiunto e conquistato il mio sogno.”
Nel 2013 gli viene conferita la medaglia al valore del Presidente del Senato della Repubblica Italiana per i meriti raggiunti durante la Global Ocean Race.
Pronto a trasmettere anche ad altri la sua passione e le sue conoscenze fonda la scuola di vela CIVA – Centro Italiano Vela d’Altura, da cui poi è nato un progetto di più ampio respiro nella nautica, il sito Barca a Vela e l’evento Global Solo Challenge.
Ma avrete capito, conoscendomi, che non è questa la sola presentazione di Marco Nannini che vi volevo fare, e quindi passiamo alla lunga intervista che ho fatto
FASE 2…
C’è un Marco professionista nella finanza, e un Marco professionista del mare (velista, navigatore ed imprenditore…si perchè organizzare una regata come la GSC bisogna essere imprenditori…e non solo). Ma dell’organizzazione della GSC parleremo dopo.
Dunque, se tu dovessi parlare dei due Marco, come li presenteresti? Chi ti piace di più?
Marco della finanza ormai non esiste più dal 2012… mi sono laureato in economia e finanza all’università di York in Inghilterra nel 2000, poi ho fatto carriera lavorando 3-4 anni prima in consulenza, poi in BNL ed infine con Unicredit dove sono rimasto fino a luglio del 2011. Dal 2006 ho coltivato la mia passione per la vela fino a cimentarmi nella Ostar nel 2009, per poi decidere di comprare un CLASS 40 con cui ho fatto la Round Britain and Ireland e la Route du Rhum. Sin dall’acquisto della barca l’obiettivo era il giro del mondo, ma alla finanza ho dovuto rinunciarvi del tutto: mi son dovuto licenziare da Unit Credit perchè di fronte alla scelta di rinunciare al giro del mondo per non mettere a repentaglio la mia carriera in banca ho deciso per il giro del mondo, anche perchè la carriera in banca non è che mi interessasse molto né per l’ambiente né per i contenuti. Sicuramente mi aveva aperto molte porte, perchè a Londra avevo uno stipendio molto alto, che mi ha permesso di fare molte cose, e quindi devo ringraziare quello spazio e quelle opportunità e le scelte che avevo fatto fin lì, perchè mi hanno permesso poi di arrivare e spaziare nella vita con competenze acquisite, con una mentalità business, con una impostazione che non avrei acquisito se fossi partito direttamente dalla vela.
Alla luce della tua esperienza di vita, se tu avessi 20 anni rifaresti le stesse cose che hai fatto o ti “butteresti subito in mare”? e perchè?
Non credo che oggi potrei fare le cose che sto facendo se venissi esclusivamente da un percorso di mare, perchè io sono laureato in economia e finanza, e quando ero in banca non ero sicuramente un imprenditore, ma lavorando nel risk management ho maturato una conoscenza del rischio ed una mentalità legata all’imprenditoria che poi ho sviluppato nella gestione dell’attività velistica… In Italia ho avuto e gestito una società di vela, che ha i suoi costi, era un business di fatto, e non aveva nulla collegato al mio precedente lavoro in banca. Probabilmente rifarei le stesse cose. Ti dirò che ho fatto dei percorsi di vita negli anni che a me sembra sempre di aver già vissuto 10 vite e quindi non so se vorrei fare diversamente. Quando penso che alcuni colleghi che ho lasciato nel mio dipartimento, quando me ne sono andato nel 2011, sono ancora lì a fare lo stesso lavoro, mi viene quasi un attacco d’ansia, perchè non so come siano sopravvissuti a fare ancora le stesse cose per 13 anni successivi. Questo comprende anche la volontà/capacità di prendersi dei rischi e di subirne le conseguenze. Per esempio le mie disponibilità economiche dopo che ho lasciato la banca sono state sempre infinitamente inferiori, e quindi uno deve mettere sui due piatti della bilancia la sicurezza economica e la libertà di fare quello che desidera maggiormente, anche magari a scapito di uno standard di vita inferiore.
