L’Egeo di Mario Bonomi – 5 Leros
L’Egeo di Mario Bonomi – 3 Fourni
L’Egeo di Mario Bonomi – 2 SAMOS
L’Egeo di Mario Bonomi – 1 UN OSPITE INDESIDERATO
Scendiamo adesso a Sud, e a poche miglia troviamo Leros, Isola frequentatissima dagli italiani e sede due marina dove lasciare la barca d’inverno.
Nella mitologia Leros è legata ad Artemide, la crudele dea della caccia e dei boschi, figlia di Zeus e di Latona e sorella di Apollo. A Partheni, nei pressi della costa settentrionale, vi sono i resti di un tempio a lei dedicato.
L’isola fu abitata in un primo tempo dai Carii. Omero racconta che Leros partecipò con alcune navi alla guerra di Troia. Conquistata poi dai Dori, finì in seguito sotto l’influenza, prima dei Persiani e poi, durante la guerra del Peloponneso, sotto quella di Atene e di Sparta. In epoca ellenistica fu bizantina e, nel XIII secolo, divenne territorio dei Cavalieri di S. Giovanni. I Turchi la presero nel XVI secolo e vi restarono 400 anni. Dal 1912 possedimento italiano, fu incorporata nella Grecia liberata al termine della seconda guerra.
Un’isola di confine con una storia tormentata, dunque. Nel corso dei secoli vittima di pirati e di conquistatori, è stata in numerose circostanze e fino a tempi recenti, luogo di internamento per dissidenti politici. Ha inoltre ospitato un noto e malfamato manicomio. E ciò è rimasto nella mente di molti. Ricordo che quando, tempo fa, dicevo a qualche greco che frequentavo Leros, ne ricevevo espressioni di meraviglia…cosa vai a fare lì? E’ il posto dei matti!
Entrai per la prima volta nella grande rada di Lakkì, porto principale dell’isola, nel febbraio del 1985 col primo Maria Vittoria, proveniente da Rodi, dove la barca aveva svernato. Non avevamo a bordo nessuna delle pubblicazioni oggi tanto diffuse che, oltre a dare indicazioni d’interesse nautico, propongono qualche elemento storico e mitologico o curiosità dei luoghi.
Così, quando, percorso l’imponente canale d’ingresso, mettemmo la prua nell’ampia rada, rimasi sorpreso e perplesso. Il paese che ci si presentava aveva ben poco di greco. Mi ricordava però qualcosa di familiare. Misi mano al binocolo: un imponente lungomare delimitato da grandi paracarri uniti da un grosso tondino che li attraversava a metà altezza, un imponente palazzo bianco in uno stile che mi pareva di conoscere: qualcosa di già visto. Seppi poi che era eretto nel così detto “coloniale moresco “, stile adottato dal fascismo dopo le campagne d’Africa.
A un incrocio una costruzione con porticato e angolo stondato, poi, poco oltre, un edificio le cui opposte pareti rettilinee erano collegate da due muri a base semicircolare. Su quello prospiciente la rada c’era l’ingresso affiancato da due colonne. Ma sì, era un cinematografo, come quelli che si vedevano sulla costa romagnola quando ero piccolo. Poi una costruzione con stretti archi su alte strutture rettilinee. Un accostamento di elementi architettonici tipico dello stile razionalista, adottato, nel ventennio, per la costruzione di agglomerati urbani ex novo: le città di fondazione.
Poco dopo, sbarcato, notai evidenti simboli del nostro ventennio incastonati sulle pareti di alcuni edifici.
Presi a noleggio un motorino e feci il giro dell’isola. Anche in altri centri di Leros, a Pandeli, a Platano, ad Agia Marina, erano presenti costruzioni dell’epoca, erano abitazioni di un certo livello, che si staccavano dallo schema architettonico degli edifici pubblici attorno al porto. Erano probabilmente destinate a funzionari o ad alti ufficiali che vivevano lontano dalla truppa.
Scorrazzai fino a sera percorrendo stradine sterrate che portavano verso il mare, che si inerpicavano sui rilievi, fermandomi a osservare abitazioni e preziose ville che avrei potuto incontrare in una qualunque località italiana, in Liguria, in Romagna, nella mia città… Era facile riconoscerle: avevano colori vivaci, erano gialle, azzurre, color seppia, alcune erano del rosso di cui un tempo si pitturavano i caselli dell’Anas, in netto contrasto con il bianco delle costruzioni greche.
Scoprii cose interessanti…L’altura che si erge appena a nord dell’ingresso a Lakkì presentava numerose gallerie, alcune in comunicazione fra di loro. Vi erano basamenti di cemento su cui verosimilmente un tempo erano sistemati pezzi d’artiglieria che erano stati fatti saltare con esplosivo. A nord dell’isola, seguendo un sentiero che, dopo aver costeggiato un’ampia baia, si inerpicava su un promontorio, mi trovai di fronte ad un edificio del ventennio utilizzato da un pastore come ovile. Sul fronte una scritta a lettere incise a macchina nel marmo, che qualcuno aveva cercato di cancellare riempiendone le cavità con del cemento, e ottenendo il risultato di metterle in ulteriore evidenza. Diceva: «Siamo orgogliosi di occupare un posto di combattimento, di sacrifici e di dovere». Una retorica inconfondibile.