L’adrenalina: se ne prova gestendo un’azienda, se ne prova in navigazione solitaria; c’è differenza?
Nel giro del mondo l’adrenalina si prova a volte; una dicotomia con l’ansia, legata al fatto che avevo messo tutte le uova nello stesso paniere per quell’obiettivo, ed avevo una profonda paura di non riuscire a portarlo a termine, ma sapevo che mi avrebbe poi aperto le porte successive per occuparmi di vela a tempo pieno. Nel progetto avevo messo tutte le mie finanze, preso prestiti, avendo fatto il possibile per partire, quindi avevo sempre molta preoccupazione di non farcela.
A questo va aggiunto che, come tutte le cose che si fanno nella vita, il corpo umano si abitua a tutto, anche a surfare su e giù per le onde degli oceani del sud, e quei momenti di divertimento erano più intensi di quanto non fossero quelli di apprensione.
Inoltre per fare il giro del mondo ci vuole tempo, e poche persone parlano della gestione della noia, della ripetitività…Affiancando i due mondi, della finanza e della vela, si prova adrenalina anche nel business, quando ci si deve preoccupare delle questioni meno piacevoli come la gestione dei flussi di cassa, debiti, scadenze e quelle cose che sono meno esilaranti per esaltare la figura dell’imprenditore.
In barca come nel business, oltre all’adrenalina c’è un’altra sensazione: l’apprensione, da non confonderla con l’ansia: così come per l’imprenditore, che vive nelle incertezze, con molti motivi di apprensione, con un appagamento molto ritardato rispetto ad attività molto più semplici, dove l’appagamento deriva da attività di business che richiedono investimenti negli anni, per chi fa il giro del mondo l’appagamento viene dopo 3 anni di preparativi fatti prima di fare il giro del mondo.
E la paura?
Esistono dei rischi che sono controllabili e riducibili. Per tutti questi bisogna prepararsi per ridurli e controllarli. Per tutti quelli che non sono eliminabili, bisogna imparare a conviverci ed accettarli. Io non amo tanto definirla paura anche se la parola non è sbagliata. La definisco più apprensione perché so che c’è un rischio residuo che non posso eliminare, devo conviverci, e sono in uno stato di apprensione. Durante il giro del mondo, vivevo praticamente in due stati, quello della noia e quello dell’apprensione. La sensazione di elazione e felicità dopo la partenza dura pochi giorni, e quando finisce la regata è ancora molto lunga. Vivevo fra la noia e la voglia di arrivare, e l’apprensione di spaccare qualcosa e non farcela e non arrivare.
Quale fra le regate in solitario ti ha dato più soddisfazione?
Io emotivamente sono legato alla prima, alla Ostar, che è stato il momento della verità, e l’ho trovata un’esperienza straordinaria collimata nel momento in cui mi sono detto: …..<<se io tentassi di fare vela ad un livello non puramente amatoriale, anche se poi non sono diventato un professionista come navigatore, cosa succederebbe?…>> Ed è così che ho deciso di esplorare quel percorso fino al giro del mondo, anche se poi non sono andato oltre.
Non sono andato oltre perchè all’epoca la Global Ocean Race per i CLASS40 era l’unica regata a disposizione, un giro del mondo dove io potessi iscrivermi con le risorse che avevo, anche se era in doppio e a tappe, io avrei voluto farla in solitario e senza scalo…. ma non esisteva altro ..…..
Mi sono fermato a quella regata perchè non immaginavo di riuscire a creare un contesto tale da arrivare ad una sponsorizzazione per fare, per esempio, una Vendée Globe …..… e comunque non ero un navigatore professionista, ero un ex bancario che aveva fatto il giro del mondo, ed ero consapevole che non ci si improvvisa un navigatore di IMOCA da un giorno all’altro.
Sicuramente il percorso sarebbe stato ancora complicato e lungo per crescere e pensare di fare un giro del mondo su un IMOCA, e d’altra parte c’era l’aspetto economico dove non ritenevo ragionevolmente possibile arrivarci, e in maniera molto più semplice e personale avevo altri obiettivi, come mettere su famiglia.
Adesso ho una bambina, che era uno dei miei motivi di vita, che fra l’altro scaturisce dai momenti di riflessione durante la navigazione nei mari del Sud, quando da solo, dentro la barca, mi ero posto una domanda: <<…. Quali sono le cose di cui potrei pentirmi in fin di vita se non le facessi? ….…..>> e una di queste era avere un figlio, cosa alla quale non avevo necessariamente né pensato né programmato prima; per cui ho finito il giro del mondo con questa consapevolezza che prima non avevo, e cioè avrei sicuramente voluto avere un figlio nella vita.
Parlando invece della Global Solo Challenge ci sono vari tipi di persone con l’esperienza necessaria ed il sogno di una circumnavigazione: magari hanno i soldi perchè sono in pensione, hanno una barca, hanno il sogno .….. oppure sono giovani professionisti della navigazione, oppure hanno messo via dei risparmi grazie all’attività imprenditoriale, ed hanno il sogno di fare una cosa come il giro del mondo in barca…….. ma probabilmente sono consapevoli di non poter ambire ad una Vendée globe.
Partendo da queste considerazioni ho pensato ad un evento possibile ed accessibile per chiunque avesse questo sogno, con un formato che lo rendesse possibile ed appetibile, con più tipi di barche e budget completamente diversi fra loro.
Nella preparazione delle regate in solitario che hai fatto, quali aspetti hai privilegiato?
Il percorso è sempre di formazione. La riflessione che mi è rimasta, finito il giro del mondo, è come io stesso mi sia trovato a dover imparare, strada facendo, un percorso fatto da me e per me, mentre probabilmente se avessi avuto l’opportunità avrei potuto bruciare tantissime tappe navigando vicino a persone con più esperienza …anche se questo l’ho fatto, ma non con un approccio limitato a mentori o istruttori.
Prima della Route du Rhum ho fatto alcuni giorni di formazione con un coach francese, rendendomi conto di quanto poco in realtà io sapessi, e di quanto poco io avessi strutturato il mio percorso formativo……questo mi ha portato fortemente a voler creare un centro di formazione, dopo il giro del mondo, per chi desiderasse fare vela d’altura quale sbocco od opportunità professionale, che derivava un po’ dall’investimento fatto proprio con il giro del mondo…
Se lo vediamo con un’ottica imprenditoriale anche il giro del mondo è sì un sogno, ma anche un investimento, perchè quando lo hai terminato hai un’esperienza e in parte anche un nome da spendere per pensare di fare qualcosa di importante, come creare una scuola di vela, dove puoi mettere a disposizione le tue competenze ed esperienze.
Dove ti sentivi più “forte” e dove più “debole”?
Più forte sicuramente nella strategia, nel meteo, nella gestione complessiva del progetto; io non ho fatto un percorso di vela, di regate con Optimist a 10 anni e cose del genere, non mi ritengo assolutamente tecnicamente un bravo skipper….se mi dovessi mai mettere testa a testa con skipper bravissimi italiani come Ambrogio Beccaria, Alberto Riva e tanti altri, non mi sentirei di appartenere a quel mondo di professionismo della vela, a quel livello.
Io ho fatto le cose che poteva fare un ex bancario, che poi magari le ha fatte anche benone, ma non avevo una preparazione così specifica…Per questo sono dell’opinione che chi si approccia a questo mondo possa sin da subito rendersi conto che le cose vanno fatte in un certo modo, che alle cose bisogna dare una certa struttura, anche semplicemente che le manovre vanno fatte in una certa sequenza, con una certa preparazione.