Quando, a sera, riconsegnai il motorino, mi intrattenni a lungo con il noleggiatore, un uomo sulla sessantina privo di una mano e che tutti coloro che hanno trascorso qualche giorno a Leros conoscono, in quanto era il solo noleggiatore di Lakkì, e il suo negozio era proprio sulla via che costeggia il porto: Costantinos. Parlava un italiano pressoché perfetto avendo frequentato la nostra scuola che al tempo dell’occupazione era obbligatoria per i greci del Dodecaneso. Mi raccontò tante cose, mi confermò che i basamenti che avevo visto erano il supporto di pezzi d’artiglieria che gli inglesi avevano fatto saltare alla fine della guerra. Mi disse dei terribili scontri armati dell’ultimo
conflitto: i tedeschi contro gli italiani, poi gli inglesi contro i tedeschi. E i bombardamenti. Ricordava i bengala su Agia Marina illuminata a giorno e poi gli scoppi: un inferno!
Gli italiani avevano fatto tante cose buone per l’isola: strade, costruzioni pubbliche ancora in uso, un piccolo ospedale, avevano bonificato parti del territorio, installato tre potenti generatori dell’Ansaldo, enormi motori a dodici cilindri; due erano ancora funzionanti…
Mi raccontava di un porto frequentato da tante navi da guerra e da trasporto, di una grande quantità di materiale da costruzione scaricato sulle banchine, poi dei Mas, della base degli idrovolanti nella parte sud est della rada. Lì si poteva vedere ancora una delle gru utilizzate per la loro movimentazione. Mi diceva di una costruzione a settori che fungeva da radar acustico…da dove una persona addestrata e di buon udito poteva percepire a distanza l’approssimarsi di aerei e la direzione da cui provenivano.
Mi diceva che correva denaro a Leros quando c’erano i nostri soldati. C’era lavoro ben pagato, i bambini andavano a scuola, quella costruzione lì vicino era l’hotel Roma… poco più in là, in fondo alla baia, c’era il pornìo, la casa di tolleranza più lussuosa di Grecia. Erano 30.000 gli italiani che vivevano sull’isola ed erano quasi tutti maschi, un gran daffare per le ragazze.
Mentre questi pensieri mi scorrono nella mente, Amaltea giunge nel piccolo marina. Ormeggiamo.
Vado a dare un saluto a Costantinos. Lo trovo affranto. Ha perso la moglie da una settimana: asma.
Qualche frase di circostanza, poi parliamo a lungo, ancora della guerra, poi del lavoro, poi mi propone una versione dell’incidente in cui ha perso la mano diversa da quella datami tanti anni prima.
Quando ci accomiatiamo, dopo una bella ora di colloquio, mi si rivolge prima in greco, poi in italiano.
Noto che il saluto nella nostra lingua suona molto diverso: è come se forzasse sul diaframma per emettere un suono più forte, come ho sentito fare talora da vecchi militari…e non solo: forte e chiaro. Mi dico che anche quel tono della voce faceva parte della retorica di quei tempi: frasi di poche, precise parole ad effetto, pronunciate con voce stentorea. Anche questo si ritrova in Grecia.
Prima di lasciare l’isola cerco di mettermi in contatto con Goeran Schildt, lo scrittore svedese autore di Vent’anni di Mediterraneo e grande estimatore della Grecia, che ha una casa a Leros. Nella guida telefonica trovo la “S” di Schildt sotto la sigma. Nessuno risponde. Vado da Costantinos, gli chiedo dove abita lo svedese, mi accompagna a casa sua; non c’è nessuno. Peccato! Mi sarebbe piaciuto incontrarlo. Sarà per la prossima volta. Credo proprio che sarà un incontro piacevole: di solito le persone che hanno interessi comuni, che amano le stesse cose, si intendono.
Da quell’incontro con Costantino sono trascorsi quattordici anni. Lui non c’è più, l’attività è passata al figlio Gianni, che l a gestisce insieme alla moglie Irini e al figlio Costa. Persone squisite, sempre disposte ad aiutare chi si rivolge loro. Quando passo davanti al loro negozio, a volte entro anche se non mi serve nulla…Lì si respira ancora l’aria del vecchio Costantino, col suo modo tanto particolare di salutare nella nostra lingua…ricordo di un’Italia d’altri tempi.
Tanto altro potremmo raccontare su Leros e sulla sua tormentata storia, ma sono certo più indicati di me a farlo Cettina ed Enzo, responsabili della Aial, l’Associazone italiana Amici di Leros, due medici che, partiti per un giro del mondo in barca, sono approdati qui e vi sono restati. Sono sempre pronti a dare una mano a chi ne ha bisogno e ad aiutare chi muove i primi passi sull’isola.