Se pensiamo ai soldati che si addestrano a fare delle operazioni ripetitive e le rifanno tante volte al punto che anche quando sono stanchi sono in grado di ripeterle come automatismi, allo stesso modo bisogna allenarsi come virare, strambare per fare delle manovre, perchè poi quando si sarà in solitario si sarà stanchi, al limite della capacità decisionale, e non si può pensare a come fare per strambare o virare.
Sei stato parecchi mesi in mare, hai visto albe e tramonti con colori che rimangono impressi per sempre, sensazioni forti: non ti mancano un po’?
Sicuramente mi mancano molti aspetti del mare. Io trovo che il mare concede una opportunità che non abbiamo in nessun ambito della vita normale: in primis il fatto che una volta mollati gli ormeggi devi dedicarti a tempo pieno ed esclusivamente, al 100% , ad una cosa che ti piace fare. Nella vita invece noi facciamo cose che vogliamo fare solo quando possiamo, inserite in mezzo della nostra vita quotidiana…non abbiamo mai la testa completamente libera da dedicare ad una sola cosa al 100%.
Credo che sia un lusso che praticamente la maggior parte della gente non vive forse neanche mai, perchè al giorno d’oggi chi lo può fare? Non pensiamo solo alla vela, potrebbe anche essere un trekking in montagna, chi può spegnere il telefono per 20 gg di seguito? E quello staccarsi dalla vita umana che richiama, anche se un po’ lontanamente, Moitessier, quando decise verso la fine della sua Golden Globe Race…<<< …..io non voglio tornare….. nella civiltà che mi aspetta ……>>. Sicuramente c’è un elemento di pace interiore quando si sta in mare, perchè, per quanto siano importanti per la nostra vita, le relazioni umane sono spesso anche stressanti… Viviamo in un mondo dove anche gli adolescenti fanno fatica a capire quale sia il loro ruolo, relazionarsi, confrontarsi con i loro pari, perchè oggi la nostra società impone molte pressioni sulla persona: apparire o non apparire, fare o non fare ……. e quando si è in mare capita di sperimentare per la prima volta la libertà di non dover “fare” un sacco di cose che siamo abituati a “fare”, provare per la prima volta un senso di pace interiore che non si prova facilmente altrove.
Io dico sempre che mi piace andar per mare, in oceano, perchè non hai più bisogno di comandare, né pensare a cosa fare, perchè comandano il tempo e la barca…e sei a loro disposizione,
Navigando in solitario certamente, comandare forse no, ma decidere…sicuramente si.
Come definiresti i tre Oceani? Sicuramente sono diversi, ma che cosa ti hanno lasciato dentro?
Atlantico: ci sembra di conoscerlo di più, almeno io ci avevo già navigato, dipende molto da quando e quanto uno naviga in Atlantico… io avevo fatto la Ostar, una navigazione ad alte latitudini contro venti e correnti contrari, non conoscevo solo l’Atlantico degli alisei, conoscevo anche quello più nervosetto del Nord. Quando abbiamo superato Tristan da Cunha andando verso Sud, ed ho visto per la prima volta l’Oceano del Sud ad una latitudine che non era ancora a 40° di latitudine, ho visto un Oceano che oggettivamente non conosciamo nell’emisfero Nord, perchè mancando la corrente del Golfo le temperature sono decisamente diverse, fa molto più freddo, quasi come essere sopra i 50° da noi nell’emisfero Nord. Quindi l’Oceano Atlantico mi ha fatto capire che nello stesso Oceano c’è quello a Nord e quello a Sud.
L’indiano: l’esperienza che ricordo di più è di un mare molto confuso, nervoso e difficile, specie fra Capo Buona Speranza e a metà strada verso Capo Leeuwin; c’è una importante influenza dei riflussi di superfice della corrente di Agulhas, che spesso crea un mare confuso, difficile e fastidioso.
Pacifico: lo ricordo invece con la sua maestosità , condizioni meteo che io non avevo mai neanche lontanamente immaginato, 50- 60 nodi di vento, onde 8-10 metri……8-10 metri si fa presto a dirlo, ma bisogna poi vederli … uno non se ne rende neanche conto, perchè quando sei sul picco dell’onda ti sembra di essere in montagna, quando arrivi giù ti sembra di stare in una valle, perchè le onde sono talmente grandi, enormi e distanti fa loro che non puoi paragonarle agli 8 metri del Mediterraneo, onda corta, nervosa, ripida….. lì invece sono montagne, valloni, che creano un’atmosfera, condizioni, situazioni che onestamente non so se puoi vivere altrove…
La navigazione in solitario: a te cosa è pesato di più e quando??
Forse meno cose di quante non mi pesino a terra ….sicuramente frustrazione, quando si rompe qualcosa e diventa difficile e scomodo risolvere tutto da soli, ma d’altronde si parte da una condizione di calma tale che poi si affronta tranquillamente tutto, quindi non ho particolari ricordi negativi per la navigazione in solitario.
Anch’io ho fatto Capo Horn, …. ma come allievo ufficiale di una nave passeggeri, e l’emozione è stata grande: Magellano, i ghiacciai che si tuffavano direttamente in mare: con la Costa abbiamo fatto il primo esperimento di crociere in Terra del fuoco nel ’69….Tu che ricordi hai della navigazione sui 40 ruggenti?
Il nostro approccio a Capo Horn è stato alquanto movimentato, eravamo a 60° Sud per sfruttare il meteo favorevole che ci ha permesso di essere in testa nella regata a circa 500 miglia dal capo, ma era prevista una fortissima depressione che avrebbe attraversato il nostro percorso e il fronte freddo, quello più pericoloso, e sarebbe arrivato a Capo Horn proprio quando noi stimavamo di arrivare.
Questo implicava giungere con un mare incrociato, un vento che ruotava da NW a SW nell’emisfero Sud, quindi verso la costa del Cile, con un allerta meteo della guardia costiera cilena che avvisava un centro del ciclone con venti a 70-80 nodi e onde fra i 10-12 metri di media, quindi non onde anomale, ed abbiamo deciso di fermarci e lasciar passare il fronte freddo…
Abbiamo visto 60/65 nodi di vento, ma rimanendo in acque molto profonde abbiamo evitato il peggio, evitando onde dovute all’innalzamento del fondale all’approccio di Capo Horn, in prossimità della piattaforma continentale; in verità abbiamo evitato problemi, con condizioni abbastanza normali, al punto che siamo passati molto al largo e non abbiam visto il capo, e ci siam infilati in un meteo in continuo miglioramento fino ad entrare in Atlantico…
Parliamo adesso della regata, la GSC, Global Solo Challenge: al di là della idea che hai avuto, e che condivido, cosa ti ha convinto a “buttarti” nell’impresa… perchè non credo basti l’equipe o la voglia…?
Una concomitanza di cose: la consapevolezza che non esistesse una regata come avrei voluto fare io se fossi stato nel 2010…poi nel 2018 c’è stata la GGR, Golden Globe Race, che ha un regolamento molto vintage, che non rispecchia quello che a me piacerebbe fare, ed io non l’avrei fatta…. senza nulla togliere alla difficoltà della regata, ma non mi attrae; nel 2020 stavo seguendo la Vendée Globe e pensavo: <<…. guarda, quella regata, la GGR, consentiva di partecipare solo a pochissimi modelli di barche, sui 36’, chiglia lunga, quasi tutte simili fra loro, poi oggi c’è la Vendee Globe, dove la partecipazione con il più basso budget non si possa immaginare al di sotto di 3 milioni di €, quando una ventina di anni fa per la partecipazione alla stessa regata si pensava ad un budget di 300.000€! Pensa a come si è elevata la Vendée Globe per arrivare dov’è oggi: ha creato il vuoto sotto di sé, perchè in passato, 20 anni fa, non avrebbe avuto senso creare una regata “sotto” quella regata, che implicasse un budget inferiore, perchè se avessi potuto mettere in campo 300.000€ che senso avrebbe avuto partecipare ad un’altra regata? Tanto valeva partecipare alla Vendée Globe …..che era ancora in ascesa…c’erano i 60 piedi, ma anche i 50 piedi (che abbiamo anche noi nella GSC), ma 20 anni fa ci sarebbe stata sovrapposizione.
Oggi ho cercato di creare un evento, un format interessante da seguire, non ci arroghiamo il pensiero di essere i migliori, e quello che offriamo è ad un passo prima della Vendée Globe, il che può essere interpretato in tanti modi: la realizzazione di un sogno, o l’inizio di un percorso, ognuno può venire con le motivazioni che vuole.
Le barche sono molto diverse fra di loro, e questa differenza viene contata all’inizio della gara, con partenze scaglionate in modo che lo spettatore non veda o parli solo della barca più veloce e di successo, ma veda le barche più piccole e lente partire per prime. Può seguirli e conoscerli e tutti avranno un pezzo dello spettacolo, non solo i grandi nomi. Nel corso dell’evento, ci saranno le barche più veloci che inseguono quelle più lente, ma la matematica è tale che anche una barca piccola e lenta, se gestita bene da un buon skipper e senza rotture, potrebbe vincere. Allo stesso modo, avere una barca super performante potrebbe non essere un vantaggio, poiché gareggiare con una barca da regata nell’Oceano del Sud alle prestazioni previste non è affatto semplice.
Quindi – almeno all’inizio di questa prima edizione – non sarà facile indovinare il favorito.
In molti altri eventi, sono solo le nuove barche con i migliori skipper a lottare per il podio. Qui è davvero difficile da prevedere, perchè sulla carta non si sa quali possano essere i favoriti e chi vincerà… se sapessimo fin dalla partenza che i più veloci sarebbero necessariamente i favoriti si toglierebbe ogni fascino nel seguirla.
Io come organizzatore mi preoccuperò solo di rendere l’evento equo, per quanto sia possibile, utilizzando dei sistemi di handicap.
Secondo te è migliorata la preparazione dei velisti/navigatori?
Non credo necessariamente, ognuno ci arriva con dei percorsi diversi fra di loro. Se parliamo della Vendée Globe sì, sicuramente, perchè il livello è salito tantissimo, e chi arriva a fare la Vendée Globe ha fatto un percorso nella vita molto orientato….. se pensiamo ad Ambrogio Beccaria che naviga in CLASS 40, in un gruppo super competitivo di professionisti di altissimo livello, è provabile che crescerà e fra qualche anno arriverà alla classe IMOCA e alla Vendée Globe… glielo auguro, …e lui è una persona che ha fatto un percorso, ha anche gli studi di ingegneria navale, legato a quella professione….
Le persone cui si rivolge la GSC non hanno fatto necessariamente un percorso così netto di professionismo nel mondo della vela, e quindi in questo diverso contesto l’esperienza è molto variegata. Ci sono alcuni che navigano da una vita per lavoro e si possono definire professionisti e altri la cui esperienza dipende dalle navigazioni fatte in vari momenti della vita.
I concorrenti che hanno già una barca possono venire con quella o se non ne hanno una, scegliere quella che più gli si addice. Il GSC è certamente uno dei pochi eventi che offre una tale scelta. Alla mia età, con la mia esperienza, probabilmente cercherei un Open 40 o un’altra barca veloce, ma ci sono skipper che si sentono più a loro agio su una barca dislocante. Alcuni non hanno problemi a scegliere barche relativamente piccole, altri optano per la maggiore sicurezza di uno scafo più grande. Quale altro evento offre una tale flessibilità?
Dopo questa esperienza editoriale con il sito della GSC, come utilizzerai tutto il materiale che stai pubblicando con gli articoli del tuo sito? Gli articoli danno spunti molto importanti per stimolare i velisti/naviganti ad approfondire cosa significa ”andar per mare”…. sarebbe bello che tu riuscissi a portare una stazione radiofonica o televisiva a parlare di mare con frequenza almeno settimanale…. credo che la platea in Itala sia numerosa, d’altronde dovresti avere i numeri, anche in base alle visite al sito della GSC, quindi…… cosa c’è per te dietro l’angolo?
Io arrivo da una brevissima esperienza editoriale, prima del lancio della regata, la creazione di un sito che si chiamava <<Barca a Vela>>, dove avevo iniziato a lavorare, anche con Margherita Pelaschier, alla stesura di molti articoli che adesso si trovano sul sito della GSC. Questo non era altro che, in gran parte, la trasposizione delle cose che io insegnavo alla scuola di vela, per cui quando mi sono fermato a terra, e non più a fare corsi di vela in mare, ho riversato nel sito quella voglia di trasmettere le cose che sapevo e che avevo imparato.
Non sono un professionista del settore, ho una infarinatura globale di tutto ciò che mi è servito per fare il giro del mondo, il che, per chi si approccia alla vela, è già ad un livello che può portare a tanti spunti, tanti argomenti che poi, chi fosse interessato a crescere nel suo percorso, può approfondire in modo specifico con chi di dovere.
Quel percorso editoriale era nato per lo stesso motivo per cui era nata la scuola di vela, ma ovviamente quando lo si mette in internet diventa un luogo che permette al sito di indicizzarsi e diventare un punto di riferimento per chi ricerca su Google informazioni sulla navigazione solitaria.
Il sito diventa di fatto anche una operazione legata alla strategia di comunicazione dell’evento, che non vuole limarsi ad inviare comunicati stampa, nella speranza che il settore editoriale, che da molti anni è in crisi, abbia sempre le risorse per poi pubblicare propri articoli con contenuti di qualità.
La decisione è quella di dire:<<……siamo noi a creare contenuti di qualità…>>, e a rivolgerci direttamente ad un pubblico nostro che andiamo a sviluppare progressivamente.
Quindi dietro l’angolo della GSC c’è una strategia: la GSC continuerà ad esistere non solo come evento ma come luogo dove andare ad informarsi, capire, scoprire, ed imparare; mi vengono in mente parole come streaming, eventi online, podcast…sicuramente durante
l‘evento faremo dei live, così come adesso stiamo scrivendo tanti articoli: peraltro il sito della GSC è in 4 lingue e al giorno d’oggi non c’è nessuna regata che mantiene un sito in cui tutto, assolutamente tutto, venga tradotto in 4 lingue, e ci avvaliamo di persone madrelingua verso ogni lingua, quindi non sono traduzioni automatiche improvvisate, finte traduzioni, è tutto prodotte in 4 lingue con la stessa qualità.
Hai messo quei link legati alle parole chiave che sono una preziosità… mi auguro che l’apprezzino tutti perchè consentono a chiunque di arrivare all’informazione ricercata con l’impronta di una enciclopedia… La comunicazione che utilizzi è semplice, immediata, e volendo approfondire un argomento è facile farlo, sicuramente interessante per chi volesse affrontare una regata intorno al mondo, perchè va toccare quegli aspetti che dovrebbe conoscere e approfondisce situazioni che dovrà presumibilmente affrontare.
Beh, molti articoli li avevo riportati e sono nati con quell’obiettivo: ho cercato di combinarli con l’idea di dare dei contenuti di valore, ovvero scrivere degli articoli che fossero non solo interessanti ma abbinarli al sito di un evento.
E’ sì vero che altri siti di eventi hanno articoli legati alla storia dell’evento stesso, e sono interessanti… ed alcuni aspetti vengono coperti…; e non è vero che nessuno fa niente…. ma credo che l’approccio editoriale di un evento così combinato, con una comunicazione che voglia dare valore al pubblico, non sia necessariamente così comune…..